
Il volume raccoglie alcuni saggi che costituiscono - a giudizio dell'autore - altrettanti contributi storiografici alla conoscenza dell'intera storia della filosofia, dai presocratici ad oggi. Non tutti i filosofi significativi vi sono considerati, perché molti di essi (per esempio Galilei, Kant, Hegel, Marx, Heidegger) sono stati oggetto di saggi precedenti, già ripubblicati. Trattandosi talora di scritti di occasione, i saggi sono in parte condizionati dalle circostanze in cui sono stati concepiti, ma tuttavia conservano - sempre a giudizio dell'autore - un significato più generale, e in ogni caso rispecchiano fedelmente il suo pensiero attuale. Per questo motivo sono stati inclusi nella raccolta anche saggi su pensatori poco noti, più o meno recenti, che meritano una particolare attenzione.
Categoria temibile e sfuggente, concetto che "corrompe e altera tutti gli altri" (Borges), l'infinito ha una storia millenaria, che coinvolge matematica, misticismo, letteratura e filosofia. In questo volume Zellini ne analizza l'evoluzione, dalla Grecia antica a oggi, dall'apeiron di Anassimandro alle attuali suggestioni dell'"infinito aperto".
Le nostre vite sono cambiate di colpo, travolte da qualcosa di inatteso. La società della tecnica si è fermata a causa del salto di specie di un microrganismo. Difficile accettare che sia tutto vero, faticoso capirne il senso. Questo diario meditato parte dal racconto di un tempo sospeso per farne una lettura del nostro vivere insieme, che troppo a lungo abbiamo maltrattato; ora siamo chiamati a prendercene cura diversamente, per ripensare in modo responsabile il cammino tra generazioni.
Fare l'elogio del rischio in un'epoca che cerca prima di tutto la sicurezza, l'azzeramento dell'incertezza e ci inonda di previsioni, calcoli delle probabilità, scenari politici e finanziari, valutazioni psichiche, sondaggi...sembra un'impresa impossibile, controcorrente, destabilizzante. Ma proprio questo fa Anne Dufourmantelle: rimette, si può dire, le cose a posto, restituendo al rischio la sua valenza di occasione per riattivare la libertà di decidere, per aprire una linea d'orizzonte nuova e trovare una dimensione del tempo e della relazione non più schiava del controllo e della dipendenza. Perché il rischio di cui parla in questo libro non è certo la temerarietà, la scossa adrenalinica di chi gioca a dadi con la vita, ma, nelle sue stesse parole, una «piccola musica», un «meccanismo segreto» in grado di condurci davanti alla notte, all'ignoto, al desiderio, per riconquistare la vita vera. È il rischio di affrontare e riconoscere le nostre «passioni negative», le esperienze critiche che ritmano la nostra esistenza, di fronte alle quali di solito indietreggiamo, e un po' moriamo. Perché spesso, per volerla proteggere troppo, finiamo per perderla, la vita. Quella vera, ricca di senso, di amore, di gioia. In brevi capitoli, con una scrittura che è la sua cifra personale, poetica e profonda, lancinante e delicata, Anne Dufourmantelle affronta «crisi» tra le più consuete e le più impegnative - la tristezza e la paura, la dipendenza, i traumi familiari e l'omologazione sociale, la solitudine e l'abbandono, i rimossi, le nevrosi - ben consapevole che superarle positivamente non è affatto facile. Ma, alla fine, prendersi il rischio della libertà interiore è prendersi il rischio di amare e di amarsi, di assaporare la vita come un dono quotidiano e aperto all'incognito, all'insperato.
Esercizi spirituali: prima di essere una costruzione concettuale, la filosofia antica era un cammino preparato e accompagnato da esercizi per trasformare la propria visione del mondo e il proprio modo di vivere. Gli scritti di Arnold I. Davidson qui raccolti mostrano come questo cammino sia percorribile ancora oggi, non necessariamente seguendo solo la strada delle categorie tradizionali della filosofia, ma sperimentando altri percorsi, come quello dell'improvvisazione musicale, che secondo Davidson è in grado di diventare un altro genere di pratica filosofica. Pensando insieme straordinari musicisti come Cecil Taylor, Sonny Rollins e Steve Lacy e grandi filosofi come Pierre Hadot, Michel Foucault e Stanley Cavell, l'autore si domanda cosa significhi pensare l'etica e la politica come pratiche di libertà, come atti creativi che danno una forma individuale e collettiva al nostro ethos e al nostro modo di vivere.
La dimensione estetica associa l'umano sentire a un "comune" che si è soliti qualificare "universale" per via di una natura percettivo-sensibile di cui tutti siamo partecipi e che l'arte trasfigura in forme. Di questo sentire ci parlano le voci diversissime eppure segretamente accordate di venti figure esemplari della cultura moderna che hanno intrecciato nei loro sguardi Occidente e Oriente e che sono qui ripartite sotto tre insegne. La prima, Sguardi da Occidente, allinea le voci di Goethe, Schlegel, Schopenhauer, Montessori, Rilke, Focillon, Lacan, Malraux, Lévi-Strauss, Dorfles, Barthes, Zolla. Sotto la seconda, Sul confine tra Occidente e Oriente, troviamo Solov'ëv e Florenskij. La terza, Sguardi da Oriente, raccoglie le interpretazioni di Tagore, Nishida Kitar?, Coomaraswamy, Kuki Sh?z?, Fung Yu-lan, François Cheng. Sono venti perle di un pensiero comparativo con due secoli di storia scelte per costituire un unico filo di riflessioni sulla bellezza, sullo svelarsi inesauribile dei suoi riflessi; perché, come dice Solov'ëv, «la bellezza non appartiene né al corpo materiale del diamante né al raggio di luce che quello rifrange ma è un prodotto d'ambedue nella loro azione reciproca».
Perché ci prendiamo cura degli altri anche quando non siamo legati da rapporti personali? Perché lottiamo per la giustizia anche quando non ci riguarda direttamente? Quali sono, insomma, i fondamenti motivazionali che ci spingono ad agire eticamente e ad adottare comportamenti socialmente empatici? La risposta a questa domanda richiede di interrogarsi sul ruolo delle passioni, per gettare un nuovo sguardo sui due paradigmi nei quali si riassume di fatto la proposta etica del nostro tempo. Partire dalle passioni (come invidia e indignazione, paura e compassione, risentimento e amore), purché affrancate da ogni sospetto di irrazionalità, ci consente in primo luogo di pensare un'idea di giustizia diversa da quella che fonda il paradigma razionalistico corrente, per mostrarne piuttosto i fondamenti affettivi e distinguere tra pretese legittime e pretese illegittime di giustizia. In secondo luogo, ci consente di sottrarre la cura a una visione altruistico-assistenziale per mostrarne, insieme alla complessità emotiva non priva di aspetti perturbanti, le potenzialità di una forma di vita. Infine, permette di riaffermare, contro ogni riduzione unilaterale, la complementarità tra le due prospettive etiche, tanto più necessaria quanto più esse sono chiamate a misurarsi con le sfide radicali del nostro mondo globale: prima fra tutte, l'ampliamento dell'idea stessa di altro attraverso le due figure inedite dell' altro distante nello spazio (lo straniero, il diverso) e dell' altro distante nel tempo (le generazioni future). Muovendosi attraverso i grandi classici della «simpatia» (Hume e Smith), la riflessione filosofica del Novecento (da Anders a Jonas, da Arendt a Derrida, da Mauss a Ric?ur) e il dibattito contemporaneo (da Rawls a Sontag, da Gilligan a Nussbaum, fino a Foucault e Sloterdijk), Elena Pulcini si chiede quali passioni presiedano alla lotta contro l'ingiustizia e quali alimentino la capacità di una buona cura, confidando nella genesi di un soggetto emozionale: un soggetto che attraverso la dinamica interminabile della relazione con l'altro, sappia distillare dalle passioni la qualità etica e generativa capace di promettere un mondo migliore.
Nel cercare di comprendere quello che sta accadendo in Italia ma anche nel resto del mondo, dopo la comparsa agli inizi del 2020 del virus SARS-CoV-2, Paolo Becchi decide per un approccio riflessivo e inedito, nel panorama dei troppi schiamazzi e proclami televisivi e non solo, elevando la discussione ad interessante meditazione filosofica e introducendo il lettore al concetto di biopolitica. Come lui stesso le definisce, quelle che seguono sono pagine controcorrente e provocatorie, ma che ben illustrano come si stia utilizzando una emergenza per modificare stili di vita, abitudini, modi di essere che hanno contraddistinto la nostra società. Una dissertazione carica della lucidità di uno sguardo schietto e consapevole su eventi che siamo ben lungi da aver capito ancora a pieno.
Lo scrittore Albert Camus non è morto nell'incidente del 4 gennaio 1960. Un suo grande amico, il genetista Jacques Monod, va a trovarlo in ospedale. Stanno scrivendo un libro insieme. Leggono le bozze, ricordano le avventure durante la Resistenza a Parigi. Nel segno del disincanto, prende forma una visione del mondo. La scienza ha svelato la finitudine di tutte le cose: dell'Universo, della Terra, delle specie, di ognuno di noi. Come trovare un senso all'esistenza accettando la nostra finitezza? Camus e Monod passano in rassegna le possibilità laiche di sfidare la morte. L'investigazione diventa un giallo filosofico. Forse la finitudine non implica nichilismo, ma al contrario solidarietà, rivolta, una vita piena. In un gioco raffinato di fatti e finzioni, "Finitudine" è la storia della vera amicizia tra due Premi Nobel, un dialogo avvincente, un libro dentro un libro.
Il XXI secolo si sta rivelando marcato dall'aumento delle disuguaglianze sociali, da guerre di ogni genere, dalle conseguenze devastanti del cambiamento climatico, nonché dall'ascesa di partiti conservatori e reazionari, i quali a loro volta stanno intensificando tali fenomeni: questo è il volto tangibile dell'Antropocene, qui inteso come l'aumento dell'entropia termodinamica, biologica e dell'informazione causato dalle attività umane. È in tale contesto di urgenza che nasce il Collettivo Internation, guidato dal grande filosofo francese Bernard Stiegler, che in questo libro analizza i concetti di entropia e località. Abbandonata spesso nel ripostiglio dei principi politici, la località - da non confondersi con il localismo delle retoriche sovraniste - oggi può essere la chiave per ripensare la ricerca e il sapere, la collettività, la tecnologia e la politica, in direzione ostinata e contraria rispetto al processo che ha condotto all'Antropocene.
I “giardini di Adone” erano vasi in cui si facevano crescere piante a rapida fioritura per la festa del giovane amato da Afrodite. Adone era stato ucciso da un cinghiale istigato da Marte (ma forse il cinghiale era Marte…), l’amante “storico” della dea. Dal pianto della dea era nato il fiore dell’anemone. Socrate adopera i giardini di Adone come metafora della scrittura filosofica. Poiché la filo-sofia è, per definizione, una ricerca “aperta”, una ricerca incessante e inquieta, senza fine, nessun testo scritto può essere un punto fermo, un punto d’arrivo. La scrittura filosofica quindi non è che un gioco e chi si fermasse nella contemplazione dei propri risultati non sarebbe un filosofo ma, al più, un “professore” o un erudito. Però attenzione: perché, se la scrittura filosofica è un gioco, questo gioco, se praticato, deve essere preso seriamente: ogni improvvisazione, superficialità e sciatteria è improponibile; se si scrive, bisogna scrivere bene. Il tema affrontato da Platone nel Fedro è ancora d’attualità: anzi è più che mai d’attualità. Jean-Francois Lyotard ha scritto (ne La condizione post-moderna) che la nostra non è più l’epoca delle “grandi narrazioni” ma delle “piccole narrazioni” (che sono, per definizione, più attente alla scrittura). Jacques Derrida – sulla scia di Nietzsche e di Heidegger – ha concentrato l’attenzione sulla genesi dell’opera e sulla scrittura. Infine Richard Rorty ha distinto i “filosofi rivoluzionari” (quelli che hanno davvero qualcosa da dire) in sistematici ed edificanti. Questi ultimi si esprimono con una scrittura più frammentaria – spesso un commento o una “contro-scrittura”. Insomma, l’interesse per l’argomento “scrittura dei filosofi” (una volta trascurato dagli storici come ininfluente e irrilevante) sta diventando decisamente centrale nella riflessione post-moderna.
In questo libro si affronta il tema della scrittura filosofica: e se Malatrasi e Petrucci si immergono in profondità nel testi platonici, cogliendone l’andamento narrativo e rivelandone aspetti inediti, Ramploud esplora la differenza fra l’alfabeto cinese e quello greco (il primo “iconico” e “immanente”, il secondo “simbolico” e “trascendente”) e Moietta sottolinea l’importanza che ha avuto la lingua greca nella nascita e nello sviluppo della filosofia: “La Filosofia conosce… nella scrittura alfabetica la propria condizione trascendentale”. Rimane da ricordare il contributo di Casalboni che – partendo dal Fedro – ci conduce alla scoperta di un libro, I Neoplatonici, scritto nell’Ottocento e rimasto inedito per cento anni.
Nei giardini di Adone nasce da un lavoro di squadra. Cinque autori – gli stessi de Abecedario Filosofico (2019) – prendono spunto dal Fedro per osservarlo da diverse prospettive. Ne scaturisce l’attualità del Fedro (e di Platone) ma anche l’attualità dei vari interventi. “Ripensare” è pensare, cioè affrontare un tema perenne. Deve il filosofo scrivere oppure no?
GLI AUTORI
Alberto Casalboni ha insegnato Lettere. Laurea in Teologia, Laurea in Lettere Classiche, Laurea triennale in Culture e Diritti umani e Laurea Magistrale in Relazioni internazionali. Pubblicazioni: articoli su argomenti vari, in particolare sulla Divina Commedia.
Gian Luca Malatrasi, insegnante di Filosofia e storia. Laureatosi con una tesi su Heidegger, ha progressivamente spostato i suoi studi su questioni politiche ed economiche, con esplicite influenze di matrice foucaultiana e marxista. Autore di articoli e recensioni in ambito filosofico, ha al suo attivo anche pubblicazioni sul romanico.
Enzo Moietta ha insegnato Filosofia e Scienze della Comunicazione. I suoi interessi sono orientati verso il dibattito filosofico del Novecento, con particolare rilievo ai temi del linguaggio e della scrittura. Tra le sue pubblicazioni: Bilder von Jurge Tannen, Galerie Medici, Solothurn (CH), Giochi con carte truccate. La tautologia in Gregory Bateson (con A. Greppi), Antonio Pellicani Editore, Roma 1994; Un sonno senza sogno in Metamorfosi delle differenze, Aracne, Roma 2015.
Antonio Petrucci ha insegnato Filosofia, svolgendo anche un’intensa attività di giornalista, saggista, narratore. Ha collaborato a vari volumi collettivi fra i quali l’Abecedario filosofico (2019). Ha scritto un romanzo, Lottando con l’Angelo (2020), ispirato alla vita di Dostoevskij.
Alessandro Ramploud dopo la laurea in filosofia consegue un dottorato di Ricerca in Scienze Umanistiche. È attualmente docente ricercatore al dipartimento di matematica dell’Università di Pisa. La sua attività di ricerca è caratterizzata dall’interesse per la trasposizione culturale sulla quale ha pubblicato diversi contributi.
Un classico della cultura giuridica che ha fatto dire a Norberto Bobbio: «Finalmente esiste in Italia (dico in Italia, ma potrei dire sulla faccia della terra) una storia della filosofia del diritto, non angustamente scolastica, non puramente nozionistica e per di più completa». Il lettore vi troverà un panorama rapido, ma chiaramente delineato, della storia della filosofia del diritto occidentale; il ricercatore potrà farne il punto di partenza di una ricerca approfondita. Carla Faralli, allieva di Fassò, ha curato quest'edizione aggiornandola fino ai giorni nostri.