
I maggiori fabbri del volgare europeo, quello pittorico (Giotto), e quello letterario (Dante), si incontrano nella figura di san Francesco - quasi che il loro nuovo linguaggio nascesse precisamente dalla necessità di rappresentarla. Ma l'incontro si rivela un conflitto: le loro interpretazioni della rivoluzione francescana divergono radicalmente e tuttavia non riescono a dar ragione del "crocefisso di Assisi", giacché entrambe lo tradiscono. Eppure, attraverso questi tradimenti, si afferma quello spirito che segnerà la nascita della nuova Europa.
Nel racconto della sua vita, sant'Ignazio ignora gli avvenimenti anteriori al 1521, anno della sua conversione. Come in altre grandi autobiografie religiose, ci viene così presentata l'immagine di una esistenza spezzata in un prima e in un dopo incommensurabili e discontinui, e il percorso fra questi due termini si compie attraverso una storia tortuosa e virulenta che ci rivela progressivamente l'eccezionale complessità della figura di sant'Ignazio. In lui sono congiunte in un nodo strettissimo personalità apparentemente incompatibili: il visionario e il tattico, il politico e l'estatico. Egli è il «contemplativo nell'azione» secondo la perfetta definizione del suo compagno Jerónimo Nadal. Ma sant'Ignazio, nella sua autobiografia, sceglierà per sé un altro nome, il Pellegrino: vorrà cioè apparire, innanzitutto, come un essere votato a seguire fino in fondo un percorso già tracciato. Non si fa differenza tra fatti e introspezione: i casi e gli incidenti, le visioni, le grazie e le disgrazie vi assumono l'identica natura di segni coinvolti nello scambio continuo che c'è fra il Pellegrino e Dio: ogni dato è una mossa, in un gioco nell'assoluto fra due parti infinitamente sbilanciate.
L’incontro di Francesco d’Assisi con il lupo di Gubbio narrato nei Fioretti – in cui Francesco ammansisce un lupo feroce che spaventava la città – è uno degli episodi più famosi della vita del Santo, sicuramente uno di quei momenti emblematici che hanno formato il nostro immaginario collettivo insieme alla predica agli uccelli. Oggi più che mai, questi due racconti toccano profondamente la nostra sensibilità, così attenta alle tematiche ecologiche. Non a caso san Francesco è un modello attualissimo per la sua speciale capacità nel ristabilire rapporti equilibrati e integrati tra l’uomo e la natura. Questa lettura, però, mette in luce solo un aspetto del significato metaforico della vicenda del lupo di Gubbio, il cui messaggio invece è essenzialmente politico: non si tratta, infatti, di avere pietà del lupo in quanto tale, ma in quanto escluso dalla città. A questo proposito, la storia solleva domande difficili e cruciali: come integrare il diverso e l’escluso all’interno dei rapporti cittadini? È possibile e giusto effettuare una tale operazione o l’unica soluzione a questo conflitto è la scelta oppositiva guidata dalla violenza? Con grande competenza e sensibilità, tenendo ben presente l’urgenza delle questioni legate all’integrazione che agitano il nostro tempo, Pietro Maranesi rilegge la parabola di Francesco e il lupo evidenziando la necessità di un ruolo nuovo, quello del mediatore politico, una figura capace di far superare al gruppo sociale le tensioni che normalmente nascono all’arrivo del “diverso”, e sia in grado non solo di gestire le paure, in modo che non sfocino nella violenza, ma addirittura di trasformare quella novità in opportunità di vita a vantaggio della comunità intera.
San Francesco non solo si è impegnato in prima persona a favore della pace e della riconciliazione, ma ha anche adottato atteggiamenti e strategie politiche che possono essere assolutamente valide ancora oggi per chiunque voglia impegnarsi a favore di una società inclusiva.
Pietro Maranesi, frate cappuccino, è rettore dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Assisi e docente di Teologia dogmatica e Francescanesimo all’Istituto teologico di Assisi. È autore di varie pubblicazioni tra le quali Facere Misericordiam (Porziuncola, 2007), Francesco di Assisi e i Frati Minori (Cittadella, 2012), La clausura di Chiara d’Assisi (Porziuncola, 2018), La verità di Nicodemo (Cittadella, 2019).
"Dopo averci piacevolmente colpito con romanzi di forte impatto emotivo e umano Gisella Pagano, con il suo nuovo libro, 'Fiori sparsi del Padre', decide di dare voce alla sua abilità giornalistica, maturata in una più che decennale esperienza con la regia documentaristica, attraverso un testo che unisce le caratteristiche di una cronaca storica, all'empatia verso i protagonisti della stessa. 'Fiori sparsi del Padre', ripercorre la vita di Padre Pio, attraverso Io sguardo unico, amico e benevolo di Padre Carmelo, suo figlio spirituale prima e poi suo Superiore presso il Convento di S. Giovanni Rotondo. Una narrazione coinvolgente nella sua capacità di focalizzarsi sui dettagli storici ma soprattutto emotivi, che ricostruiscono le identità profonde dei protagonisti. Le pagine, narrate con abile regia, diventano testimonianza viva e autentica di un rapporto cresciuto nei decenni, capace di superare innumerevoli difficoltà, soprattutto nel periodo più difficile per la vita del Santo di Pietralcina. Grazie all'innata capacità figurativa dell'autrice, la voce di Padre Carmelo da Sessano rivive attraverso queste pagine ricche di umanità e consapevolezza, in un susseguirsi di momenti intensi e toccanti." (Pina Labanca)