
Sul tema della Guerra e della Pace sono messe a confronto le opere di un pittore che ha percorso il XX secolo, Pablo Picasso, e le parole di un filosofo, Carlo Sini, che ne ha percorsa la seconda parte, entrando nel XXI secolo. Un importante testo di Sylvie Forestier ci accompagna nella Cappella della Guerra e della Pace di Picasso e nella cronologia delle sue opere. Picasso, alla fine della prima guerra mondiale, viaggia in Italia con Cocteau e scopre il mito mediterraneo della pace. La guerra di Spagna con il bombardamento nazista di Guernica ispira a Picasso un capolavoro sulla tragedia della guerra, "Guernica" appunto, accompagnato da opere sul dolore. Dopo la seconda guerra mondiale, ad Antibes Picasso ritrova la pace mediterranea e, politicamente impegnato, ne realizza un simbolo, la colomba. La guerra in Corea lo riporta a una nuova Guernica, questa volta nel ricordo della fucilazione dipinta da Goya. La sfida della Cappella della Guerra e della Pace, unitamente a Guernica e a Massacro in Corea fa di Picasso l'artista moderno più capace di metterci con forza poetica davanti all'orrore della guerra. Le parole di Sini ci conducono al senso e alla pratica della pace. Sini ricorda Whitehead per il quale la pace era un «modo di essere, non un concetto; piuttosto è un'azione simbolica, che ha qualche connessione con l'Arte e col Bello. In questo senso essa frequenta idealmente il mito e tutte le figure archetipiche dei primordi umani». Sini insiste: «Non lo starsene in pace o l'essere lasciati in pace nel proprio rifugio e nascondiglio ma, al contrario, l'essere totalmente aperti e nell'aperto, senza più protezione (come diceva Rilke), innamorati dello spettacolo degli altri e della bellezza della vita comune; dimentichi di profitti immaginari e interamente dediti alle imprese da affrontare con i compagni che il destino ci ha dato».
Straordinario periodo di creatività archistica fu il passaggio tra primo e secondo millennio. Il cuore dell'impero ottomano, che coinvolse soprattutto regioni della Germania, Milano e la Lombardia, fu attraversato da una corrente artistica di alto profilo, stilizzatat e colta, che è rimasta documentata in alcune esperienze architettoniche, in pochi affreschi, come quelli di Galliano a Cantù, ma soprattutto nelle miniature, negli oggetti di culto e nei simboli del potere. Appare evidente l'influsso di Bisanzio, ma prevalgono i segni di una nuova sensibilità e di un nuovo gusto propriamente occidentali. Il volume affronta lo stesso periodo in Francia, nell'Inghilterra meridionale e nei regni del nord della penisola iberica.
Oreste e Celeste sono due angeli custodi. Dall'alto della loro nuvola, tengono d'occhio i loro protetti, Gianna e Gianni. Non è facile accudire queste due piccole pesti! E chissà cosa si inventeranno, adesso che sta nevicando... Età di lettura: da 6 anni.
Tutta la filosofia di Derrida può essere letta come un ininterrotto seminario sul segno, sulla sua natura arbitraria e sulla sua impossibilità costitutiva di restituire la presenza nella sua integrità. La tesi principale del filosofo francese sostiene che il nostro linguaggio è contagiato dalla dispersione, dall’assenza, dalla perdita, dal rischio continuo di non essere supportato. Da una parte, la filosofia tenta invano di controllare lo spargersi incontenibile del suo significato, si batte contro la ruvida grana del linguaggio per offrire una pulita rivelazione della verità. Dall’altra la letteratura esibisce la sua insincerità, abbandonandosi al dionisiaco fermento del linguaggio. In questo saggio più che in altri, Derrida imbastisce un festoso modello di giochi di parole, rimandi, eco e allusioni destinati a decostruire sia la pretesa della critica di dire la verità sulla letteratura, sia quella della filosofia di annettersi l’attendibilità e la testamentarietà del testo letterario.
In questo terzo volume dei «Percorsi», Inos Biffi esplicita la concezione della propria Antropologia Trinitaria iniziata con "Il Dio che attrae l'uomo" e proseguita con "Il dono trinitario". Il bene è visto in queste pagine come splendore della relazione trinitaria. Esso genera la storia dell'intera umanità per attirarla nella sua gloria.
La storia religiosa dei secoli XVI e XVII ha trovato nell'opera di Michel de Certeau un insuperato punto di riferimento. In quest'epoca attraversata da inquietudini e dibattiti, il suo sguardo individua voci e testimonianze come quelle di Carlo Borromeo (riformatore tridentino a Milano e Roma) e di René d'Argenson (segretario di stato per gli Affari esteri di Luigi XV) o, ancora, Lafitau (che cercò di inscrivere i costumi e le tradizioni amerindie nella storia dell'umanità) e Michel de Montaigne, acuto indagatore dei cannibali brasiliani, che contribuirà alla nascita dell'antropologia. Le analisi di Certeau, a cui vanno aggiunte pagine fondamentali su Henri Bremond, Robert Mandrou o gli "Esercizi spirituali" di sant'Ignazio, recuperano l'alterità del passato (soprattutto, ma non esclusivamente, religioso) e ne mostrano i resti inassimilabili, i residui che sfuggono al trattamento ideologico o alla presa totalizzante, fosse pure quella del senso che non appartiene a nessuno e che, proprio per questo, non si deve smettere di cercare. "Il luogo dell'altro" rappresenta dunque una mirabile sintesi dell'opera di Certeau: un'opera mai compiuta e sempre proiettata al di là dei suoi guadagni.
I mille anni del processo di cristianizzazione serba sono un capitolo significativo nella storia dell'evangelizzazione degli slavi.
In particolar modo il Medioevo ha rappresentato il momento in cui l'identità serba ha sviluppato i suoi fondamenti politici, sociali, filosofici e artistici.
Fondamenti che non hanno perso forza anche dopo la conquista ottomana della fine del xiv secolo e che hanno nutrito nei secoli la coscienza collettiva del popolo serbo e la lotta per una cultura serba indipendente.
I grandi monasteri, i dipinti, le miniature nati in questo periodo, che si collegano allo sviluppo del linguaggio, della letteratura e delle arti minori, sono tra gli esempi più vivi e tangibili dell'impronta di societas cristiana lasciata sull'Europa dall'Adriatico fino agli Urali.
La trascrizione di queste lezioni testimonia dell’interesse di Derrida per Marx, attivo già negli anni Settanta, segnati dal clima infuocato della contestazione nell’Università e nella società, soprattutto parigine. Il Marx che viene presentato è un pensatore non accademico, ma rivoluzionario, in grado di trasformare la nozione stessa di teoria, inconcepibile in termini autentici fuori da un’attività di radicale cambiamento sia nel pensiero sia nei gesti. La lettura derridiana si lascia attraversare da quella del suo più anziano collega Louis Althusser, uno dei maestri dell’interpretazione di Marx in chiave scientifica e rivoluzionaria, sia riguardo all’economia che alla lotta politica. La nozione di prassi che ne emerge risulta di estremo, bruciante interesse nel momento della società attuale, rinunciataria fino agli estremi limiti a progetti di trasformazione radicale e soprattutto incredula che l’individuo, soggetto di un desiderio e di un giudizio, possa avere un effettivo spazio e possibilità di azione nella sfera dei rapporti politici. Una nozione di prassi diversa dalle procedure tecnocratiche è la posta in gioco di questo libro.
Il volume raccoglie i contributi relativi all'ottavo Seminario internazionale organizzato nel novembre 2017 dall'Archivio «Julien Ries» per l'antropologia simbolica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, dedicato al tema Religione e Potere. L'opportunità che diviene tentazione. La religione può essere definita come un sistema di pratiche identificabili con narrazioni e celebrazioni, cioè miti e riti. In quanto sistema, essa si configura necessariamente come prescrittiva: la sua normatività dovrebbe essere al servizio dell'uomo, favorendolo nel coltivare la dimensione del rapporto con Dio. È accaduto e accade, tuttavia, che l'aspetto prescrittivo tenda a prendere il sopravvento, con l'esito di trasformare la religione, che è al servizio di Dío e degli uomini, in uno strumento che sí serve di Dio per dominare gli uomini.
Arriva l'inverno, gli animali della foresta fanno provviste prima che il ghiaccio e la neve ricoprano tutto.
Scoiattoli, topolini, talpe sono molto indaffarati: non c'è tempo da perdere.
Ma quest'anno c'è una grande novità per la famiglia dei Ricci: niente letargo!
Mamma e Papà Riccio hanno infatti deciso di festeggiare il Natale. Sembra una festa così speciale, tutti ne parlano come qualcosa di magico.
Così la sera della vigilia, il Topo bussa alla porta della famiglia dei Ricci pieno di entusiasmo: sveglia, è Natale!
I piccoli si svegliano in un lampo, invece Mamma e Papà Riccio non vogliono proprio saperne di aprire gli occhi.
I preparativi non possono aspettare. Ghirlande, una tavola imbandita con con ogni prelibatezza, tanti regali e un fuoco che scoppietta e scalda i commensali. Forse il profumo della torta al cioccolato sarà in grado di risvegliare i due dormiglioni?
IL RACCONTO DI UNA NOTTE SPECIALE IN CUI TUTTO SEMBRA POSSIBILE. ANCHE SVEGLIARSI DAL LETARGO