SpiderJack usa l'iPad come fosse un disco volante e quando non insegue un pallone fa ragionamenti astutissimi; Spiga di Grano prende tutto sul serio in particolare la maestra - e cresce di un centimetro non appena ti giri. E poi c'è Elisabetta con la sua cricca di mamme: lavorano molto, a volte moltissimo, accompagnano i figli a scuola e in piscina, si chiedono dopo quanti inviti debbano ricambiare e come organizzare un compleanno senza che sembri un ricevimento alla Casa Bianca, leggono le favole (addormentandosi subito) e tifano persino su un campo di calcio. Sono mamme che conciliano la famiglia e il lavoro, sbirciano mail alla recita di Natale e documenti a bordo vasca; si iscrivono in palestra e poi non ci vanno, bevono il caffè prima dell'alba e guidano con un cappotto sopra il pigiama. Elisabetta Gualmini le racconta e si racconta: dai post-it appesi ovunque per ricordarsi di scrivere il nome del bambino sulle calze antiscivolo, alla tentazione di sfuggire ai raduni scout, al sogno infranto di riunioni concise - beati gli uomini, che non hanno da pensare all'ultimo squillo di campanella della scuola -, alla sua amica Giovanna che ha sette figli e, a parte la tovaglia di plastica e i tre carrelli della spesa, è una persona serena. Racconta delle mamme perfette e della bellezza di quelle perfettibili. "Ti vedo stanca. Dovresti mollare qualcosa", ma Elisabetta non ascolta il suggerimento della madre...
Due uomini e un ragazzo si stagliano contro l'orizzonte in un infuocato tramonto africano. Una catena di speranza e coraggio li ha condotti fin lì. Forza consumata senza risparmio. Vita di vita. Khaliq, nato in Sierra Leone, è sopravvissuto a esperienze estreme. Cresciuto alla Città dei Ragazzi, storica comunità educativa dove insegna Eraldo Affinati, adesso lavora in un bar. Il giovane e l'adulto hanno stretto un patto: se il figlio avesse riabbracciato la madre perduta, il professore sarebbe andato a conoscerla. Questo libro racconta un viaggio attraverso la periferia di una grande città fuori controllo verso il villaggio lontano in cui una donna attende fiduciosa. I cieli africani, il buio vero, la luce accecante, la polvere negli occhi ardenti di bambini in tripudio per un pallone. Eraldo Affinati, accompagnato da un amico avvocato, sprofonda dentro se stesso: "Cosa vuol dire essere un insegnante? Mettere in grado chi hai di fronte di ascoltare la voce del suo maestro interiore. Ricucire gli strappi. Versare acqua sulla spugna secca...". I messaggi che riceve dagli studenti rimasti a casa lo riportano alla storia martoriata del Novecento, in profonda risonanza con tutta la sua opera. Le radici strappate di Khaliq vengono raccolte dai fantasmi dei partigiani trucidati dai nazisti, i quali sembrano consegnare ai nostri adolescenti il testimone della loro giovinezza spezzata, rinnovando agli occhi dello scrittore il valore dell'azione paterna senza ricambio, né compenso.
"Se vuoi conoscere davvero un po' del mio pensiero, supposto che ne abbia uno, abbiamo una sola scelta: andare insieme a Napoli. Solo nella mia città posso mostrarti come mi sono formato. Potrai osservare il mondo che ha orientato la mia esistenza, il mondo che ha fatto di me un napoletano in ogni istante della mia vita. Che ne dici?" Carla, una giovane studentessa universitaria di Bologna, vuol fare una tesi di laurea su Luciano De Crescenzo, e gli chiede, in una lettera appassionata, di poterlo incontrare. Lui accetta, ma a una condizione: che il loro colloquio si svolga passeggiando per le strade e i vicoli di Napoli. In questo filosofare camminando, la ragazza curiosa e lo scrittore saggio si lasciano ispirare dagli scorci e dai personaggi che la città partenopea regala e ci offrono così un aneddoto che fa sorridere, una storia che sorprende, una riflessione che spiazza e apre la mente. Moderni peripatetici, parlano della semplicità e della passione, della musica e dell'arte, del tempo e dell'amore, del caso e della fortuna. Citano Diogene e il guardiamacchine Raffaele, Platone e Taniello, il principe degli osti partenopei. Dopo quello degli altri filosofi, Luciano De Crescenzo ci espone il proprio pensiero, sempre leggero e spesso illuminante. "E vedrai, Napoli porterà fortuna anche a te..."
Lettere riservate a capi di governo, telefonate segrete alle più alte cariche di Stati sovrani, pressioni esercitate in mille modi da poteri forti che si muovono al di fuori e al di sopra delle elementari regole democratiche. La storia del ruolo svolto in questo inizio secolo dalla Germania in Europa, e in particolare nell'Unione europea, è ancora tutta da raccontare, soprattutto in relazione alle vicende politiche dell'Italia, il paese che per decenni è stato suo partner amichevole ma anche temibile concorrente economico sui mercati mondiali. Di questa storia, Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano tracciano qui il quadro generale e non esitano a parlare di "Quarto Reich", una formula che, lungi dall'essere una banalizzazione giornalistica, è la sintesi estrema, e forse inquietante, della situazione venutasi a creare nell'area euro. In un decennio, infatti, grazie alla moneta unica e alla gabbia istituzionale dell'Unione, la Germania è riuscita a costruire sul Vecchio Continente una condizione di predominio economico e di egemonia politica. L'impossibilità di dissentire sulle leggi del rigore dettate dagli euroburocrati e ispirate da Berlino ha privato gli altri paesi membri di ogni reale sovranità economica e ha concentrato tutto il potere decisionale nelle mani delle élite e delle strutture comunitarie. Ma se per i cittadini tedeschi l'"era del Quarto Reich" significa benessere, lavoro e crescita, per le altre nazioni, soprattutto del Sud Europa, vuol dire povertà, disoccupazione e recessione.
Idealisti usciti sconfitti da una rivoluzione fallita, romantici perduti dietro un amore impossibile, balordi in fuga dalla giustizia, affamati in cerca di un lavoro e di uno stipendio: la Legione straniera è tutto questo, un miscuglio di uomini diversi per motivazioni e provenienze, ma tutti ugualmente irrequieti, malinconici, feroci. Sin da quando venne costituita nel 1831 da re Luigi Filippo "Égalité", la Legione è stata lo specchio delle turbolenze del mondo: un reparto di volontari sradicati dalle proprie origini, senza famiglia e senza patria. Non dei semplici mercenari, ma soldati che nella mistica combattentistica e nello spirito di corpo ritrovano un'identità. Impiegati nelle "guerre sporche" dell'impero coloniale francese, dall'Algeria al Marocco, al Madagascar, all'Indocina, i legionari hanno scritto pagine drammatiche di storia militare, dove la violenza inflitta o subita ha assunto toni esasperati: quella di Algeri non è che la più nota di molte battaglie condotte senza pietà e senza tregua. Dietro le rappresaglie brutali ci sono però storie insospettabili di uomini sconfitti alla ricerca di riscatto. Gianni Oliva ne ripercorre le tracce, e ricostruisce le loro vicende come in un grande romanzo epico.
I monaci del monastero di Bose, guidati da Enzo Bianchi, hanno ripercorso in questo volume tutte le tappe della teologia e della spiritualità mariane. Nei primi secoli Maria era simbolo della Luna e della Chiesa dei fedeli, e veniva simboleggiata dalla Luna e dalla Chiesa. Il trionfo della riflessione su Maria avvenne nell'età romanica e gotica, nel periodo di San Bernardo, Dante e Giotto, quando teologi e scrittori e pittori leggevano il libro più misterioso della Bibbia, il Cantico dei Cantici, e vedevano in questo testo ardito il segreto di Maria e dei rapporti tra Dio e l'anima. L'altro grande periodo di riflessione mariana è stato oggetto di alcune formulazioni dogmatiche: l'Immacolata Concezione e l'Assunzione.
Tommy ha da poco compiuto sedici anni. Vive l'età in cui tutti gli adolescenti cominciano a fare progetti sul futuro e i genitori si preparano a lasciarli camminare da soli. Ma Tommy è un adolescente speciale: certo, è bravissimo a risolvere il cubo di Rubik, sa alzarsi in equilibrio dopo aver girato per mezz'ora come una trottola sulla sedia d'ufficio del padre, però il suo sguardo fatica a incrociare il tuo e il suo vocabolario è fatto di una manciata di parole. Perché Tommy è autistico, un dolcissimo, solitario ragazzone che senza l'aiuto di qualcuno difficilmente potrà percorrere le strade della vita. Tommy "frequenta" il liceo artistico, ma non conosce l'ambizione di un diploma o di una laurea. Il vero traguardo di quelli come lui è l'autonomia nelle piccole azioni di tutti i giorni: sapersi lavare e vestire, allacciarsi le scarpe, affettare le zucchine per un piatto di pasta da cucinare sotto lo sguardo attento di un adulto. E se fino a un anno fa la sua gestione quotidiana - già tutt'altro che semplice - era pur sempre l'unico problema dei genitori, per loro è ora arrivato il momento di affrontare nuovi angoscianti quesiti: che ne sarà di Tommy domani? Chi se ne occuperà quando il padre e la madre non avranno più le energie per camminargli accanto? In questo libro, Gianluca Nicoletti ci racconta (e si racconta) cosa succede "dopo", quando al tuo bambino incapace di comunicare inizia a spuntare la barba e tu, oltre alle difficoltà del presente, devi fare i conti con il suo futuro.
"Perché si muore?", "Perché Gesù è risorto e il nonno no?", "Mamma, ma quando io sarò grande tu sarai vecchia? E quando sarai vecchia, morirai? Allora io non voglio crescere, perché altrimenti dopo tu muori!" I bambini fanno spesso domande sulla morte, mettendo in imbarazzo noi adulti, affannati a trovare risposte che quasi sempre non abbiamo. Tanto più che la morte è oggi relegata nel terreno dell'impensabile, lontana, distante. Invece le perdite fanno parte della vita di tutti e crescere implica un continuo, quotidiano confronto con il dolore e il lutto. Ogni passaggio di crescita è infatti caratterizzato da una conquista, ma anche da una perdita: bisogna perdere il nostro ieri per far spazio al nostro domani. In questo senso, il lutto è evolutivo. Quando però un lutto colpisce la nostra famiglia, se c'è un bambino preferiamo quasi sempre tacere con lui, pensando così di proteggerlo, convinti come siamo che i bambini siano troppo piccoli per capire e vadano protetti dai fatti dolorosi della vita. Ma la loro "beata innocenza" è solo uno stereotipo: se c'è una grave preoccupazione o un dispiacere in casa il bambino, con i suoi sensi all'erta, lo percepisce subito. E sono proprio l'incertezza e la confusione prodotte dal nostro silenzio che più lo disorientano e che rischiano di lasciarlo solo davanti a qualcosa più grande di lui. Quando poi scoprirà la verità, cosa che alla fine inevitabilmente succede, si sentirà per giunta ingannato e tradito da coloro di cui più si fida.
Nel messaggio di ingresso nella diocesi di Milano, il 10 febbraio 1980, il cardinal Martini scriveva che "all'interno della storia compete alla città di Roma un ruolo tutto speciale. Essa, come sede di Pietro, è il segno e lo strumento concreto dell'unità di tutti i cattolici, e ad essa guardano con crescente fiducia anche tanti altri credenti in Cristo". E proprio sotto il segno della Città Eterna, simbolo di una Chiesa che si edifica sul fondamento della fede, sono raccolti gli scritti compresi in questo volume: due corsi di Esercizi spirituali dedicati alle tradizionali "colonne della Chiesa" (Pietro e Paolo), il saggio del 1983 "C'è ancora qualcosa in cui credere", sulla solidità della decisione di fede e sulla pace interiore che essa può infondere, e gli interventi nelle varie edizioni della "Cattedra dei non credenti", a indicare sentieri di dialogo tra il credente e il non credente (che convivono in ogni uomo) e a ricordare che l'incredulità, come la fede, non è mai una condizione spirituale stabilmente acquisita.
Per illustrarci i temi chiave sui quali la filosofia da sempre si interroga, Ermanno Bencivenga ha scelto un linguaggio insolito: quello delle favole. Ne è nato, nel 1991, "La filosofia in trentadue favole", poi ampliato in diverse edizioni successive fino ad approdare a "La filosofia in sessantadue favole". Il noto filosofo torna qui a parlarci di un mondo in cui il quattro vuole essere dispari, gli oggetti si ribellano, le scuole insegnano cose false e due gemelli sono costretti a scambiarsi un'unica faccia. Incontriamo anche una luna che non c'è, un vento scherzoso, una pioggia di fogli; e persino una storia che non sapeva come andare a finire... In questo mondo la magia è negli occhi di chi guarda, nella meraviglia di chi osserva le cose con l'innocenza di un bambino, di chi gioca a chiedersi "perché" sapendo che ogni risposta cela sempre una nuova domanda. Perché è proprio dal senso di stupore, dall'incantamento con cui i bambini ascoltano le favole che nasce la riflessione filosofica.