
Di quanti personaggi abbiamo perso la memoria! Di lei, no. Gesù l'ha difesa non solo dagli occhi spenti di chi la criticava, l'ha difesa anche dall'oblio della morte, dalla cancellazione della morte: è come se risorgesse ogni volta che leggiamo il vangelo. Risuscita. Per tutto il migrare dei secoli niente continua a raccontare così intensamente il vangelo, niente di più trasparente del suo gesto. Pubblichiamo qui l'adattamento dell'incontro tenuto il 5 maggio 2013 a Montericco di Albinea (RE), presso l'hospice Madonna dell'uliveto.
Il racconto dell'Esodo ci ricorda che è su piccole luci, come quelle tenute accese dalle sei donne di cui ci parla il racconto, in cui è possibile edificare un'umanità diversa, che non si arrende a chi e a ciò che non cesserà mai di tentare di umiliarla e di asservirla.
A che cosa serve leggere? Questa domanda rozza e brutale pone l'accento sul rapporto tra la lettura, il libro e la vita. Leggere è sempre leggersi: mentre lo leggiamo, il libro ci legge e svela qualcosa di noi a noi stessi. Se è libero solo colui che conosce sé stesso, l'atto della lettura è essenziale per acquisire libertà.
E se Maria, confondendo il Risorto con uno che coltiva la terra, avesse detto la verità? Del resto, chissà quante volte avrà sentito il suo Maestro insegnare a partire dalla terra. Senza volgere effettivamente gli occhi alla legge della terra perfino l'obbedienza alla legge di Mosè e alla stessa legge del vangelo rischierebbe di essere praticata con la schiena troppo rigida, incapace di piegarsi verso l'origine. Se Gesù, perfino da risorto, non stacca gli occhi dalla terra, abbiamo solidissimi motivi per continuare a sperare.
"Abbiamo bisogno di una teologia che parta dalla banalità della vita quotidiana, poiché la fede del cristiano non è semplice adesione a una dottrina, ma una forma di vita concreta". Ascenso inizia così il suo libro. Attraverso la semplicità di un'immagine che l'essere umano conosce da sempre, l'aratro, egli conduce il lettore a addentrarsi in profondità mistiche, ovvero nella propria interiorità. L'aratro, strumento necessario al servizio del lavoro umano, lo può diventare anche dell'esperienza spirituale: prima di seminare è fondamentale arare, ossia prendersi cura di quel terreno che ciascuno è, del proprio "strato identitario", della propria reale situazione. Infatti, perché il seme dia frutto, è necessario che la terra sia in grado di riceverlo. E il "Dio possibile" è quel filo di luce che guida ogni cercatore di senso a compiere il dissodamento del terreno della propria interiorità e dell'incontro con l'altro.
Il libro di Daniele è stato scritto in un tempo di persecuzione, e ambientato in un altro tempo tremendo, l'esilio babilonese, perché potesse donare al popolo di Israele parole simili a quelle che lo avevano salvato lungo i fiumi di Babilonia. In questo contesto storico il popolo aveva bisogno di cercare nuovi racconti che dicessero una nuova-antica fede. Nacquero così comunità testimoni di come si possa cambiare questo mondo sognandone un altro, espressione di una forma di resistenza non violenta: non abbracciarono le armi ma presero la penna, pregarono e scrissero. Il libro di Daniele ci dice che visioni, angeli, sogni, numeri e draghi possono diventare altri strumenti per cacciare via i dittatori, per combattere i soprusi e la violenza contro le donne, per difendere una storia e un'identità. Tali narrazioni, arrivate fino a noi, sono sentinelle di un'alba che arriverà, perché non può non arrivare. Un'alba che deve arrivare presto, che deve arrivare oggi. Si può cambiare questo mondo sognandone un altro!
Quale felicità cerchiamo? Che cos'è la felicità vera? Non di rado, in una certa spiritualità, religione e/o fede sono associate a dolore piuttosto che a felicità. Si parla anche di beatitudine, ma come di un premio futuro per la sofferenza sopportata nel presente. Eppure nelle Scritture ritorna spesso sulle labbra stesse di Dio l'espressione, che è anche promessa: "Perché tu sia felice...". Le vie che lui indica attraverso i comandi che trasmette a noi esseri umani hanno come unico fine la felicità. Essa è infatti il cuore stesso della sua volontà, del suo desiderio, per ogni creatura. Il cammino tracciato dalle Scritture, accolto e perseguito con appassionato abbandono, è la via verso questo bene, da tutti sperato e atteso.
Le parole dei padri e delle madri del deserto, o dei deserti, ci aiutano innanzitutto a liberare il nostro cuore da noi stessi e dalle false parole che occupano quello spazio interiore in cui la parola del Signore desidera dimorare, per portare consolazione e salvezza ... La parola che ci dà la vita è quella del Signore, trasmessaci nelle sante Scritture.
Ma l'esperienza dei padri e il loro insegnamento ci aiutano a creare uno spazio il più possibile accogliente perché la Parola possa dimorare in noi e portarvi il suo frutto.
Il presente volume, che raccoglie gli Atti del XXIX Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, presenta l'insegnamento dei padri e delle madri del deserto, le cui parole, i Detti, sono da sempre tra le letture più amate e praticate a ogni latitudine ecclesiale, negli ambienti monastici e non solo. 1
Come uscire dai percorsi fuorvianti del clericalismo? Come porre rimedio a pratiche e dinamiche ecclesiali difformi dall'insegnamento del concilio Vaticano II, per non dire, prima ancora, dallo spirito dei vangeli?
L'autore invoca un ritorno al vangelo attraverso una rinnovata lettura delle pagine del Nuovo Testamento. Un'attenzione minuziosa nell'accostare il testo e una fedeltà critica nell'interpretazione consentono di imparare a riconoscere le derive clericali.
Per la cura di questa patologia ecclesiale le Scritture offrono chiare indicazioni su temi imprescindibili nel contesto dell'odierna riflessione sinodale, quali l'uguaglianza e la diversità tra i battezzati, la compresenza di uomini e donne, la nomina dei pastori e l'esercizio dei ministeri. La buona notizia incarnata da Gesù e affidata alla chiesa apostolica è la sola che può custodirla dal ricadere negli abusi di potere e nelle distorsioni clericali che sfigurano il volto delle comunità cristiane.
Un padre che ha deciso di mettere il vangelo al primo posto, di frequentare la Scrittura per trarne parole che diano direzione alla sua vita. Un pastore da poco in pensione che traccia una sorta di bilancio su ciò che può dire della sua fede, su ciò che attiene all'essenziale, e lo indirizza ai suoi figli ormai lontani dalla chiesa. Commosso nel vederli diventare adulti, Antoine Nouis non vuole prendere la difesa dell'istituzione, ma racconta della scommessa della fedeltà e delle piccole e grandi lotte che essa ha comportato. Questa lettera, pastorale e personale al tempo stesso, traccia un percorso di speranza sulla mappa della vita, punteggiato da intense e vere narrazioni della libertà, dell'amore, della grazia... e della morte.