
Prendendo spunto dalle parabole della misericordia secondo Luca, Turoldo riflette lungamente sul tema dell'amore di Dio: di un Dio che è "infelice" per non vedere pienamente realizzata la felicità dell'uomo oggetto del suo amore. Un libro in cui meditazione e passione si intrecciano, silenzio e grido si compongono. A distanza di decenni dalla sua prima edizione, vale ancora presentare questo volume con le parole di un grande critico letterario, Geno Pampaloni: "Una fervida contraddizione fa da sottofondo a questo ricchissimo libro e a tutta l'opera di padre Turoldo. Da un lato, il canto di gloria a Dio ("Dio d'amore, o fonte di gioia / vogliamo offrirti un inno di grazia"); dall'altro il sentimento penitenziale, l'umiltà, l'invocazione al silenzio. Da un lato l'illusione umana di "raggiungere l'infinito", anche con "le parole più grosse e sonanti"; dall'altro la consapevolezza che Cristo è "premuroso di non tradire l'infinito". Da un lato la sintesi, l'entusiasmo e la gioia della riconoscenza; dall'altro, l'umiltà di quella riconoscenza".
È la storia (vera!) di un giovane operaio che lavora nella calzatura, ragazzo normale di una piccola città di provincia? Tutto normale finché, con la moglie, cambia casa e va ad abitare in una casa che era appartenuta a un violinista. Qui comincia a sognare, tutte le notti, dieci violini, ognuno con il proprio nome, e sogna anche le istruzioni per la loro costruzione, che lui si annota su fogli di carta. E lui, che non l'aveva mai fatto, si improvvisa liutaio e comincia a costruirli. Finito di lavorarli, incontra un violinista a cui ne porta uno: questi resta entusiasmato e sul violino compone una sonata che dedica a papa Francesco. A un concerto in Argentina la sonata viene ascoltata da un amico di Bergoglio che ne parla al Papa. Francesco, benedice il violino "strumento di pace"?
Il 15 febbraio del 1966 si concluse a Roma un processo destinato a segnare la storia politica e culturale del nostro paese. In quel giorno, infatti, don Lorenzo Milani venne processato per il reato di apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile. La colpa del priore di Barbiana era quella di aver scritto la "Lettera ai cappellani militari" in cui aveva difeso l'obiezione di coscienza al servizio militare e il dovere della disobbedienza a ordini sbagliati. Nel pieno della guerra fredda, questa provocazione doveva essere punita in modo esemplare. Don Lorenzo, già gravemente malato, si difese con una "Lettera ai giudici" poi pubblicata in "L'obbedienza non è più una virtù", uno dei testi antesignani del '68 italiano. Assolto in primo grado, il priore di Barbiana fu condannato nel processo di appello, tenutosi nell'ottobre del 1967, ma la pena fu estinta per la morte del 'reo' avvenuta il 26 giugno dello stesso anno. Seguendo il filo della vicenda processuale, il libro ricostruisce il clima di quegli anni cruciali, i dibattiti e le polemiche intorno al Concilio Vaticano II, il ruolo e il peso di personalità straordinarie come il teologo del dissenso Ernesto Balducci, il 'sindaco-santo' Giorgio La Pira e il cardinale di Firenze Ermenegildo Florit. E soprattutto ricorda a tutti noi la grande lezione di don Milani: non esiste obbedienza vera, profonda, non formale, senza disobbedienza come processo critico di assunzione di responsabilità.
Per ogni giorno dell'Avvento l'autore suggerisce una riflessione, un esercizio pratico e un piccolo rituale da sperimentare concretamente, anche insieme ad amici e familiari per riscoprire la ricchezza esistenziale dell'Avvento e del Natale. Per ognuna delle quattro domeniche di Avvento, viene poi offerta una breve meditazione che aiuta ad approfondire il mistero e la magia di questo tempo speciale. Infine Grünn spiega, facendone emergere tutta la potenza positiva, i simboli dell'Avvento e del Natale: il bambino divino, la corona, la candela, il presepio, l'albero, l'angelo, la stella, la notte santa?
La donna "quale crocevia di molti altri problemi sociali, umani e religiosi del nostro tempo" è il tema di questo volume. Il mistero femminile si esprime in pienezza nella Donna per eccellenza, Maria, principio di una nuova umanità. La parola di Dio scrutata con amore nel suo radicarsi dentro la storia e un fine intuito della psicologia della donna danno a queste pagine un afflato spirituale e poetico.
Dalla situazione attuale della Chiesa cattolica viene una particolare spinta a rimettere a fuoco il tema del magistero. Dopo l'avvento al papato di Jorge Mario Bergoglio si sono mosse le acque - secondo alcuni pericolosamente, secondo altri felicemente. In qualche maniera, se pure in misura minore, si rivive il clima del concilio Vaticano II. Papa Francesco, infatti, intende far uscire la Chiesa dalle trincee nelle quali sembra essersi rinchiusa, nell'ansia di dover contrastare un'evoluzione del costume e della legislazione che sta travolgendo il millenario «ethos» della tradizione cristiana. Solo superando il fossato che rischia di riaprirsi fra Chiesa e società civile, papa Francesco conta di trovare spianata la strada alla riproposizione del vangelo agli uomini di oggi. Egli è ben consapevole che nella fede non si procede superando l'antico dettato dottrinale e la normativa etica tradizionale e affida, quindi, la sua impresa a un cambiamento dello stile, delle forme e dei metodi del magistero. È proprio questo che sconcerta molti ed è su questo aspetto che vale la pena puntare l'attenzione per cercare di comprendere verso quali orizzonti si muova la missione della Chiesa nel mondo.
"Quand'ero protestante, la mia vita era tranquilla e la mia preghiera infelice; da quando sono cattolico, la mia vita è infelice e la mia preghiera tranquilla". Il diario di Newman (1801-1890) va dal 15 dicembre 1859 al 10 settembre1876 ed è composto di pagine scarne, paragonabili a certe riflessioni tumultuose e angosciose di sant'Agostino. Come scrive nella prefazione don Primo Mazzolari: "Newman ha scritto queste pagine sul declino della sua giornata ed esse prendono luce di tramonto, quando i rimpianti minacciano di soffocarci".
Sessanta vignette per sorridere con dolcezza sul pontificato di Papa Francesco, dalla penna di uno dei maggiori vignettisti tedeschi.
Le Tempeste, racconti ancora inediti in Italia e ora per la prima volta tradotti dall'arabo, occupano un posto importante nella produzione di Gibran. Precedenti di un anno l'uscita de Il Profeta, sono fondamentali per la comprensione dell'opera principale. Rispetto al Gibran più noto non mancano però le differenze. Anzitutto qui prevale una vena pessimistica. Emblematico a questo proposito l'apologo Il demonio, dove un sacerdote, venuto in soccorso di un ferito grave scopre che questi è appunto il demonio. L'aiuto prestato al più terribile dei nemici, l'impossibilità di fare diversamente, per Gibran significa riconoscere in modo spregiudicato il Male come ineluttabile, o meglio come volto nascosto e necessario del bene. Quella della "tempesta" è un'immagine per dire gli aspetti negativi del mondo, gli sconvolgimenti della natura e della vita interiore, da cui l'uomo uscirà con la riflessione e l'illuminazione. Ma non solo. Il suo significato è anche autobiografico, e rimanda alla presenza in Gibran di due anime, quella orientale e quella occidentale, ancora in conflitto e non in armonia come accadrà ne Il Profeta. Gli interrogativi che attraversano questi racconti troveranno nella figura del Profeta risposte sicure e rassicuranti, tutte positive. Per questa ragione Le Tempeste si pongono come lettura indispensabile per seguire la genesi del pensiero di Gibran.
Un testo inedito del 1975, ritrovato fra le carte di Carlo Maria Martini. Un viaggio meditativo sulla vita dell'anima e la lotta spirituale, proposto dall'allora Rettore del Pontificio Istituto Biblico di Roma, che sarebbe poi diventato cardinale di Milano. In questo scritto - recuperato a seguito del lavoro di riordino e archiviazione a cura della Fondazione Martini - si rivela ancora una volta non solo il fine esegeta della Sacra Scrittura e il pastore che sarebbe stato poi grandemente ascoltato negli anni milanesi, ma anche il profondo scrutatore dell'animo umano capace di scandagliare le vanità e le debolezze dell'io nel costante combattimento fra l'opzione fondamentale per il bene e la resa di fronte alla fascinazione del male. Questa sorta di "manuale di vita interiore" aiuta a guardarsi dentro, a individuare le nostre inquietudini, a difendersi dal "morso dello spirito negativo" e ad affrontare quello stato di "desolazione spirituale" sempre in agguato sulla strada di chi vuole seguire il Vangelo; non manca un'instancabile esortazione alla fiducia, soprattutto quando si cade nei tentacoli delle forze oscure del maligno, perché come scrive Martini in queste pagine: "Tornerà il sereno. Dovremo solo attendere il riapparire del sole interiore, della luce dell'anima, con disposizione paziente, risoluta e coraggiosa". Prefazione di Enzo Bianchi.
Teilhard de Chardin ripercorre con questi scritti il dibattito sull'evoluzionismo che ha attraversato la prima metà del xx secolo. Sostenendolo con argomentazioni scientifiche estremamente competenti. Fin dal 1926 scrive: "l'evoluzionismo scientifico non è semplicemente un'ipotesi a uso degli zoologi, ma una chiave di cui ciascuno si serve per penetrare, in qualsivoglia compartimento del Passato, la chiave del Reale universale". Ogni essere è frutto di una gestazione che l'ha preceduto: "Parzialmente, in modo infinitesimale, senza nulla perdere del valore individuale, ogni elemento è coestensivo alla storia, alla realtà del Tutto". Tuttavia "l'Evoluzione non è 'creatrice'... ma è, per la nostra esperienza nel Tempo e nello Spazio, l'espressione della Creazione". Di una creazione definita da Teilhard un "lungo gesto" che anima e regge il Divenire. Un Divenire che attuandosi attraverso la legge di complessità-coscienza sospinge la Materia, attraverso stadi successivi, a caricarsi di libertà e di Spirito. E sarà infine sorprendente intuire con Teilhard come la visione evoluzionistica del mondo, lungi dall'orientare al materialismo, sia una possibile "scuola di una migliore spiritualità e di alta moralità".