
Per pensare l’educazione occorre interrogarsi sul nostro continuo parlare del bene: sulla sua speciale evidenza, sul suo nesso con la ragione ma anche con tutto il nostro sentire e con le umane possibilità di felicità. Queste pagine offrono una fenomenologia dell’esperienza umana del bene agli educatori, di oggi o di domani, affinché abbiano l’occasione di fare una sosta filosofica e considerare la responsabilità etica connessa al loro compito. Chi educa è chiamato non solo a rispondere del bene dell’altro, ma innanzitutto ad essere testimone credibile, e persino affascinante, della propria personale ricerca del bene.
Giuseppina D’Addelfio è professoressa associata di Pedagogia generale e di Filosofia dell’educazione presso l’Università degli studi di Palermo. Tra le sue pubblicazioni: Desiderare e fare il bene (Vita & Pensiero, 2008); Filosofia per bambini ed educazione morale (La Scuola, 2011); In altra luce. Per una pedagogia al femminile (Mondadori, 2016); Diritti per l’educazione. Contesti e orientamenti pedagogici (Scholé, 2020, con M. Amadini, A. Augelli, A. Bobbio, E. Musi); Affettività ed etica nelle relazioni educative familiari. Percorsi di Philosophy for Children and Community (FrancoAngeli, 2021, con M. Vinciguerra).
«Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari». È con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 che inizia la lunga battaglia − non ancora conclusa − contro la fame, il più grande genocidio silenzioso di tutti i tempi. Come tutelare il diritto fondamentale di ogni individuo a una adeguata nutrizione? E garantire quantità e qualità nell’alimentazione? Il sistema attuale di produzione alimentare è davvero sostenibile? Risponde a quesiti di rilevanza fondamentale un’etica del cibo, che analizza problematiche e propone soluzioni, volte ad assicurare la libertà dalla fame e il diritto al cibo, sensibilizzando sulla questione ambientale. In gioco il futuro stesso dell’umanità.
PAOLO GOMARASCA è professore ordinario di filosofia morale alla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Fa parte del comitato direttivo del Transdisciplinary Research on Food Issues Center (TROFIC) e del Centro di ricerca Relational Social Work (RSW) della medesima Università. È membro del Forum Lacaniano in Italia (FLAI) e dell’Internationale des Forums du Champ Lacanien. Tra le sue pubblicazioni: Enjeu cartésien et philosophie du corps (Peter Lang, 2012), Con l’inchiostro e il pennello. Lacan e Shiato (Mimesis, 2017).
La vita di tutti, specialmente delle nuove generazioni, si svolge sempre più nella dimensione online, sulle piattaforme social e attraverso le chat. Gli ambienti online non sono una simulazione di realtà, sono la realtà stessa delle relazioni interpersonali e sociali. Per questo occorre rielaborare lo sguardo sulla vita e sulla società nella consapevolezza che «virtuale è reale». Ispirandosi al Manifesto per la Comunicazione non ostile, Giovanni Grandi invita a porre attenzione agli stili comunicativi da preferire - quelli non aggressivi e rispettosi dell'altro - per prendersi cura delle relazioni. Dieci spunti di riflessione e discussione per chi desidera affrontare con semplicità e profondità la sfida etica dell'integrazione tra virtuale e fisico nelle interazioni e nelle relazioni. Prefazione di Rosy Russo, fondatrice e presidente di Parole O_Stili
Byung-Chul Han, tra i pensatori più importanti e più letti dei nostri tempi, affronta con stile nitido e conciso una delle fratture al cuore della società di oggi: la paura del dolore. Il mondo contemporaneo è terrorizzato dalla sofferenza. La paura del dolore è così pervasiva e diffusa da spingerci a rinunciare persino alla libertà pur di non doverlo affrontare. Il rischio, secondo Han, è chiuderci in una rassicurante finta sicurezza che si trasforma in una gabbia, perché è solo attraverso il dolore che ci si apre al mondo. E l'attuale pandemia, argomenta il filosofo tedesco-coreano, con la cautela di cui ha ammantato le nostre vite, è sintomo di una condizione che la precede: il rifiuto collettivo della nostra fragilità. Una rimozione che dobbiamo imparare a superare. Attingendo ai grandi del pensiero del Novecento, Han ci costringe, con questo saggio cristallino e tagliente come una scheggia di vetro, a mettere in discussione le nostre certezze. E nel farlo ci consegna nuovi e più efficaci strumenti per leggere la realtà e la società che ci circondano.
L'odierna ossessione per un'autenticità fondata sul narcisismo dell'Io, la costante ricerca del nuovo e dell'inedito, la bulimia consumistica dell'usa e getta che pervade ogni ambito determinano, nei rapporti e nelle pratiche che caratterizzano la società contemporanea, una sempre più evidente e sintomatica scomparsa delle forme rituali. Tuttavia, la struttura immutabile e ripetitiva, così come la teatralità dei gesti e l'attenzione riservata alla "bella apparenza", conferiscono ai riti un potere simbolico profondamente unificante. Il silenzio, il raccoglimento, il senso di sacralità necessari allo svolgimento del rito fondano un legame tra il sé e l'Esterno, tra il sé e l'Altro - i riti "oggettivano il mondo, strutturano un rapporto con il mondo", creando una comunità anche senza comunicazione. A questa comunità senza comunicazione, propria della società rituale, Han contrappone la comunicazione senza comunità, quel "baccano" in cui, in una società sempre più atomizzante, il soggetto si esprime e "si produce" ritrovandosi a girare a vuoto attorno a se stesso, privo di un mondo e di reali interazioni. Per infrangere questo cortocircuito, e all'interno di una più ampia critica delle patologie del contemporaneo, Byung-Chul Han propone un recupero del simbolismo dei riti come pratica "potenzialmente in grado di liberare la società dal suo narcisismo collettivo", riaprendola al senso di una vera connessione con l'Altro - e reincantando il mondo.
«Che cos'è il panteismo? Una nozione oscura e vaga, che afferma la contraddittoria unità di dio e del mondo e che ci è nota essenzialmente attraverso l'implacabile critica dei teologi, o qualcosa che dobbiamo ancora pensare nella sua verità? Il grande merito di questo "saggio sul panteismo" è di formulare da capo con sobrietà e chiarezza le condizioni che lo rendono pensabile. Una lettura attenta e, insieme, serrata delle sue folgoranti apparizioni nella storia del pensiero, da Davide di Dinant a Giordano Bruno, da Avicebron a Spinoza, da Scoto Eriugena a Campanella mostra che il panteismo non è una dottrina su Dio, ma il tentativo di pensare l'identità di mente e materia; non è una tesi sull'identità fra un Dio ubiquo e senza luogo e i luoghi del mondo: è, piuttosto, il tentativo di pensare l'aver luogo di ogni cosa in Dio e, insieme, il farsi sensibile di Dio in ogni cosa. Il panteismo è, allora, la revoca di tutti dualismi (sensibile/intelligibile, materia/ forma, essere/pensiero, soggetto/oggetto, causa/effetto, ma anche: sacro/profano, bene/ male) su cui la cultura occidentale ha fondato la sua inaudita potenza e, insieme - com'è oggi più che mai evidente - il suo rovinoso fallimento. In questo senso il panteismo non è una filosofia: è la filosofia, insieme prima e ultima, una sorta di filo rosso che traversa tutta la trama del pensiero e non può esserne tolto senza che tutto il tessuto - il testo - si laceri. E il lettore che avrà seguito l'acrobatica, puntigliosa argomentazione di Dattilo vedrà alla fine apparire limpidamente davanti al suo sguardo quel dio sensibile, che non è altro che la vita - unica, amorosa e incandescente - della mente e della materia».
Perché distruggiamo anche ciò che è buono? Cosa possiamo fare per rimediare alla distruzione? Cosa significa attraversare il male? In che relazione stanno riparazione e speranza? Sono alcune delle domande alle quali il volume cerca di rispondere. Il problema che si pone anzitutto al centro dell'attenzione è quello della distruzione che esercitiamo verso ciò da cui dipendiamo. La distruzione diventa fonte di un'angoscia che è tanto più grande e spaventosa quanto più viene rivolta contro ciò di cui abbiamo bisogno per esistere. D'altro canto, se non fossimo capaci di rimediare in alcun modo agli attacchi distruttivi di cui siamo responsabili, rimarremmo chiusi per sempre all'interno del male e della colpa angosciante che a noi si riconduce. Il libro, delineando un'etica del riparare, analizza l'intenzionalità riparativa nelle sue dinamiche fondamentali e nelle sue fondamentali applicazioni pratiche: la cura della sofferenza altrui, la rigenerazione e la salvaguardia della natura, lo studio e la trasmissione della cultura, la restaurazione della giustizia, sono tutte modalità secondo cui operiamo la riparazione del bene in opposizione all'accadimento del male. E sono, queste, anche le forme principali che assume il nostro più concreto impegno etico per un mondo migliore.
Scriveva Leopardi nelle Operette morali: "Un uomo fatto all'antica" è un uomo "dabbene e da potersene fi dare". Oggi questa immagine virtuosa è andata smarrendosi. Attribuire tale qualità morale a qualcuno può signifi care accusarlo di essere un conservatore, se non un reazionario. Nel migliore dei casi, si è tacciati di non stare "al passo con i tempi", di non saperne vedere i vantaggi. Questo libro mostra invece che l'essere all'antica implica alcune delle nostre qualità migliori. Fra queste, la sensibilità per le memorie personali e altrui, per la conoscenza storica, per virtù e valori che paiono dimenticati. E poi, si è tali per modi di fare, parlare, desiderare, non volti nostalgicamente al passato ma orientati a sentimenti in controtendenza, ostili verso ogni forma di volgarità. Piuttosto propensi alla pratica della lealtà, della generosità, dell'amicizia. L'essere all'antica, su cui il libro sfata i pregiudizi più frequenti, arricchisce e non sminuisce il nostro modo di esistere. Per non vivere di solo presente e non esserne troppo contagiati.
Nel quadro del progetto editoriale «Percorsi Mechrí», la collana «Mappe del pensiero» mette annualmente a disposizione dei lettori i risultati della ricerca condotta dall'Associazione milanese «Mechrí / Laboratorio di filosofia e cultura», con la direzione organizzativa di Florinda Cambria e la supervisione scientifica di Carlo Sini. Preceduto da "Vita, conoscenza" (2018) e "Dal ritmo alla legge" (2019), il nuovo volume collettaneo "Le parti, il tutto" propone una retrospettiva sui lavori svolti a Mechrí nel 2017-2018. Tali lavori sono riattraversati dalla curatrice mediante un montaggio di testi e materiali grafici che rammentano il senso delle ricerche svolte da ciascuno degli Autori nel Laboratorio di Mechrí. Oggetto d'indagine condiviso è la relazione fra il molteplice e l'intero, interrogata entro una costellazione di linguaggi diversi. Filosofia e matematica, cinematografia e scienze naturali tracciano così un orizzonte transdisciplinare, nel quale ogni prospettiva testimonia il proprio essere manifestazione di un «sapere comune». Il volume è arricchito da un'ampia riflessione sul tema della transdisciplinarità, come criterio compositivo di funzioni o forme del conoscere, e da un'ampia riflessione sulla nozione stessa di «forma». In Appendice una raccolta di scritti, nati durante i recenti mesi di confinamento per emergenza sanitaria, esaminano gli effetti di didattica e «formazione a distanza» sulle attuali dinamiche di trasmissione e costruzione di conoscenza e coscienza collettiva. Contributi di Mario Alfieri, Enrico Bassani, Eleonora Buono, Florinda Cambria, Andrea Cavaggioni, Riccardo Conte, Francesco Emmolo, Rossella Fabbrichesi, Giovanni Fanfoni, Gianfranco Gavianu, Lorenzo Karagiannakos, Egidio Meazza, Manuela Monti, Andrea Parravicini, Gabriele Pasqui, Enrico Redaelli, Carlo Alberto Redi, Carlo Sini, Michela Torri, Fernando Zalamea.
Claudio Cesa, uno dei più importanti studiosi di Hegel, ha chiamato a raccolta i maggiori studiosi del filosofo che, seguendo un metodo rigorosamente storico, ne analizzano e ne descrivono in modo sistematico e completo il pensiero. Un libro per tutti coloro che vogliono accostarsi alla sua riflessione filosofica, utile per chi voglia studiarlo.
La nonviolenza non è l’opzione di un’élite intellettuale, ma un’alternativa pratica che inizia dalla quotidianità di ciascuno. Essa non può dunque essere confusa con la passività o con l’indifferenza poiché sposta il piano del confronto dalla prova di forza a quello della riflessione sui valori e sulla giustizia, imponendo una modifica radicale nel modo di pensare della società civile. La riflessione di questo libro si snoda su due livelli: uno è storico, attraverso l’interpretazione di alcuni avvenimenti a partire dalla prospettiva nonviolenta, l’altro è filosofico-politico, sia attraverso il confronto con la tradizione occidentale sia proponendo una concezione tipicamente orientale, in cui la dimensione spirituale dell’essere umano svolge un ruolo essenziale.
Sommario
Prefazione (Debora Tonelli). Introduzione. 1. Non violenza nell’induismo, nel jainismo e nel buddismo. 2. Cristianesimo e non violenza. 3. Islam e nonviolenza. 4. Fondamenti filosofici della nonviolenza. 5. Gandhi e la nonviolenza. 6. La nonviolenza pragmatica. 7. Critiche alla nonviolenza. 8. La nonviolenza nel XX secolo. 9. La nonviolenza nel XXI secolo. Conclusioni: democrazia e nonviolenza. Ringraziamenti. Bibliografia.
Ramin Jahanbegloo, filosofo iraniano naturalizzato canadese, è professore di Scienza politica all’Università di Toronto. Nel 2006 è stato arrestato dalle autorità di Teheran con l’accusa di tramare per il rovesciamento del regime iraniano. Il Consiglio dell’Unione Europea e numerosi intellettuali – tra i quali Chomsky, Coetzee, Eco, Habermas e Rorty – sono intervenuti per la sua liberazione, avvenuta dopo quattro mesi di carcere. Nel 2009 ha ricevuto in Spagna il Premio per la Pace delle Nazioni Unite.
Debora Tonelli è ricercatrice senior presso il Centro per le Scienze Religiose della Fondazione Bruno Kessler di Trento.
"La filosofia di Umberto Eco" e stato pubblicato in prima edizione nella Library of Living Philosophers, fondata nel 1938, serie in cui, nel tempo, sono usciti volumi dedicati, tra gli altri, a Bertrand Russell, Albert Einstein, Jean-Paul Sartre e Hilary Putnam. La formula della collana prevede una Autobiografia intellettuale e il contributo critico di una ventina di studiosi, a livello internazionale, con la risposta per ciascuno da parte dell'autore. Eco, unico italiano nella serie, viene presentato al lettore di lingua inglese come "il più interdisciplinare studioso ad oggi e il più ampiamente tradotto". Fondatore della semiotica moderna, e noto in tutto il mondo per i suoi lavori sulla filosofia del linguaggio e l'estetica. Con la sua narrativa, e diventato figura di riferimento della letteratura contemporanea. I suoi scritti abbracciano ambiti fondamentali e disparati come la pubblicità, la televisione, le arti visive e i fumetti, come pure questioni filosofiche riguardanti la verità, la realtà, la cognizione, i linguaggi e la letteratura. I saggi critici di questo volume coprono tutto l'arco di tale produzione, spaziando attraverso i più vari territori di indagine. L'esito e un grande caleidoscopio, con tutti i volti di Eco e tutti i suoi "mondi", dove ciascun lettore potrà trovare il percorso a sé più affine. Partendo da un unicum, la sua Autobiografia, dove racconta come e successo che un bambino curioso di libri, che disegnava storie ispirate ai pirati dei Caraibi, sia diventato Umberto Eco.