È il decennio più buio del Novecento. Tra il 1933 e il 1943 finisce precipitosamente il secolo d'oro della modernità europea e comincia il capitolo più nero della nostra storia, che trascina nel baratro tutto l'Occidente. La Grande depressione schiaccia le democrazie. La paura e la povertà innescano il desiderio di leader forti. In Germania Hitler prende facilmente il potere e fa sprofondare il mondo in un'altra guerra. Le spire del totalitarismo penetrano nella vita quotidiana. Nessuno può fuggire. Non esistono alternative all'oppressione, all'esilio o alla resa. Per la libertà non c'è più spazio. Nel momento più lugubre della tempesta, quando ogni speranza sembra vana, quattro filosofe, ognuna con una voce unica e folgorante, gettano le fondamenta intellettuali per una nuova società libera. Hannah Arendt, Simone de Beauvoir, Ayn Rand e Simone Weil nella catastrofe coltivano le loro idee rivoluzionarie: sul rapporto tra individuo e società, tra donna e uomo, sesso e genere, libertà e totalitarismo. Le loro vite avventurose le muovono dalla Leningrado di Stalin a Hollywood, dalla Berlino di Hitler e dalla Parigi occupata a New York; ma soprattutto le portano a pensare idee che non erano mai state pensate prima, senza le quali il nostro presente sarebbe diverso da come lo conosciamo. Ciascuna delle loro esistenze - da fuggitive, attiviste, combattenti della Resistenza - è una filosofia vissuta e una testimonianza potentissima del potere liberatorio del pensiero. Ancora oggi la loro opera è un esempio della salvezza che la filosofia può donare in tempi oscuri. Quattro grandi icone che insegnano cosa significa vivere per la libertà. Simone de Beauvoir, Hannah Arendt, Simone Weil e Ayn Rand: nelle furie e negli orrori del nazismo e della guerra quattro grandi visionarie, esuli e ribelli, militanti e geniali, inventano le radici di una società giusta. Un racconto sulla conquista della libertà, quando sembrava che fosse perduta per sempre.
Il recupero di una visione unitaria su un essere così complesso e multiforme qual è l'uomo - soggetto dotato di inalienabile dignità e responsabilità morale ed esistenziale verso se stesso, gli altri uomini e il mondo naturale - avviene qui attraverso una riproposta della visione classica della philosophia perennis secondo la tradizione tomistica, che non elude però il confronto con alcuni settori di ricerca e di riflessione che segnano e condizionano l'epoca contemporanea. Trovano quindi spazio le riflessioni critiche provocate da altri campi d'indagine e da diverse prospettive: dalla tecnologia all'intelligenza artificiale, dall'ecologia alla dialettica natura/cultura, dalla socialità alla corporeità.
La forma del dialogo appartiene alla letteratura quanto alla filosofia, nella quale ha toccato il suo vertice nella produzione platonica. Senza il dialogo la filosofia, così come la conosciamo, non avrebbe prodotto quei risultati e quei valori ai quali ancora oggi attingiamo. Se la figura di Socrate è addirittura impensabile al di fuori di una relazione dialogica e il suo non sapere non avrebbe senso, potremmo dire che anche una gran parte del pensiero non avrebbe toccato la profondità né il livello artistico che gli va riconosciuto senza il ricorso a questo mezzo. Questo Dialogo filosofico, di Vittorio Hösle, è l'esposizione più completa della storia letteraria e filosofica della forma dialogica, che dalle origini platoniche si estende ai momenti più interessanti e cruciali della nostra cultura. Dalla figura e dal ruolo di Socrate prende piede una trattazione che percorre l'intera storia del pensiero occidentale, con un felice intreccio di autori che ne rappresentano le stazioni più autorevoli. L'esposizione si svolge fluida, da Cicerone, Boezio e Agostino attraverso Abelardo e Lullo, Petrarca, Cusano e Bodin, D'Alembert, Diderot e Hume fino alla nostra epoca (nella quale questa forma sembra in declino) con Feyerabend e Murdoch. Un tema che nella sua complessità e ricchezza tocca l'interesse di ogni lettore.
In queste pagine l'autrice propone una riflessione sull'empatia alla luce delle elaborazioni filosofiche e delle scoperte neuroscientifiche, aprendo il campo d'indagine anche a discipline più recenti come la "neuroetica". Si tratta infatti di una riflessione che ha necessità di estendersi in diversi contesti, individuando spazi in cui potersi confrontare in funzione dei differenti ruoli e saperi. Se empatia è provare ad andare dove l'altro sta, si devono fare continuamente i conti con l'estraneità di questo luogo che non conosciamo e che ci può essere estraneo. È in quest'ottica che diventa ancor più appassionante approfondire le modalità attraverso cui l'empatia trova possibilità di espressione, ovvero la gentilezza, la gratitudine, la compassione e l'acquisizione di consapevolezza attraverso la dimensione della riflessività. Forse è questa la grande sfida dei nostri giorni: rimanere donne e uomini empatici, nonostante tutto quello che ci circonda.
Qual è il senso della vita? È un valore stabile e oggettivo, o qualcosa di inevitabilmente fluido e arbitrario? In base a quali principi dobbiamo orientare le nostre azioni e i nostri rapporti con gli altri? Se in passato la visione del mondo tradizionale, fondata sulla religione, sapeva dare risposte ai grandi interrogativi dell'esistenza, nella società contemporanea, sempre più individualistica e secolarizzata, la nostra sete di significato si fa ogni giorno più intensa. In questo libro, scritto con un linguaggio accessibile ma concettualmente rigoroso, il giovane filosofo Frank Martela ci accompagna in un viaggio coinvolgente che ripercorre la storia del pensiero occidentale moderno, rivisitato attraverso esperienze quotidiane, aneddoti, film, ma anche con gli strumenti delle più avanzate ricerche psicologiche e sociali sui grandi fenomeni del nostro tempo. Il percorso verso un'esistenza più consapevole e appagante, ci insegna, può cominciare in ogni momento, a patto di riuscire a liberarci da certi preconcetti e ossessioni che impediscono alla nostra personalità più autentica di fiorire: dobbiamo solo volerlo.
Quello della legge morale naturale è uno dei grandi temi che hanno impegnato la riflessione filosofica di Alasdair MacIntyre (Glasgow, 1929) negli ultimi tre decenni. Si tratta di un discorso che il filosofo scozzese sviluppa in costante dialogo con Tommaso d'Aquino e dentro un più ampio affinamento della propria teoria della razionalità pratica: il risultato di un simile sforzo è un'idea di legge di natura dai connotati fortemente dinamici, che aggrega gli esseri umani nella ricerca del vero, in un'intrapresa critica che non fa sconti né lascia spazio a facili compromessi. Lo studio esposto in questo volume si propone di offrirne una ricostruzione sistematica, non trascurandone i legami vitali con altri aspetti della speculazione macintyreana e promuovendo un rinnovato confronto con le fonti tommasiane. Esso si compendia in un invito a ripensare la legge morale naturale come logica delle relazioni buone con altri, con se stessi e con l'Altro.
La pandemia è stata vissuta come un passaggio drammatico e inatteso. Ma il quadro planetario era già in gestazione e l'esperienza della crisi lo ha posto come irreversibile. Il libro traccia un itinerario di domande e si misura con la comprensione di un mondo nuovo, la cui soglia è già stata varcata.
Nel panorama della filosofia francese del Novecento, Vladimir Jankélévitch (1903-1985) emerge come figura di rilievo ma anche di complessa collocazione storiografica e ardua interpretazione teoretica. In "Fino al sacrificio", Giulia Maniezzi si propone di ricostruire e discutere criticamente uno degli aspetti del pensiero di Jankélévitch rimasti finora nella penombra: la condizione morale dell'uomo e il suo fondamento metafisico. La celebre affermazione jankélévitchiana secondo cui «la morale ne se distingue-t-elle plus de la métaphysique» è come il baricentro dei tre momenti argomentativi articolati nei tre capitoli del volume. Iniziando con un'indagine dettagliata circa lo statuto e il compito della filosofia prima, il testo si dirige successivamente alla presentazione critica della teoria jankélévitchiana della creazione e della temporalità, giungendo, infine, a scandagliare la questione della condizione morale nella sua portata metafisica.
Quest'opera, che rientra nell'ambito dei Cultural Studies, si sofferma su un aspetto che le teorie della narrazione spesso trascurano, ovvero il rapporto tra poetica, prassi e teoria. Il mondo della finzione è, perciò, analizzato sia nella sua costruzione poetica, sia nel suo influsso sul pubblico e sui lettori e sia nella sua apertura alla trascendenza. Il punto di collegamento fra poetica e trascendenza si trova, secondo l'autore, nel concetto di verosimiglianza, ovvero nella verità, bellezza e bontà che operano nella finzione. Essa ammette, quindi, diversi livelli di profondità: quella logica, indicata da Aristotele, che permette di introdursi nei mondi immaginari; quella metafisica della rappresentazione dell'esistenza umana; e quella gnoseologica in cui c'è il riconoscimento e il piacere estetico derivanti dalla scoperta della propria vita attraverso le vicende dei personaggi di finzione. Attraverso l'analisi di diverse opere letterarie e cinematografiche, l'autore mostra come la trascendenza sia l'autentica protagonista della finzione, mentre la riduzione postmoderna della bellezza narrativa a una sensibilità e a un'affettività autoreferenziali mostra tutta la sua contraddizione. Oltre alla sua apertura al vero, al bello e al bene, la trascendenza della finzione ha a che fare con la philia: la quasi-amicizia che si stabilisce fra l'autore/lettore e i personaggi letterari, e che porta la finzione a oltrepassare se stessa, al di là della stessa intenzione dell'autore e dell'opera. Non si tratta soltanto di una sorta di transfert emotivo con i personaggi, né di una fusione di orizzonti in grado di dare luogo a una mimesis educativa e catartica. È qualcosa di più. Qualcosa che può essere propriamente descritto come "amore", e che è alla base dell'influsso della finzione sulle nostre vite. È proprio in questo accostamento fra poetica narrativa e amicizia che si trova il contributo fondamentale di quest'opera.
Ogni volta che ci applichiamo a comprendere una storia, ragioniamo. Quando partecipiamo a una conversazione effettuiamo numerose inferenze, spesso in maniera del tutto automatica e inconsapevole. Lo stesso accade quando facciamo previsioni o ipotesi, quando pianifichiamo la nostra giornata, o giochiamo a carte. Spesso usiamo ragionamenti per tentare di convincere gli altri, o per resistere ai loro tentativi di convincerci. In altri casi invece ci serviamo del ragionamento, o inferenza, per svolgere compiti più specialistici: la ricerca scientifica, la pratica giuridica, la diagnosi medica o le investigazioni di polizia. Questo libro delinea un'estesa panoramica sul tema del ragionamento, oggetto di uno studio interdisciplinare ampio e ramificato, su cui convergono i contributi della logica, della psicologia cognitiva, dell'intelligenza artificiale, della filosofia e, più in generale, di quell'ampio spettro di ricerche che va sotto il nome di scienza cognitiva.
Il tempo che stiamo vivendo si fa spesso opaco, a tratti buio. Accade quando si perde l'attenzione per le cose davvero importanti. La pratica della cura è fondamentale per la vita: avere cura di sé, degli altri, delle istituzioni, della natura. Senza cura non può esistere una vita buona per l'essere umano. Ma in una cultura neoliberista la cura non trova la dovuta considerazione. Quando le essenziali attività di cura - quelle che procurano ciò che nutre la vita, quelle che riparano le situazioni difficili, quelle che edificano mondi - non trovano il giusto riconoscimento, la politica si inaridisce, perde la capacità di promuovere una vita pienamente umana. È tempo che la politica si ripensi daccapo per diventare una politica della cura.