
Questo libro parla della nostalgia
che si appropria di oggetti e luoghi,
parla dell’incuria che l’uomo ha per il suo destino,
parla della violenza che la tecnologia moderna
opera sui nostri luoghi e sul nostro mondo,
del silenzioso camminare in un viottolo di campagna,
di cortili abbandonati,
della pioggia che cola sui vetri.
“La nostalgia è la nostra vita”, afferma Roberto Peregalli nelle prime pagine del suo nuovo saggio. Ma ci può ancora essere nostalgia di qualcosa in questo mondo tiranneggiato da scopi da perseguire a ogni costo, da violenze legalizzate e da un eterno presente in pace con se stesso? Sì, a patto di ripensare oggetti, luoghi e persone da un altro punto di vista, quello del tempo che lascia tracce del suo passaggio per chi sa coglierle. E allora, la facciata di una casa si pone come il volto di una persona, una finestra diventa lo sguardo di un edificio, la sottile membrana fra interno ed esterno, e il colore bianco rivela la sua sacralità legata all’irrompere della luce, quella vera, non il suo doppio artificiale in quei “lego” impazziti che sono le moderne costruzioni imposte da una tecnica scriteriata. È così che il silenzio delle case, degli oggetti, dei luoghi resta “in disparte tra le pieghe del mondo senza cedere ai trucchi e alle lusinghe del progresso”. E la nostra vita può ancora essere ritessuta secondo un orizzonte alternativo di senso. Dopo averci raccontato i segreti dell’invisibile per i Greci, Peregalli ci offre un’altra riflessione narrativa, tutta giocata sul filo di una memoria in cui il passato nelle sue innumerevoli sfaccettature ammaestra il nostro presente.
In breve
Dieci lezioni e tre addenda che ruotano attorno al problema principale della filosofia politica oggi: una teoria della giustizia senza frontiere che mira a saggiare lo spazio delle possibilità politiche ai tempi della globalizzazione. Una dichiarazione di fedeltà alla limpidezza del pensiero e alla volontà di combattere le oppressioni del mondo. Edizione ampliata.
Il libro
“Le dieci lezioni sull’idea di giustizia, i miei prolegomena a una teoria della giustizia senza frontiere, mirano a saggiare lo spazio delle possibilità politiche ai tempi della globalizzazione. I limitati poteri della filosofia non esimono dalla responsabilità intellettuale di rispondere al fatto della globalizzazione tracciando i primi lineamenti di una teoria della giustizia. Sappiamo quanto severi siano i vincoli dello spazio che il mondo ci concede e conosciamo bene, in questi tempi difficili, quanto sia stretto il tracciato percorribile fuori dell’ambito della dura necessità pratica, quell’ambito in cui non c’è più margine per biasimo o lode. Ma non possiamo accettare che il fatto dell’oppressione, della crudeltà e dell’ingiustizia della terra riducano e mettano cinicamente o desolatamente a tacere il senso vivo della possibilità. Per quanto difficile possa essere, dobbiamo mantenere la promessa della duplice fedeltà di Camus. Alla bellezza e agli oppressi.”
(dall’Introduzione)
In tempo di guerra cambiano gli equilibri e le precedenze. Popolazioni che fino a pochi mesi prima erano anonimi vicini diventano fratelli da difendere e sostenere con forza. In tempo di guerra emergono però anche delle incongruenze e delle criticità. Non è vero che si diventa più buoni. È vero che lo si diventa con chi si vuole. E non tutti sembrano essere degni allo stesso modo. Ci sono popoli di serie A e popoli di serie B, ci sono i bianchi e ci sono i neri. Queste pagine non si interrogano sulle ragioni del conflitto in corso in Ucraina, ma si pongono nell'unica prospettiva che porta alla salvezza, quella dell'umanità. Di fronte al dramma ucraino e di tutti i migranti del mondo, don Luca Favarin ci offre un testo che ha la forza del lamento dei profeti biblici e ci ricorda che dovremmo partire dal nostro essere uomini e donne, oltre e aldilà delle ideologie. Qui dovremmo attingere al nucleo profondo e luminoso del nostro essere uomini per ricercare semi di umanità in un mondo che non si stanca mai di esercitarsi nell'arte infame e distruggente della guerra.
Chiese, abbazie, palazzi affrescati, fontane, piazze, non sono lì a dirci cosa siamo stati, ma che cosa siamo. Guardare, conoscere, scoprire il patrimonio artistico dei luoghi in cui viviamo ci fa comprendere quanto possediamo in bellezza e splendore e quanto stiamo perdendo in violento degrado e cupo disinteresse. Questo libro è un viaggio tra le grandezze, le nefandezze e le ruberie dei luoghi d'arte e di storia italiani di cui siamo chiamati ad essere consapevoli custodi.
Che cosa unisce Gina Lollobrigida a Diletta Leotta, Sophia Loren a Valeria Marini, Claudia Cardinale a Marisa Allasio, Laura Antonelli a Belén, le sorelle Kessler a Edwige Fenech? La capacità di sedurre. Seduzione non è necessariamente fascino. Certamente è attrazione. Fonte di sogni e di fantasie. Bellissime! è una cavalcata in sei tappe e diciotto storie attraverso settant'anni di seduzioni. Dal cinema in bianco e nero, con le sue raffinatissime sfumature di toni al colore che fece esplodere la sensualità fino alla sfacciataggine. Certo, Edwige Fenech è stata l'attrice più insaponata della storia, ma a Sophia Loren e Laura Antonelli bastò un gioco di calze per far impazzire il pubblico. E negli anni '70 un popolo intero di maschi fissò la sua agenda erotica al sabato sera per veder comparire le gambe delle Kessler. Oggi chi vuole ha la seduzione in tasca. Invece di telefonare guarda, ingrandisce, chatta. Il prossimo passo?
L'età di mezzo è sempre guardata con un po' di apprensione per il tempo che passa e le nuove realtà che si sperimentano. I mutamenti fisiologici, psicologici? È importante conoscere i meccanismi di queste realtà e affrontarle con serenità. Tener conto che è diverso il modo di affrontarli sia da parte dell'uomo che da parte della donna, ed è questo che l'Autore si premura di precisare in una riflessione che tiene conto anche dei valori e delle esperienze nuove di questa età.
Dall'elaborazione di questo pensiero è possibile rintracciare i tratti di una filosofia politica che assume il "metodo della libertà" e lo declina nei temi del costituzionalismo, del governo della legge, della sovranità limitata: l'idea di governo come dominio della legge e non degli uomini. Strumenti che possiamo mettere in relazione con i concetti classici della Dottrina sociale della Chiesa, quali la dignità umana, la libertà integrale, individuale ed indivisibile, la conseguente responsabilità della persona e l'ineludibile limitatezza della sua costituzione fisica e morale. Dunque, una filosofia politica che si presenta come una teoria delle istituzioni sociali proiettata verso un rapporto sempre più stretto con la storia del pensiero cattolico e con la sua moderna Dottrina sociale.
Il volume indaga il profondo legame tra cooperazione e Dottrina sociale della Chiesa. Lo studio analizza il Magistero della Chiesa in campo sociale e tutte le relative encicliche – dalla Rerum Novarum del 1891 alla Laudato si’ del 2015 – per vedere come il tema dell’impresa cooperativa è presente e sviluppato. Sono poi messi a confronto i principi della Dottrina sociale e i principi cooperativi. Da questa analisi emerge con chiarezza la “coincidenza dottrinale”, che trova le sue ragioni nel particolare modello economico cooperativo. La parte conclusiva è dedicata a fi gure emblematiche (cristiani, religiosi e laici) che, spinte dalla loro fede, hanno aff rontato problemi di giustizia sociale privilegiando lo strumento cooperativo per promuovere la dignità e l’autonomia economica.
“Il nucleo emergente di questo saggio è rappresentato da quella che è definita la ‘coincidenza dottrinale’ tra la Dottrina sociale della Chiesa e i principi della cooperazione. Si tratta di uno ‘spirito comune’, ma anche di una prospettiva: quella che porta la Chiesa a riconoscere i ‘segni dei tempi’”.
Dalla Prefazione di Francesco Beschi, Vescovo di Bergamo
La parola tende il filo ininterrotto del tempo che tiene insieme la memoria dei padri e il destino dei figli. Creatura e creatrice, la parola custodisce e rivela l'assoluto che siamo. Stupenda e tremenda, potente e fragile, gloriosa e infame, benedetta e maledetta, simbolica e diabolica, la parola è pharmakon, «medicina» e «veleno»: comunica e isola, consola e affanna, salva e uccide; edifica e distrugge le città, fa cessare e scoppiare le guerre, assolve e condanna innocenti e colpevoli. Per i classici è icona dell'anima, sede del pensiero, segno distintivo dell'uomo; per la sapienza biblica inaugura la creazione e fonda lo «scandalo» cristiano dell'incarnazione. Che ne è oggi della parola? Ridotta a chiacchiera, barattata come merce qualunque, preda dell'ignoranza e dell'ipocrisia, essa ci chiede di abbassare il volume, imboccare la strada del rigore, ricongiungersi alla cosa. Agostino direbbe che «noi blateriamo ma siamo muti». Costruttori di una quotidiana Babele e sempre più votati all'incomprensione reciproca, avvertiamo il bisogno di un'ecologia linguistica che restituisca alla parola il potere di svelare la verità. A noi il duplice compito: richiamare dall'esilio le parole dei padri e creare parole per nominare il novum del nostro tempo.
Il problema del male non trova posto nella filosofia di Benedetto Croce: i suoi scritti rivelano una incrollabile visione ottimistica della realtà, pienamente positiva e in armonia con l'attività dell'uomo, chiamato ad operare per trasformarla. Eppure il male rimane in Croce come un'ombra che accompagna la sua vita e il suo pensiero, a partire dalla tragica notte del 29 luglio 1883, quando il terremoto di Casamicciola cancellò quanto aveva di più caro. I Taccuini personali rivelano che le terribili ripercussioni di quella notte si ridestarono puntualmente ad ogni evento drammatico di cui egli ebbe notizia: il terremoto di Messina, l'avvento del fascismo, la seconda guerra mondiale, la decadenza fisica, l'approssimarsi della morte. Tutto ciò venne a incrinare pericolosamente la compattezza del suo sistema, mirante a identificare il mondo dell'esperienza con l'Assoluto. Quello di Croce è l'ultimo grande tentativo filosofico di negare la possibilità stessa del male: scopo del libro, dopo la presentazione dei capisaldi della sua filosofia (Estetica, Logica, Storia, Etica), è discutere questa negazione, mostrando che il problema del male, in tutte le sue forme, mette radicalmente in discussione ogni filosofia dell'immanenza. Tutto ciò pone la riflessione filosofica di fronte a un dilemma inevitabile, oggetto delle Conclusioni del presente lavoro.
Questo volume, primo di due, raccoglie la corrispondenza tra Benedetto Croce e Franco Laterza a partire dal settembre del 1943 sino alla fine del 1948. Lo scambio di lettere inizia all'indomani della scomparsa di Giovanni Laterza, fondatore della casa editrice e protagonista, insieme allo stesso Croce, di un monumentale carteggio svoltosi ininterrottamente dal 1901 al 1943 (già edito da Laterza in 4 volumi). Questa seconda parte, nella quale subentra il figlio di Giovanni, costituisce dunque il naturale completamento e la necessaria integrazione di quella precedente. La corrispondenza si sviluppa nel contesto dei difficili anni del secondo dopoguerra. Dopo l'8 settembre del 1943, con l'insediamento degli angloamericani a Bari, la città diventa un centro nevralgico nelle vicende politiche e militari dell'Italia liberata. Su questo sfondo si afferma con tenacia la volontà di Franco Laterza di continuare con ogni mezzo l'opera paterna. Il ruolo di guida e consigliere da parte di Croce non verrà mai meno e sia pure con toni differenti, più sfumati e meno confidenziali di quelli che avevano caratterizzato il rapporto con l'amico Giovanni, il dialogo prosegue ininterrotto.
«Volevo scriverti già da qualche giorno per comunicarti una notizia che mi riguarda. Io mi sono risoluto a prendere moglie. Sposerò una buona e brava ragazza piemontese, che conosco già da qualche anno, della quale ho invigilato gli studi per la laurea (è laureata in lettere), e che mi aveva sempre ispirato una grandissima stima per la finezza d'animo e per la serietà di carattere». La figura di Croce ha dominato la cultura italiana per l'intera prima metà del Novecento. Autore di oltre settanta volumi, ha dato un contributo incalcolabile come organizzatore di cultura, anche attraverso le riviste e le collane editoriali. Generazioni di critici letterari, storici e filosofi sono stati influenzati dalla sua opera. Non meno ragguardevole è stata la sua attività politica: attento in gioventù al socialismo e a Marx, fu poi su posizioni neutraliste allo scoppio della Grande Guerra e infine antifascista. Questo primo volume ne ricostruisce la biografia dalla tragica perdita dei genitori nel terremoto di Casamicciola del 1883 ai viaggi, alle amicizie e agli amori, alle abitudini domestiche, alle mille discussioni e polemiche con i protagonisti della cultura del tempo, per arrestarsi al 1918: la fine della Prima guerra mondiale, uno spartiacque non solo nella vita del Paese ma anche in quella del grande studioso.