Per quasi cinque secoli si sono accumulate scoperte scientifiche che hanno suggerito che fosse possibile spiegare l'Universo senza la necessità di un Dio creatore. Inaspettatamente, il pendolo della scienza ha oscillato nella direzione opposta. Dopo aver definito cosa sia una prova nella scienza e le implicazioni delle due tesi opposte dell'esistenza o meno di un Dio creatore, il libro affronta le scoperte scientifiche degli ultimi 150 anni, che hanno portato a una vera rivoluzione concettuale. Solo 100 anni fa tutti gli scienziati pensavano che l'Universo fosse eterno e stabile, mentre oggi sappiamo che ha avuto un inizio, avrà una fine, è in espansione e proviene da un Big Bang. Questo punto solleva la questione di un Dio creatore. La scoperta della regolazione fine dell'Universo, che rende possibile l'esistenza degli atomi, delle stelle e della vita complessa, è un secondo punto chiave che solleva anche la questione della sua origine. In un linguaggio accessibile a tutti, gli autori offrono un'affascinante panoramica delle prove scientifiche dell'esistenza di Dio. Vengono così portate alla luce evidenze razionali convergenti, in campi indipendenti, che gettano una luce nuova sulla questione, forse, decisiva. Con i commenti finali di Vincenzo Balzani, Noemi Di Segni, Roberto Giovanni Timossi, John C. Lennox, Andrew Briggs, Denis Alexander, Luc Jaeger, Cardinale Robert Sarah, e Monsignor André Léonard.
Nel mondo occidentale le immagini dipinte o scolpite sono state per lungo tempo considerate «incarnazioni» del Divino, e hanno trovato in questa loro natura duplice, celeste e terrena insieme, la propria giustificazione. Nel divenire uomo, Cristo stesso si è fatto «figura» fondando per i Padri della Chiesa la legittimità dell'immagine. Le immagini di culto hanno dunque potuto acquistare nei millenni dimensioni affettive e liturgiche: esse sostengono, accolgono, ravvivano il vincolo che tiene insieme una comunità, così nel cristianesimo occidentale sino alla Riforma e nel cristianesimo ortodosso. Questo libro indaga e interroga i teologi della prima età moderna - Erasmo o Calvino - ma anche scrittori e filosofi - Dostoevskij e Florenskij, Heidegger, Simone Weil, Pasolini - che hanno espresso un ragionato dissenso in rapporto alle avanguardie otto-novecentesche, rivendicando invece il fondamento metafisico o religioso dell'immagine.
Agli albori del XV secolo, in un'abbazia benedettina di Padova, fu rinvenuta una teca contenente i resti mortali dello storico romano Tito Livio. La scoperta fu accolta con lo stesso entusiasmo riservato alle reliquie di un santo cristiano e servì a stabilire una serie di modelli e pratiche rivelatisi durevoli. Il volume racconta le storie degli antiquari rinascimentali, i quali trasformarono i resti materiali del mondo antico in fonte d'ispirazione per studiosi e artisti, esempi per le decorazioni di palazzi e chiese, oggetti di culto e luoghi di pellegrinaggio. Gli autori accompagnano il lettore all'interno di scantinati, caverne e cisterne, spiegando come venivano intrapresi gli scavi e facendo luce sui metodi che gli antiquari - nonché gli alchimisti e gli artigiani da loro consultati - utilizzavano per interpretare le loro scoperte. Ne emerge non tanto una storia delle origini dell'archeologia moderna o della storia dell'arte, quanto un resoconto del modo in cui le abilità artigianali e le competenze tecniche dell'Età moderna furono utilizzate per creare nuove conoscenze sul passato e ispirare nuove forme di arte, erudizione e devozione nel presente.
La scala mistica nella letteratura religiosa è quella che unisce terra e cielo, ovvero il cammino che l'uomo deve percorrere per ascendere a Dio. Con questo titolo, il libro presenta quindici saggi, opera di specialisti del settore, su altrettante figure importanti nella storia della mistica, dai suoi inizi fino al Medioevo, raccogliendo le lezioni di un ciclo di seminari svoltosi in modalità on-line nella primavera 2022, a cura del Centro per la Meditazione Cristiana di Firenze. Il volume si apre con un saggio sul capostipite della mistica occidentale, Platone. Si concentra poi sul momento critico del passaggio tra antichità classica e mondo cristiano, esaminando figure essenziali come Origene, Plotino, Agostino, i Padri e le Madri della Chiesa, giungendo fino alla pienezza dell'esperienza spirituale cristiana, nel Medioevo, con figure quali Guglielmo di Saint Thierry e Ildegarda di Bingen. Il valore del libro è perciò duplice: mentre fornisce elementi di base sotto il profilo storico per la conoscenza di una componente essenziale della nostra cultura, costituisce anche un utile ausilio per la comprensione di esperienze e modelli di comportamento che non hanno perduto niente sotto il profilo dell'attualità. Prefazione di Antonella Lumini.
Il pubblico ministero è spesso al centro di polemiche. La Costituzione ha ridisegnato la sua figura e il suo ruolo in termini del tutto innovativi rispetto allo Stato liberale e al fascismo, ma il percorso per l'attuazione di questi principi è stato lungo e accidentato. Il PM ha infatti un duplice volto: costruisce e sostiene l'accusa, ma come parte pubblica ha un dovere di verità che lo differenzia radicalmente dall'avvocato difensore. Per il pubblico ministero oggi il cantiere aperto è quello della professionalità, della accountability e della deontologia, temi che toccano però tutti e tre gli attori della giustizia: giudici, avvocati e appunto pubblici ministeri. Occorre quindi impegnarsi nella costruzione di una comune cultura fra tutti gli esponenti delle professioni giuridiche: questo è il vero cantiere aperto su cui devono misurarsi le diverse istituzioni della magistratura e dell'avvocatura e le rispettive associazioni. Un progetto ambizioso, ma ineludibile.
Questo libro nasce dall'eccezionale videoracconto che Simone Veil fece nel 2006 per la Fondation pour la Mémoire de la Shoah e l'INA, l'Institut national de l'audiovisuel. Di fronte alla telecamera, Simone Veil parla della sua vita. Il sole di Nizza, una famiglia unita, repubblicana e laica. E poi invece il freddo, la fame, le umiliazioni, i compagni di prigionia, i rapporti fra uomini e donne, i suoi diciotto mesi in un campo di concentramento. Racconta il ritorno, nuove forme di umiliazioni, la difficoltà di parlare, il suo impegno per la salvaguardia della memoria. Solo la speranza che la Shoah non venga mai dimenticata può lenire il dolore. Dalle sue parole emerge un libro di un'immediatezza rara: la sua forza non sta nei fatti che descrive, e che sono ben noti, bensì nella forma, di una spontaneità stupefacente. Veil si lascia condurre dai ricordi, mescola aneddoti e riflessioni, le piccole storie alla grande Storia. Con uno scritto di Liliana Segre.
In questo libro, pubblicato nel 1921, Carl Schmitt mette a punto l'aspetto decisionistico del suo pensiero affrontando il nesso fra politica e diritto, fra eccezione e norma. La dittatura è infatti un istituto giuridico che mostra apertamente la sua origine politica, tanto come dittatura commissaria, in cui il dittatore ha come obiettivo la difesa extralegale di un ordinamento minacciato, quanto come dittatura sovrana, in cui il dittatore costruisce un ordine nuovo sulle macerie di un ordine distrutto. In questa seconda accezione, che equivale al potere costituente, si rivela il cuore del decisionismo. Muovendo dall'analisi della prassi dei commissari governativi fino al Settecento e della dittatura di Cromwell e del giacobinismo, Schmitt giunge a trattare il celebre articolo 48 della Costituzione di Weimar sullo stato d'emergenza, per accostarsi infine alla rivoluzione russa guidata da Lenin come a una dittatura sovrana. La presentazione di Carlo Galli contestualizza l'opera nella produzione dell'autore, mostrandone anche i tratti di tenace contemporaneità.
La letteratura ci insegna ad amare: è una maestra di sentimenti, una fonte di sapienza, il giardino in cui Dio respira di nascosto. Seguendo questa intuizione, don Paolo Alliata ci conduce tra le pagine dei grandi romanzi, cercando il soffio che ci nutre. Perché l'amore trova sempre il modo per raggiungerci, declinandosi nelle forme, nelle storie, nelle voci più diverse. L'amore di Romain Gary è memoria e resistenza, nel volo degli aquiloni che inseguono l'azzurro. L'amore che scalda il cuore del professor Stoner è un sonetto di Shakespeare che schiude la porta sull'eterno. L'amore di Kundera oscilla tra leggerezza e pesantezza, vulnerabilità e compassione: è la voce bambina che canta. L'amore che aleggia nella resurrezione secondo Tolstoj è metamorfosi, grazia, primavera che arriva anche in città. L'amore, per Steinbeck, è profezia, preghiera in movimento, marcia collettiva verso la libertà. L'amore che sostiene C.S. Lewis è pianto che volge in letizia, legame che scavalca la morte, fede. L'amore è quella forza che ci spinge a tuffarci nelle cose così come sono. Che ci rende vivi, non nelle aspettative, ma nella nostalgia di infinito, un infinito tanto più potente quanto incolmabile. Con una prefazione di Isabella Guanzini.
Nella prima fotografia che la ritrae con le scarpette da ballo, Nicoletta Manni non ha ancora compiuto tre anni. La madre Anna è insegnante di danza e da sempre la porta con sé al lavoro, così che l'abitudine di esercitarsi alla sbarra entra nella vita di Nicoletta con la naturalezza di un gioco. Questo libro racconta le tappe e gli incontri che hanno segnato il suo percorso e la sua carriera, fino a proiettarla tra le stelle più luminose della scena internazionale: l'infanzia trascorsa a Santa Barbara di Galatina, in provincia di Lecce, l'ammissione all'Accademia del Teatro alla Scala, l'esperienza allo Staatsballett di Berlino; e poi la collaborazione con Carla Fracci e Alessandra Ferri, l'amicizia con Roberto Bolle, la complicità con il collega e marito Timofej Andrijashenko. Senza tacere la fatica e i sacrifici, "La gioia di danzare" è però innanzitutto l'espressione di un amore sconfinato per il ballo, inteso come autentico atto di libertà e come intimo, inesauribile viaggio alla scoperta di sé. Alzando il sipario su un'arte che da sempre affascina e incanta, la prima ballerina del Teatro alla Scala dà voce alla propria storia attraverso le molte vite che ha vissuto sul palcoscenico: dal Lago dei cigni allo Schiaccianoci, dalla Bella addormentata nel bosco a Giselle, le grandi protagoniste del repertorio classico hanno infatti contribuito a fare di lei l'interprete che oggi tutto il mondo applaude.
A ognuno di noi capita di vivere momenti di stallo, quando non riusciamo a trovare la forza per andare avanti né sappiamo quale direzione prendere. La letteratura ci insegna che da sempre siamo in lotta con questa sensazione d'impotenza, ciò che è cambiato è solo il nostro modo di reagire. Se in passato cercavamo una via di fuga nella religione, oggi la troviamo in una nuova fede che celebra il culto dell'Io. L'inganno, però, è dietro l'angolo, perché nel credere soltanto in sé il narcisismo non fa altro che aggravare la propria prigionia. Nel suo nuovo libro, Vito Mancuso propone una filosofia della liberazione per riconoscere e smantellare le trappole che attanagliano le nostre vite e aprirci a un'esistenza più autentica, fino a sperimentare la gioia profonda di vivere. Seguendo un cammino di piccoli ma costanti passi liberatori, scopriamo così che il destino di ciascuno si gioca nel mondo che portiamo dentro: perché se noi siamo la trappola, siamo anche il nostro liberatore. Approdando a questa consapevolezza saremo in grado di trovare equilibrio e generare limpida energia mentale, il più efficace strumento per la serenità e per la sorgente della gioia.
Il volume indaga gli anni giovanili e la formazione di Lorenzo Milani. La ricostruzione della vita di Lorenzo prima della decisione di diventare sacerdote si appoggia principalmente su due fonti: le testimonianze scritte e orali di coloro che l'hanno conosciuto e frequentato, e il materiale archivistico e iconografico. Il libro ha un ricchissimo repertorio di immagini, tra cui spiccano (oltre alle fotografie della famiglia, degli amici, degli anni di scuola) i dipinti di Lorenzo, che aveva frequentato l'Accademia di Brera e voleva fare il pittore. Da ciò l'autore trae «riflessioni storico-artistiche e intuizioni interpretative volte a delineare la complessa formazione di un giovane benestante e geniale al quale il destino offrì ulteriori opportunità».
Le indipetae (da Indias petentes) sono le lettere che i gesuiti europei inviavano al loro Superiore Generale per chiedere di partire per le missioni d'oltremare, le «Indie». Conservate negli archivi della Compagnia di Gesù, sono oltre 24.000, scritte tra il 1560 e il 1960, e sono nello stesso tempo lettere amministrative e spirituali, pubbliche e private. I giovani gesuiti cercavano di convincere il Superiore che Dio li aveva chiamati due volte: prima ad abbandonare il mondo, per entrare nell'ordine, e poi a lasciare le loro città e attraversare l'oceano, per dedicarsi alle missioni nelle terre lontane. A partire da queste lettere Emanuele Colombo compone una storia globale della vocazione, delle suggestioni culturali che l'hanno sorretta, dei sogni e dell'immaginario che l'hanno alimentata. Il libro si conclude nel Novecento quando, dopo quattrocento anni, la consuetudine di scrivere indipetae cominciò a declinare.
Dopo aver conquistato i lettori con i tre capitoli della serie dedicati al Vangelo, alla Bibbia e alla storia della Chiesa, le vignette di don Giovanni Berti, in arte Gioba, con i commenti di Lorenzo Galliani, tornano in libreria con la trilogia raccolta in un cofanetto. Una collezione completa delle vignette (oltre 200) che hanno spopolato anche in Rete condivise da decine di migliaia di follower che sui social seguono Gioba. Ogni vignetta è accompagnata da un breve testo di Lorenzo Galliani che aiuta a riflettere. Ma sempre con il sorriso!
Filosofia e bambini è un binomio che si ritrova sempre più spesso nelle pratiche educative, soprattutto dagli anni Settanta quando Matthew Lipman ideò il metodo della Philosophy for children, in contrapposizione a un'istruzione basata solo sull'accumulo di conoscenze, per sviluppare innanzitutto a scuola, la capacità di ragionare, di immaginare e di stupirsi. A questo metodo o modo di pensare l'educazione al pensiero, che gode oggi di grande diffusione, è dedicata la prima parte del manuale. La seconda invece si sofferma su altre modalità di fare filosofia con bambini, ragazzi, ma anche adulti. La terza parte raccoglie infine contributi sul valore pedagogico del pensare insieme e dell'essere in tal modo comunità: al centro di ogni pratica filosofica emerge la costruzione di relazioni intersoggettive, di spazi di incontro e confronto, di co-costruzione di interrogativi e significati. La filosofia viene intesa come forma di vita e pratica di comunità. Educare a essa significa valorizzare l'altro, il suo pensiero e il suo sentire: un antidoto per un tempo segnato da individualismi e incompetenze relazionali.
Viaggiando nelle province dell'Impero bizantino poteva capitare di imbattersi in un monaco arrampicato sulla sommità di una colonna: un asceta che passava la sua vita sospeso tra terra e cielo, dedicandosi alla preghiera e agli esercizi spirituali. Era uno spettacolo strano, che attraeva fiumi di pellegrini. Nonostante la bizzarria di un'ascesi tanto estrema e sorprendente, l'incontro con uno stilita era un evento meno eccezionale di quanto si potrebbe pensare. Gli abitatori delle colonne non erano poi così pochi, soprattutto nei deserti della Siria. Sempre esposti alle intemperie, sottoponevano il corpo a prove durissime. Ma sapevano anche compiere miracoli, guarire i malati, formulare profezie, esorcizzare gli indemoniati. Grazie a queste doti straordinarie si guadagnavano la devozione di fedeli di ogni strato sociale che accorrevano in massa ai piedi delle loro colonne: contadini, soldati, funzionari di corte, e persino imperatori. Per il loro prestigio, gli stiliti erano spesso chiamati a dirimere controversie, sostituendosi alle autorità civili e assumendo così anche un ruolo politico. Di molti di loro conosciamo non solo i nomi ma anche le vicende esistenziali che li hanno portati a una scelta così radicale. Questo volume, indagando testi biografici bizantini quasi mai tradotti in italiano, ricostruisce la storia, la vita e le opere dei santi stiliti. Ma ne narra anche la leggenda: un mito spirituale che ha attraversato i secoli e, tramite la poesia di Kavafis e di Rilke, è arrivato fino al cinema di Buñuel e Monicelli.
Alla vecchiaia comunemente si pensa come a una stagione di triste declino, d'immobilità, di giorni vuoti. Oppure, oggi più che mai, come a un'età in cui ancora tutto è possibile, in un prolungamento indefinito della giovinezza. Ma non appena laceriamo il velo dei tabù e dei luoghi comuni, l'«età grande» spalanca davanti a noi paesaggi inesplorati. Nel suo nuovo libro Gabriella Caramore fa esattamente questo: risponde all'esigenza di spingere lo sguardo tra le fenditure del tempo, ponendosi in ascolto «della propria carne e del proprio sentire». Senza cedere a nessuna nostalgia, apre il suo cuore al passato, ricorda i turbamenti e gli affetti dell'infanzia e della giovinezza, contempla il panorama delle cose perdute. Ma soprattutto guarda nascere nel presente un desiderio inaspettato: il bisogno di sentirsi vivi, proprio quando ormai s'insinua la consapevolezza della fine. Pur senza rinunciare alle asprezze e ai dubbi del pensiero, le sue riflessioni danno forma a pagine delicate e intense, illuminate da una grazia che incanta. Nel ripercorrere gli snodi di un cammino profondamente umano, e per questo esemplare, "L'età grande" prova così a riscoprire il senso più autentico della nostra vita.
I grammatici antichi cominciavano dalla voce la loro trattazione del linguaggio, distinguendo con cura la voce confusa degli animali il nitrito dei cavalli, l'urlo rabbioso dei cani, il ruggito delle fiere e il sibilo del serpente, dalla voce articolata degli uomini. L'antropogenesi, il diventar umano del vivente uomo coincide cioè con un'operazione sulla voce, che la rende significante, trasformando il verso espressivo dell'animale in uno strumento impareggiabile di dominio e di conoscenza. Ma che cos'è una voce articolata? Attraverso una paziente indagine archeologica, il libro ricostruisce il senso e le modalità di questa articolazione della voce, interrogando la funzione che in essa ha svolto l'invenzione della scrittura e revocando innanzitutto in questione il rapporto fra voce e linguaggio, fra il nome e il discorso, fra chiamare e significare. Situare il linguaggio nella voce significa, infatti, articolare insieme non soltanto il suono e il senso, ma anche il vivente e il parlante, il corpo e la mente, la natura e la storia. La riflessione sulla voce è allora inseparabile da una riflessione sulla natura umana e costituisce in questo senso un problema essenzialmente politico, perché in esso ne va ogni volta della decisione di ciò che è umano e di ciò che non lo è.
Quasi duemila e cinquecento anni fa, Aristotele avviò la discussione sui diversi aspetti dell'organizzazione della polis definendo l'essere umano come "animale politico", l'unico vivente capace di dar forma a comunità politiche. Da allora, pensatori antichi, moderni e contemporanei si sono susseguiti nel dare una propria definizione di che cosa è la politica, ognuna delle quali derivata dalle vicende particolari e dalle idee che a questo termine risultano associate nei diversi momenti storici: dalla polis all'Impero, dallo Stato alla sua crisi nella globalizzazione, fino alla nascita delle Relazioni Internazionali. Attraversando più di due millenni di riflessioni si giunge a riconoscere come l'espressione aristotelica conservi ancora il suo valore e ci induca a individuare nella politica non soltanto un "mezzo" o un tipo particolare di potere con leggi perenni, bensì soprattutto la forma specifica delle relazioni sociali con cui gli esseri umani organizzano e sperimentano la vita associata, oscillando fra l'obbedienza all'autorità costituita e la ricerca di spazi di libertà.
Nella diversità crescente dei modelli di vita e nell'irreperibilità di valori assoluti si è spesso indotti a sottoscrivere un relativismo culturale dove tutto e il suo contrario sono possibili. È un errore. Modelli di vita, principi e valori possono portare un'intera società a fiorire e svilupparsi oppure, all'opposto, a degradarsi culturalmente ed esistenzialmente. Al soggetto incombe tanto più la responsabilità di fare delle scelte quanto più le ideologie sono tramontate, i portali delle chiese sembrano chiusi e i padri tacere. La sociologia dei processi culturali, dialogando con i classici della disciplina (Tocqueville, Durkheim, Weber, Troeltsch, Boudon), ricostruisce il lavoro incessante degli individui nel decidere costantemente, non senza illusioni ed errori, il percorso da seguire per una vita dignitosa e felice. Scopo di questo testo è proprio quello di recuperare i passi ragionevoli che scandiscono oggi questo cammino.
Edgar Morin propone il racconto di un'opera-vita, una vita che ha nutrito nel corso del tempo l'opera, che a sua volta ha alimentato la vita. È l'avventura di trent'anni di scrittura del Metodo, che questo volume integra con un capitolo fondamentale: "Per una razionalità aperta", inizialmente previsto nel piano generale dell'opera ma rimasto finora inedito. Attraverso questo cammino della vita nella mente e della mente nella vita, il libro traccia la via per una rifondazione dell'umanesimo con le idee del Metodo.
Considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi e un autentico prodigio della fisica, Robert Oppenheimer coordinò il leggendario progetto Manhattan che nel 1945 produsse la prima bomba atomica, consacrando la sua carriera. Di fronte all'esito devastante dei bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki, tuttavia, il «distruttore di mondi» avanzò una radicale proposta per il controllo internazionale dei materiali nucleari e si oppose con fermezza alla realizzazione della bomba all'idrogeno. A questa figura tragica ed eroica Kai Bird e Martin J. Sherwin hanno dedicato una monumentale biografia che nel 2006 ha ricevuto il premio Pulitzer: "Oppenheimer" ripercorre la parabola di una vera icona dell'America degli anni Quaranta, dall'oscurità alla fama che lo portò a partecipare alle grandi sfide e ai grandi trionfi del XX secolo, fino all'umiliazione di trovarsi coinvolto, nel 1954, in una terribile inchiesta che avrebbe compromesso per sempre la sua reputazione. Riflessione profonda sul rapporto tra scienza e potere, questo magistrale racconto proietta, attraverso la vita di un uomo, nuove luci e nuove ombre sulla storia di tutti noi.
Questa storia della scuola in Italia, che vede il contributo di alcuni dei massimi specialisti, abbina il rigore storico e lo sguardo pedagogico, proponendo una struttura a tre livelli. Nel primo si presenta la situazione di partenza, gli Stati italiani prima dell'Unità, mentre nel secondo livello si ricostruisce lo svolgersi storico dei diversi ordini e gradi scolastici: asili nido e scuole dell'infanzia, scuola primaria, istruzione post-elementare e secondaria (con specificazioni sull'istruzione magistrale e su quella tecnica e professionale), università. Nel terzo livello si approfondiscono tre problemi trasversali, come la visione di genere (le donne a scuola), i rapporti tra istituzione ed economia, le complesse relazioni tra la scuola italiana e la religione cattolica. Per finire, un confronto tra la situazione attuale della scuola in Italia rispetto agli altri Paesi europei e agli Stati Uniti. Introduzione di Fulvio De Giorgi. Contributi di: Nicola S. Barbieri, Paolo Bonafede, Pietro Causarano, Daria Gabusi, Angelo Gaudio, Andrea Mariuzzo, Tiziana Pironi, Maurizio Piseri, Fabio Pruneri, Vincenzo Schirripa, Caterina Sindoni.
Il libro mette a confronto il personaggio manzoniano di Lucia con Maria di Nazareth, rintracciando i tratti comuni tra le due figure e le loro vicende. Studia inoltre il ruolo che la Vergine ri- copre nel complesso dei «Promessi sposi» e negli «Inni sacri» e, in generale, nella vita e nel pensiero di Manzoni.
Che cos'è il giuramento, qual è la sua origine e quale il suo scopo, se esso sembra mettere in questione l'uomo stesso come animale politico? L'«archeologia» del giuramento che questo libro propone cerca di rispondere a queste domande, in una prospettiva in cui il problema del giuramento e il problema del linguaggio appaiono inseparabili. Attraverso un'indagine di prima mano sulle fonti greche e romane, che ne mette in luce il nesso con la legislazione arcaica, la maledizione, i nomi degli dei e la bestemmia, Agamben situa, infatti, l'origine del giuramento in una dimensione nuova, in cui esso appare come l'evento decisivo nell'antropogenesi, nel diventar umano dell'uomo. Il giuramento ha potuto costituirsi come «sacramento del potere» perché esso è innanzitutto il «sacramento del linguaggio», in cui l'uomo, che si è scoperto parlante, decide di legarsi alla sua parola e di mettere in gioco in essa la sua vita e il suo destino.
Quando pensiamo alla famiglia, la prima immagine che ci viene in mente è, con buona probabilità, quella di due genitori e dei relativi figli. D'altronde, oggi il concetto di famiglia è talmente interiorizzato e condiviso che quasi mai si riflette sul suo reale significato e sul ruolo che gioca nella vita di ognuno di noi. C'è persino chi sostiene di non averne una, ignorando che famiglia si è, prima di tutto, con se stessi: tutti noi, che ci piaccia o no, siamo anche la somma delle storie di chi ci ha preceduto. Proprio di questo tratta Ameya Canovi nel suo nuovo libro, partendo dal presupposto che ogni nucleo familiare è come un albero: le radici, forti oppure fragili, lo nutrono e sostengono, e i rami crescono dando origine, in alcuni casi, a foglie e frutti, in altri restando «a maggese». Insieme a coloro che sono venuti prima, quest'albero forma una foresta che può essere prospera e rigogliosa o, al contrario, poco accogliente. Trovare il coraggio di prendere il proprio vissuto e addentrarsi in quel bosco alla scoperta delle tracce di chi ci ha preceduto non è facile. Spesso, però, è l'unico modo per conoscere davvero se stessi. È questo il viaggio in cui ci accompagna l'autrice: fra trattazione, ricordi personali, soste riflessive e testimonianze in cui ogni lettore può riconoscersi, dimostra come ricostruire la propria storia familiare sia fondamentale per scoprire le proprie eredità emotive, la presenza di traumi transgenerazionali, il modo in cui ci relazioniamo a noi stessi e agli altri. Tenendo a mente che, qualunque siano la nostra storia e le nostre radici, è sempre possibile prendersi cura delle ferite e trasformarle in risorse.
Ciò che è tecnologicamente possibile è anche lecito? Questa è la domanda originaria della bioetica, quel ramo del sapere che risponde all'esigenza di una riflessione morale per l'uomo contemporaneo - con la specifica funzione di "ponte" fra le scienze naturali bio-sperimentali e le scienze umane etico-antropologiche - per identificare le nuove forme di responsabilità dell'uomo nei confronti della vita. La bioetica ha dunque il compito di cercare risposte a quesiti delicati e complessi: è giusto sperimentare su embrioni umani o donare l'utero per la gestazione? Quali sono i dilemmi etici dell'eutanasia e del suicidio assistito? Ci sono limiti nell'applicazione dei trattamenti sanitari e nell'accesso alle cure? Domande che si moltiplicano, con riferimento alle tecnologie emergenti - le neuroscienze, la medicina di precisione, la correzione e il potenziamento genetico, l'intelligenza artificiale - e al mondo animale, all'ambiente, alle generazioni future. Riflettere su questi temi consente di partecipare al dibattito sociale attuale, interrogandosi sulla giustizia, sul senso e sul fondamento del valore della vita umana e non umana, sui confini della libertà e della responsabilità dell'uomo nei confronti degli altri e della natura.
Il tuffatore di Paestum è una delle opere d'arte più belle ed enigmatiche dell'antichità. È un soggetto inconsueto, la cui unicità rappresenta una sfida per gli studiosi di arte e archeologia classica. Si tratta di un'immagine simbolica o di una scena di vita reale? E qual è il suo significato nel contesto di una tomba? La lettura che ne dà Hölscher - illustre studioso fra i massimi esperti al mondo di archeologia classica - è un viaggio avvincente negli spazi e nei tempi che caratterizzavano la vita dei giovani nella Grecia antica, nella delicata fase di passaggio alla condizione adulta.
Il libro ricostruisce, attraverso una serie di vivaci quadretti, le vicende tragicomiche di un piccolo impertinente battezzato, Sinodino per l'appunto, che vuole testardamente partecipare al Sinodo sulla sinodalità e delle irritate e imbarazzate reazioni della Chiesa del "si è sempre fatto così". I lettori ritroveranno con piacere l'umorismo leggero, affettuoso verso le sue vittime e i loro limiti umani e spirituali, delle "fantacronache di rinnovamento pastorale" del libro Ricordati di sanificare le feste.
Giuda Iscariota è una tra le figure più note e meno amate del Nuovo Testamento, e forse dell'intera Bibbia. Il suo tradimento e il suicidio lo pongono in una posizione a sé all'interno della vicenda umana di Cristo ma al contempo, forse paradossalmente, lo hanno reso un protagonista dell'immaginario collettivo nel corso dei secoli. A differenza degli altri apostoli, infatti, Giuda non è stato dimenticato: l'arte, la letteratura, il cinema e persino la pubblicità lo hanno ritratto ricorrendo spesso a caratteri stereotipati che ne hanno sottolineato la malvagità. Ma l'Iscariota era davvero un uomo perverso, un figlio del demonio, invidioso e materialista, che non seppe capire l'autentico valore del Messia? Si è ipotizzato fosse uno zelota, o addirittura un agente segreto al soldo del Sinedrio... forse un parente di Caifa, per alcuni addirittura un parente di Gesù. Decise di togliersi la vita dopo aver rinnegato e, per quel gesto estremo, la Storia non ha mai smesso di rimproverarlo: ma fu realmente un atto spontaneo? O forse fu un omicidio mascherato da fatalità? C'era infatti più di una persona che poteva volerlo morto...
Il mondo delle sette. Drammatiche vicende di cronaca come il caso delle Bestie di Satana, annidate nelle brughiere del Varesotto, hanno svelato una realtà sconosciuta, popolata da gruppi e gruppuscoli, atomi, schegge in assoluta libertà. Se le sette non smettono di proliferare, di fare adepti, di conquistare corpi e menti, è perché c'è stato da parte loro un costante, puntuale adeguamento ai tempi. Oggi, infatti, è ormai consolidata la realtà delle psicosette, gruppi piramidali che reclutano soprattutto fra i giovani, prospettando prestigiose carriere da manager, grandi arricchimenti o miglioramenti personali. In questo libro Gabriele Moroni, storico inviato de «Il Giorno», impegnato da anni sul fronte del settarismo, ne esplora le nuove frontiere. Lo fa raccogliendo sul campo voci e testimonianze di studiosi, psicologi, inquirenti, ma anche quelle di chi ha vissuto dall'interno un'esperienza settaria ed è riuscito a uscirne, o di chi, dopo avere perduto un affetto caro, attratto e scomparso in questa oscura galassia, ha dedicato la vita a farla conoscere e contrastarla.