L'Occitania, che oggi è semplicemente la parte meridionale della Francia, nel Medioevo era una regione che disponeva di una lingua propria e che aveva elaborato una cultura originale e un'identità specifica a lungo difesa dalle pretese espansionistiche del regno di Francia. Ai trovatori occitani del XII secolo si deve l'invenzione dell'amore cortese e l'elaborazione di un nuovo linguaggio poetico capace di influenzare per secoli lo sviluppo della letteratura e della riflessione intorno all'amore in Europa: senza di loro non avremmo avuto lo Stil Novo toscano, Dante e Petrarca. Questo libro è il primo studio a tutto tondo della società in cui i trovatori hanno vissuto e operato, un'area oggi ingiustamente trascurata e che non è, e soprattutto non era, soltanto una regione della Francia. Il lettore vi troverà descritto, con stile piacevole ma approfondito, la vita delle corti - come quella di Guglielmo d'Aquitania, poeta e governante illuminato in cui si incontravano nobildonne, trovatori e cavalieri, ma anche la vita quotidiana delle campagne, delle donne e dei bambini, la religiosità - oggetto di forti tensioni e conflitti culminati nella crociata contro i Catari - e il dinamismo culturale in ambito medico, letterario e filosofico di questo territorio che faceva da cerniera e da tramite culturale tra l'Europa cristiana e la Spagna ancora in parte musulmana.
Nei decenni finali dell'XI secolo e all'inizio del successivo le arti figurative conoscono a Roma un momento di grande fioritura, che è stato interpretato come uno straordinario fenomeno di propaganda da parte della Chiesa riformata e rinnovata. Le immagini, secondo la secolare e resistentissima tradizione della Chiesa romana, sono strumento di primaria importanza in questa accresciuta politica di comunicazione. Attraverso l'esame di episodi nodali - relativi alla liturgia, alla 'teoria dell'arte", all'epigrafia, alla scultura, e naturalmente alla pittura a mosaico e a fresco -, nel volume si delinea un ritratto della città papale negli anni ancora 'oscuri" attorno alla metà dell'XI secolo, al tempo delle aspre lotte tra papi e antipapi; in quelli del pontificato di Gregorio VII, che alla Riforma ha prestato il nome; e infine - iniziato il nuovo secolo - nel momento della 'Roma trionfante", quando il successo del partito papale genera un'ondata di linguaggio raffinatamente antiquario.
Dalle carte riscoperte in un archivio riemerge un profilo di donna sfuggente e contraddittorio, in continua lotta con i suoi limiti e con quelli che la società dell'Ottocento voleva imporle. Anna de Cadilhac si confessa nelle sue memorie, riportandoci nella Repubblica Romana del 1849, quando partecipò col marito all'esperienza rivoluzionaria. Il racconto delle vicende familiari fa da controcanto agli eventi politici, facendoci intravedere sullo sfondo i salotti, i teatri, i palazzi della società romana e torinese negli anni cruciali della lotta per l'unità d'Italia. La storia della protagonista, continuamente alla ricerca di un equilibrio tra la dimensione domestica e quella mondana, si intreccia con quella di personaggi illustri e influenti, fino all'incontro con Vittorio Emanuele II, dal quale avrà una figlia naturale: vicenda che segnerà la sua vita e inevitabilmente la travolgerà.
"Dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini": queste parole di Heinrich Heine ci ricordano che in tutte le epoche e civiltà il libro, come strumento di trasmissione delle idee e della memoria, è stato vittima del fanatismo e della censura. Da quando è nata la scrittura, gli elementi della natura e la volontà distruttrice dell'uomo hanno messo in pericolo la sopravvivenza dei suoi supporti materiali. In questa edizione, rivista e ampliata rispetto all'originale, Fernando Bàez ricostruisce l'inquietante storia della distruzione dei libri, vittime delle catastrofi naturali, delle fiamme, delle guerre e soprattutto dell'intolleranza politica e religiosa. L'itinerario parte dalle tavolette sumere e giunge fino al saccheggio di Baghdad all'inizio del secolo XXI, passando per la sparizione della leggendaria biblioteca di Alessandria, i grandi classici greci perduti, i roghi dell'imperatore cinese Shi Huangdi, la rovina dei papiri di Ercolano, gli abusi degli inquisitori, l'incendio dell'Escorial, l'eliminazione dei libri durante la guerra civile spagnola, le persecuzioni degli scrittori da parte dei totalitarismi del Novecento.
La falsa credenza che gli ebrei sacrificassero bambini e facessero uso del loro sangue per scopi magico-religiosi ha rappresentato per secoli una minaccia costante per le comunità ebraiche, i cui membri in ogni momento potevano essere accusati dell'atroce delitto, divenendo vittime di linciaggi, processi sommari, espulsioni. Nata in pieno Medioevo, questa leggenda si diffuse con estrema rapidità acquisendo un posto centrale nell'immaginario antiebraico cristiano. Rispetto a questo complesso fenomeno il libro focalizza l'attenzione sugli aspetti agiografici e devozionali legati al culto che fin dal XII secolo si tributò alle presunte vittime dell'infanticidio rituale. Un'impostazione che apre nuovi territori di indagine, concentrando la ricerca su fonti inedite o ancora poco studiate. Vengono così analizzate sul lungo periodo le trasformazioni del racconto: di volta in volta ammonizione per i bambini della Controriforma, oggetto di erudite dissertazioni nel Settecento, tema romanzesco nell'Ottocento, argomento devozionale per i fedeli del XX secolo. Fino alle ultime metamorfosi dei nostri giorni, in cui si assiste da un lato al rilancio del culto per i supposti "bambini-martiri" da parte di frange del tradizionalismo cattolico e dall'altro a una rilettura dello stereotipo dell'omicidio rituale all'interno del dialogo interreligioso, come esempio degli errori della Chiesa nei confronti del popolo ebraico.
"La ricerca storica è per me uno spazio di gioia e di passione intellettuale. Provo sempre un brivido prima di entrare in un archivio o in una biblioteca: cosa troverò? Leggendo i registri della sua piantagione, finirò per trovare la schiava che sto cercando? Troverò la firma da lei lasciata per ragioni sue e da me accolta come segno della verità della sua esistenza e del fatto che sapesse scrivere, come sosteneva il suo amante? Che fortuna aver potuto leggere tante storie interessanti, alcune divertenti, altre da far gelare il sangue, alcune sorprendenti, altre familiari...". È con questo approccio, un originalissimo stile di vita e di lavoro, che Natalie Zemon Davis si accosta e dialoga con i personaggi che studia, cercando di comprenderne il mondo, le emozioni, le parole, i gesti, e sforzandosi di sottrarli all'oblio. In questo serrato dialogo con Denis Crouzet ci racconta il suo "mestiere di storica", ma anche come la sua stessa vita, l'impegno di cittadina e di donna siano un apprendistato continuo, un costante superamento delle certezze acquisite, uno stimolo a scrivere per offrire ai suoi lettori un messaggio di speranza e dire loro che la storia non è mai finita.
Quali furono i percorsi di carriera dei papi dell'età moderna. Perché essi furono con poche eccezioni tutti italiani e quale era il ruolo e la funzione dei cardinali. Come andò ad organizzarsi la curia. Quanto (e se) operarono i pontefici perché Roma divenisse degna capitale papale e non solo un luogo che evocava una antica e gloriosa memoria che poco o quasi nulla aveva da spartire col cristianesimo. Ancora, dove risiedettero i papi in Roma prima che il 20 settembre 1870 li riducesse infine in quel Vaticano che avevano fino ad allora trascurato. Come era organizzata la loro giornata di lavoro e quale era la loro disponibilità economica.