I poeti dell'anno liturgico: l'espressione antica e moderna della tradizione religiosa milaneseIl mistero cristiano si fa poesia e canto negli inni sacri di sant’Ambrogio e di Alessandro Manzoni. Questo volumetto contiene i commenti di Inos Biffi a questi inni.
Anzitutto a quelli dell’antico vescovo di Milano, che, con fine intuito pastorale e con autentica ispirazione poetica, insegnò ai suoi fedeli a rendere "canora" la confessione della fede e a proclamarla in versi: sono gli inni ambrosiani di continuo imitati ma non mai superati. I fedeli imparavano l’autentico Credo cantandolo nei momenti principali della giornata e nelle feste dell’anno liturgico. Ma la Chiesa di Milano ha conosciuto un altro poeta dell’anno liturgico: Alessandro Manzoni con i suoi Inni Sacri.
Anch’egli, attratto dai misteri della redenzione, li ha convertiti in lirica. E la stessa Chiesa di sant’Ambrogio ne ha riconosciuto il valore, inserendone larghi tratti nella sua stessa liturgia. Come si vede: un santo vescovo e un grande scrittore e testimone della fede, che hanno dotato di un prezioso e squisito patrimonio la tradizione della preghiera cristiana. I commenti di Inos Biffi, pur nella loro brevità, iniziano al gusto di questi gioielli di ortodossia e di poesia.
Questo è il libro dei libri di Panikkar. Un'introduzione indispensabile alla sua opera e al messaggio della sua vita
«Mi era stato richiesto in più occasioni di elaborare una sintesi del mio pensiero, di pubblicare, cioè, un testo che potesse intitolarsi La mia Opera. Mi sono reso conto che in effetti il lavoro l’avevo già fatto, avendo preparato in questi ultimi anni le introduzioni ai vari volumi dell’Opera Omnia: esse sono a volte nuove stesure, a volte scritti rieditati e adattati per introdurre la nuova organizzazione dei lavori.
Tutti i miei scritti rappresentano non solo un problema intellettuale della mia mente, ma una preoccupazione del mio cuore e, ancor più, un interesse reale della mia intera esistenza, che ha cercato per prima cosa di raggiungere chiarezza e profondità studiando seriamente i problemi della vita umana. Forse con stupore di molti, posso dire tuttavia che nessuno dei miei articoli o libri è stato scritto al fine di esprimere me stesso, o perché sentivo la spinta a scrivere o perché mi proponevo volutamente di scrivere qualcosa. Furono tutte stesure occasionali, suggerite dalle circostanze, volute da amici, sollecitate da incontri o convegni. Ciò significa anche che non ho mai considerato i miei libri tanto seriamente da supporre che rappresentino tutta la mia esperienza e tutte le mie intuizioni, il che non vuol dire che non abbia sempre cercato di essere coerente, che non abbia sofferto per trovare l’espressione giusta, ma che non considero possibile una trasposizione opposta, per così dire, dagli scritti alla mia vita - nonostante il fatto che tutti questi siano trasposizioni dalla vita in idee. Ho sempre fatto uno sforzo immane a scrivere non come occidentale o come indiano, non come cristiano o hindu, e neppure come uomo dei nostri tempi, per quanto ciò sia possibile e compatibile con l’argomento trattato.
Ciò che desidero esprimere è la sensazione sempre presente che "la lettera uccide" e che la parola scritta non è ambasciatrice esclusiva della vita alla coscienza.
Ora che ho fatto lo sforzo di riunire i miei scritti per argomenti, mi accorgo che lo schema di questa Opera Omnia rappresenta il percorso non solo del mio pensiero, ma anche della mia vita, senza esaurirne, come dicevo, l’esperienza».
Raimon Panikkar
Al cuore del messaggio filosofico e teologico di uno dei massimi pensatori viventi
Questo volume nutre l’ambizione di presentare, anche se in forma molto schematica, una visione della realtà, una cosmovisione, differente dalla cosmologia vigente nella cultura dominante. La visione trinitaria della realtà, infatti, non si limita alla concezione che si suole chiamare cristiana: è molto più ampia e universale. L’umanità ha sempre avuto consapevolezza, più o meno chiara, di un Mistero superiore, trascendente o immanente all’Uomo. Se ascoltiamo come l’umanità ha espresso la comprensione di se stessa e del cosmo, possiamo scorgere tre grandi visioni: la visione monista, la visione pluralista (in ultima analisi dualista) e la visione a-dualista sulla quale si basa la visione cosmoteandrica. Questa visione ci dice che la realtà non è formata né da un blocco unico indistinto - sia esso divino, spirituale o materiale -, né da tre blocchi o da un mondo a tre livelli - il mondo degli Dei (o della Trascendenza), il mondo degli uomini (o della Coscienza) e il mondo fisico (o della Materia) -, come se si trattasse di un edificio a tre piani. La realtà è costituita da tre dimensioni relazionate le une con le altre - la perichôrêsis trinitaria -, così che non solo una non esiste senza l’altra, ma tutte sono intrecciate inter-in-dipendentemente. La prima sezione è dedicata a uno studio generale sulla Divinità e a uno più particolare sui suoi volti (capitoli 1 e 2), la seconda sezione riporta un commento sulla Trinità cristiana e sull’Uomo come essere trinitario nella visione antropologica, ellenica e cosmica (parti prima e seconda).
A ricapitolazione della problematica viene introdotta una visione più ampia chiamata Trinità radicale, cioè la visione cosmoteandrica, descritta prima nel suo aspetto generale poi nella sua forma di spiritualità (sezione terza). Inutile dire l’importanza di questo volume in quanto tratta della visione universale dell’Uomo come microcosmo, immagine del Tutto, visione che riconosce all’Uomo la sua dignità in rapporto a Dio e al Cosmo.
Un intreccio giallistico racchiude i classici elementi della narrativa di Gioanola: il lavoro della memoria e l'introspezione psicologica, il ritmo del racconto e l'atmosfera dei luoghi
Il narratore della storia è un professore e scrittore tornato a vivere, da pensionato, al paese natale, dove si trova ad affrontare una situazione che lo ripiomba in un passato creduto per sempre sepolto. Una mattina d’ottobre lo risveglia la scampanellata di un vecchio compagno dell’adolescenza, che ha stentato a riconoscere dopo cinquant’anni di oblio. E’ “Gregorio il gregario”, così soprannominato per la passione ciclistica, al tempo di antichi giri d’Italia comicamente commentati da un irresistibile Ugo Tognazzi. Gregorio, che di nome fa Evasio come il santo protettore di Casale Monferrato, gli annuncia la morte improvvisa del suo amico, "capitano" e padrone Umberto De Ambrosis. I due per mezzo secolo hanno vissuto insieme come eremiti sulla collina del Castello, in una solitudine assoluta, chiusi come in un’isola sottratta al tempo in quella dimora un po’ misteriosa, che sta nel bel mezzo del paese ma è circondata da un’ampia campagna. Il professore si stupisce che ci si rivolga proprio a lui, dopo tanta reciproca dimenticanza, ma Evasio dice che questa è la volontà del morto, affidata a una lettera che consegna allo stupefatto pensionato. In realtà lui e Umberto sono stati amicissimi in gioventù, poi le loro strade si erano divise, uno dedito agli studi letterari e alla famiglia, l’altro sempre più chiuso in un suo rigorismo religioso che lo ha portato a vivere come una specie di monaco laico, fino a perdere la nozione del reale e a confinarsi in una quieta follia. Di tale esaltazione mentale è parte integrante la passione per la bicicletta e per Fausto Coppi, per il quale ha edificato un vero e proprio santuario nel suo castello, dove ha vissuto, sino al decesso, con l’amico e subalterno Gregorio.
Trattandosi di una morte improvvisa, vengono interessate le autorità preposte, tanto più che c’è stata nottetempo l’effrazione di una finestra del Castello. Il morto, inopinatamente, ha nominato l’antico amico, diventato poi per lui una specie di nemico immaginario, suo esecutore testamentario e, in questa veste, egli si incarica di tutte le incombenze del caso, ma si fa anche carico delle ricerche intorno a quella morte misteriosa. Da qualche tempo al Castello, dove nessuno ha mai messo piede, si è materializzata una presenza diabolica, in figura di una donna-fattucchiera che ha stregato e sedotto Evasio: Umberto ha intuito l’accaduto e lo ha vissuto come un atto di profanazione e sconsacrazione. Di qui alla sua morte è un passo, ma come davvero siano andate le cose il racconto lo rivela solo alla fine.
Il romanzo coniuga memoria e meditazione esistenziale, passioni e astratti furori giovanili, riflessioni sul religioso e nostalgie per luoghi e incontri di un lontano passato, tutto però affidato ad un vivace ritmo narrativo e alle risorse di un intreccio che tiene desta la curiosità fino alla conclusione della vicenda.
Un'opera simbolo della grande pittura antica. Uno studio serrato, coinvolgente e innovativo
Il grande affresco dionisiaco della villa dei Misteri esercita uno strano fascino sugli innumerevoli visitatori di Pompei. Il suo significato ha suscitato numerose polemiche, più feconde di quanto non lasci intendere un recente studio nel quale i misteri evocati dalla pittura sono ridotti a dei segreti d’alcova. Questo successo, unico nel suo genere forse in tutta la storia della pittura, è dovuto al genio pubblicitario dell’archeologo italiano Amedeo Maiuri, che ebbe l’idea di chiamare villa dei Misteri quella che era ancora villa Item, dal nome del proprietario del terreno dove la villa fu portata alla luce a partire dal 1906. Anche dopo le spettacolari scoperte in Macedonia, questo affresco rimane tra le testimonianze più impressionanti che noi possediamo di quella che fu la grande pittura antica della tradizione greca, e grazie ad esso si può condividere un po’ dell’ammirazione che gli Antichi hanno rivolto a maestri come Zeusi, Parrasio o Apelle, le cui opere sono irrimediabilmente perdute. Nessuno può restare insensibile alla straordinaria presenza di questi personaggi distribuiti sui quattro lati di una grande sala della villa, all’intensità dei loro sguardi, ai sentimenti spesso violenti che esprimono e che li rendono così vivi. Un altro aspetto che spiega l’influenza di questa pittura sulla nostra sensibilità contemporanea, è che in essa sono presentate azioni rituali legate ai famosi misteri di Dioniso, dei quali la proprietaria della villa intorno al 60 a.C. fu senza dubbio una convinta officiante. Se una trentina di interpretazioni, spesso molto contraddittorie, dell’affresco sono state proposte da un secolo a questa parte dagli specialisti dell’Antichità, solo l’approccio religioso resiste a un confronto tra la pittura e le numerose fonti testuali e iconografiche di cui disponiamo. Per questo motivo, l’affresco è una testimonianza unica sulle credenze e la vita interiore di una donna che fu al tempo stesso contemporanea e prossima a Cicerone.
Nel quadro dell’"Opera Omnia" di Inos Biffi - dopo i volumi della sezione «La costruzione della teologia medievale» - Il Mistero di Cristo comprende i saggi dedicati alla riflessione sulla «sacra dottrina» e su alcuni dei suoi contenuti fondamentali.
Il primo tomo Sapere il Mistero è dedicato alla conoscenza dell’eterno progetto divino, cioè di Gesù, il Crocifisso Signore: egli è, infatti, la mediazione, la forma e il fine di tutta la realtà, e particolarmente dell’uomo, rappresentando, così, il principio e la sostanza di tutta la Rivelazione. È, allora, evidente la conseguenza sul piano del metodo teologico, che consiste nella lettura e nell’interpretazione rigorosa di ogni cosa dal profilo di Cristo. Il che equivale a riconoscere il cristocentrismo al cuore della teologia e a ritenerlo la condizione assoluta di un rinnovamento della figura della teologia. D’altronde, ciò corrisponde all’itinerario che l’autore ha percorso nei lunghi anni del suo studio e delle sue ricerche e che lo ha portato, di tappa in tappa, alla consapevolezza sempre più esplicita e congruente del primato del Cristo Risorto e glorioso.
Col rilievo del metodo, Sapere il mistero considera tuttavia anche alcuni aspetti del dogma cristiano, nei quali l’opera del Crocifisso salvatore si rifrange, mostrando la sua multiforme ricchezza. Il secondo tomo tratterà L’esperienza del mistero, in particolare nella forma dei sacramenti, che sono la presenza del Signore nel tempo della Chiesa, specialmente nell’Eucaristia, che di quella presenza e di quella esperienza costituisce la pienezza.
Assieme alla vergine e martire Agata, morta a Catania 53 anni prima ma oriunda di Palermo, Lucia, donna di eccezionale bellezza ed elevata estrazione sociale, costituisce il binomio agiografico più significativo e più celebre di quelle eroine che, con il loro martirio, subito in difesa della verginità e della fede, gloriarono la Sicilia nei primi secoli del cristianesimo. Secondo la tradizione e la pia devozione popolare, Lucia patì il martirio a Siracusa il 13 dicembre del 304 sotto Diocleziano, lo stesso anno in cui il 12 agosto a Catania era giustiziato il giovanissimo martire volontario Euplo/Euplio. A differenza di Agata, Lucia esemplifica il modello cristiano di chi nega la propria famiglia e dona tutti i propri averi alla Chiesa e ai poveri. Proprio a causa della devoluzione dei beni materiali, il fidanzato rimprovera Lucia di avere dilapidato il patrimonio paterno con uomini depravati e di essere pertanto diventata una meretrice dissoluta. La dilapidazione dei beni materiali è motivo di accusa e di assimilazione alla dissolutezza dei costumi (il "Carnale mercimonium"), preludendo alla condanna al postribolo e poi a quella finale per spada. Dal Medioevo si consolida il patronato della vista attribuito a Lucia e dai secoli XIV-XV si fa largo spazio un'innovazione nell'iconografia, la raffigurazione con in mano un piattino (o una coppa) dove sono riposti i suoi occhi.
Homo creatus est è l’ultimo e più recente dei 5 volumi dei Saggi Teologici di Hans Urs von Balthasar. Come suggerisce il titolo, l’opera presenta l’antropologia del grande teologo, la visione dell’uomo quale è stata fatta propria da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Non a caso il libro è dedicato al cardinale Joseph Ratzinger. La visione dell’uomo, dunque. Ma non c’è da attendersi cedimento alcuno al pensiero contemporaneo, alla nuova scolastica o alle infinite correnti nate dalla dissoluzione della metafisica. Il punto di partenza di von Balthasar è da una parte il desiderium Dei presente nella creatura di cui parla sant’Agostino, dall’altra la considerazione dell’uomo de arriba (sant’Ignazio). Ne possono nascere due antropologie diverse: l’una ascendente, a partire dall’uomo che cerca il proprio compimento in Dio; l’altra discendente, di Dio che va incontro all’uomo portandolo così a salvezza e compimento. Le due opzioni possono trovare un punto d’incontro nell’amore originario di Dio, il quale crea l’uomo come libero partner dell’alleanza. L’uomo, di conseguenza, realizza se stesso, giunge alla sua pienezza nel momento stesso in cui si apre all’incontro con Dio. Una tematica di grande fecondità è quella legata all’eros, alla differenza sessuale, alla dignità della donna. Tre momenti strettamente uniti, come sottolinea, ad esempio, Mozart ne Il flauto magico. Sono vie della manifestazione dell’amore di Dio. Nello stesso tempo sono vie della più piena realizzazione dell’uomo. Creata da Dio, l’umanità è chiamata a innalzarsi a Dio, a vivere in Dio, visto che Dio è venuto e ha posto la sua tenda in mezzo a noi.
I volti del cristianesimo orientale
La storia del cristianesimo non si esaurisce con le chiese europee. Anche se le chiese occidentali sono meglio conosciute, tuttavia un notevole sviluppo lo ebbero quelle orientali, situate in quella parte dell’impero romano: là si tennero grandi dibattiti teologici e i primi concili ecumenici su cristologia e Trinità; là maturò un diritto ecclesiastico favorevole ai cristiani e alle loro chiese, oltre a un vasto fiorire di comunità per i diversi loro riti. Costantinopoli era il centro di quello sviluppo: le molteplici altre vicende dello stesso cristianesimo con le diverse culture dei popoli interessati e le conseguenze di occupazioni militari e politiche durate secoli, sotto un’unica autorità politica, non beneficiavano però di un’unica autorità religiosa. Dal VII secolo in poi aumentava l’importanza delle chiese occidentali, di Roma anzitutto, dove erano giunti Pietro e Paolo, e dove più tardi Carlo Magno cooperava a unificare la liturgia e a controllare la dottrina, aspetti questi meno facili in Oriente, nonostante le iniziative dell’imperatore Giustiniano tese a mantenere l’unità teologica. Chiese separate dal ceppo bizantino continuarono peraltro a svilupparsi, in specie oltre i confini dell’impero romano d’Oriente, protette o meno dagli stati nei quali erano inserite. La loro storia continua a interessare, anche se la conquista ottomana di Costantinopoli nel 1453 doveva segnare una profonda cesura, con chiare ripercussioni pure in Occidente. La nuova edizione di questo classico, corredata da ulteriori riflessioni sull’opera degli imperatori cristiani e sull’estensione dei movimenti ereticali, con una bibliografia aggiornata offre una guida per chi voglia conoscere il patrimonio di esperienza, teologia, spiritualità di quelle chiese.