
In un giorno d'estate soffocante, un avvocato si mette alla ricerca del suo gatto e in un giardino abbandonato dietro casa incontra una strana ragazza. Una giovane coppia decide di fare uno spuntino notturno e assalta un McDonald's per avere trenta Big Mac, realizzando cosi' un segreto desiderio adolescenziale del marito. Nel racconto che da il titolo al libro, un uomo è ossessionato dalla incredibile, misteriosa scomparsa di un elefante dallo zoo del paese. E poi ancora una curiosa digressione sui canguri, un uomo che incendia granai per il gusto di vederli bruciare e le introspezioni di una giovane madre afflitta da insonnia.
Nel 1989 Toti Scialoja raccolse sotto l'insegna del "senso perso" tutte le sue poesie, fino ad allora riservate a un pubblico di amici, bambini e intenditori: da "Topo, topo, senza scopo, / dopo te cosa vien dopo?" sino a "La tristizia, il nevischio, il solstizio d'inverno / nel buio natalizio sono sempre di turno...". Partendo dalla strofa infantile si attraversa uno zoo di animali perplessi che si squamano in sillabe, si intrattengono con il gioco commerci non occasionali, si raggiunge la lirica dalla direzione più inattesa. Si chiedeva Giorgio Manganelli: "Non sarà Scialoja un petrarchesco che si è bruscamente accorto di quante possibilità offra una meticolosa dementia praecox?" Sono filastrocche filosofali: "Sento un topo nello stipo. / Lo spalanco: topo bianco!"; tiritere reiterate: "La mucca di Lucca / che gira in parrucca / in mezzo alla vigna / e allunga la lingua / ammicca o pilucca?"; invenzioni inveterate "Ieri vidi tre levrieri / mogi mogi, / oggi vedo tre levroggi neri neri, / che domani sloggeranno / levri levri"; lapidi lepide e rapide: "Ahi, la vespa / com'è pesta! Era vispa, / non fu lesta". Quello che oggi possiamo finalmente rileggere è l'inimitabile repertorio in cui Toti Scialoja ha collaudato l'esattezza del principio da lui stesso enunciato: "Nel nonsense la parola è alla prova del nulla".
Il passato raccontato da Michele Mari è quello mitico e irrecuperabile dell'infanzia, eroso negli anni da una diaspora di oggetti e sentimenti il cui ricordo continua a sanguinare. Ma in questi racconti non c'è mai il rimpianto di una perduta età dell'oro, perché la violenza immaginifica dell'autore opera un recupero altissimo di emozioni infantili legate a un universo in cui le sole figure amiche sono quelle dei propri personali mostri e di pochi, semplici ma "fatidici" giocattoli. Ogni pagina spalanca abissi di malinconia dove fanno irruzione visioni fantastiche e terrificanti, in cui riecheggiano nitide le voci degli autori più amati, Stevenson, London, Poe, Melville. Così i giardinetti che accolgono gli svaghi pomeridiani dei bambini diventano lande inospitali, dove s'aggirano tremende creature mitologiche come le Antiche Madri; così un puzzle segna l'iniziazione a un'ascesi quasi monastica, così le copertine di Urania o le canzoni degli alpini diventano la palestra di ossessive elucubrazioni mentali, e tutto è tanto più feticisticamente inventariato quanto più la vita sembra cosa riservata ad altri. Una narrazione di trasalimenti e precoci nevrosi, condotta con commozione ma anche con feroce umorismo dalla voce inconfondibile di Michele Mari. Il ritorno di un libro uscito da Mondadori nel 1997, e già considerato da molti un piccolo, imprescindibile classico.
Se il successo nel lavoro rispecchiasse quello scolastico, le donne oggi governerebbero il mondo. Perché spesso avviene il contrario? In questo volume Susan Pinker risponde ribaltando alcune delle nostre più ferme convinzioni, in particolare che donne e uomini siano equivalenti dal punto di vista biologico e che abbiano gli stessi obiettivi di vita. Che cosa vogliono le donne e perché lo vogliono? Che senso ha imporre alle donne un modello lavorativo maschile? Perché la parità non c'è ancora? Per Susan Pinker all'origine della differenza c'è uno scarto biologico che favorisce inclinazioni e atteggiamenti distinti. Soltanto accettando questa divergenza fondamentale si potrà realizzare un'organizzazione del lavoro in cui le diverse attitudini siano rispettate e valorizzate. Un saggio controverso che mira a gettare nuova luce sulle differenze tra uomo e donna, e offre spunti inediti per riaprire il dibattito.
Darina è una donna giovane e bella. Una donna troppo libera in una città dilaniata dalla guerra dove essere donne non è facile ed essere libere è solo un sogno. O una condanna. 'Assim è suo padre. Un intellettuale laico in esilio, innamorato dell'alcol, del poker e del jazz, che insegna alla figlia il piacere del buon vino, l'amore per la letteratura e ad esser sempre libera e ribelle. Libera dalle regole, dalle tradizioni, dalle religioni, dagli uomini e dai mariti, da tutti quelli che pensano, ad esempio, che la verginità sia una dote per la donna. Ma a Beirut è l'inferno. Bombardamenti, massacri, fame, isolamento. Una lunga, agonizzante guerra civile. L'unica legge è quella delle armi. Per gli adolescenti che vivono lì la guerra con la sua adrenalina è una droga, come lo è l'hashish o il sesso che si fa per dimenticare l'orrore o la roulette russa che si prova per sentirsi vivi. Darina lo sa e sperimenta tutto fino in fondo e fino in fondo paga le conseguenze della sua folle ribellione. Poi una notte, dopo la morte del padre, viene picchiata e rinchiusa dalla sua famiglia in manicomio dove l'unico modo che ha per sopravvivere è fingersi pazza e scrivere su fogli immaginari la sua storia. Questa storia. Una storia vera, autobiografica, raccontata ad alta voce.
Céline finge di concedere un'intervista all'immaginario professor Y, trasformandola in un frenetico soliloquio sulla letteratura. Soliloquio "dove Céline - come scrisse Mario Bonfantini - condanna al fango e allo sterco tutti i moderni e contemporanei come noiosi e falsi, repellenti prodotti d'una marcia tradizione accademico-professionale". La conclusione ricorda l'improvviso, incalzante cambio di ritmo delle comiche finali al cinematografo: il professor Y, stremato e ubriacato dal fiotto di invettive di Céline, sviene, stramazza, cerca scampo prima negli alcolici, poi buttandosi in una fontana, e dona fiori all'editore, in una sequenza di scene grottesche, che hanno suggerito a Gianni Celati (autore della traduzione e della prefazione) i nomi di Harry Langdon, Buster Keaton, i fratelli Marx, Stan Laurel e Oliver Hardy.
La Riviera luccicante degli anni Venti, tra i balli e il casinò, le spiagge e i campi da golf, è lo scenario di questa storia in cui cospirazioni di corte, trame massoniche e manovre dei Servizi segreti sospingono i destini dei personaggi in un gioco che può rivelarsi mortale. È a Sanremo infatti che soggiorna Maometto VI, sultano in esilio. E poco distante, a Bordighera, ha la sua dimora la regina madre Margherita di Savoia. Ma quando il medico del sultano muore in circostanze misteriose, Fatima viene fatta fuggire dalla corte perché ha visto qualcosa che non doveva vedere. Sotto una copertura insospettabile si nasconde a Isolabona, paesino dell'entroterra ligure che "crede nella Madonna e nel silenzio". Qui trascorre le sue giornate aspettando Michel e l'ineluttabile compiersi del destino, mentre dal grammofono di Ricò, all'ingresso del paese, escono le note malinconiche di una canzone sudamericana che inspiegabilmente si interrompe sempre prima della fine. Ma il nascondiglio di Fatima si fa sempre meno sicuro: sono in troppi a voler conoscere il suo segreto. A partire da Gino Cariolato, lo chauffeur-coiffeur della regina, che invidioso delle sue doti di pettinatrice rischia di mettere a repentaglio la vita del sultano.
Storie di coraggio e di amore. Storie che fanno rabbrividire e, insieme, commuovono. Storie di ragazze che hanno amato l'uomo sbagliato e di famiglie che le hanno ammazzate. La giornalista turca Ayse Onal scava nei rimorsi, nell'ignoranza e nella stupidità degli assassini per capire come si possa giungere a uccidere per onore persone che si amano. Con una scrittura piena di pietà, ma così rigorosa da non tacere nulla, riesce nell'impresa di illuminare le figure delle vittime e ricostruire le vicende che le hanno condotte a morire. Tra disperati tentativi di fuga, matrimoni forzati, amori improvvisi e travolgenti. Dopo botte, umiliazioni, violenze. E così, leggendo dell'indomabile Remziye o dell'ingenua Papatya, si squarcia il velo di indifferenza che avvolge un fenomeno di proporzioni immani. Nella sola Inghilterra si stima che circa 18 mila ragazze ogni anno siano vittime di crimini legati all'onore. Una tragedia che non chiama in causa soltanto la Turchia, dove il libro è ambientato, ma l'umanità intera. Anche l'Italia, sempre più spesso, come dimostra la cronaca.
Da quattro mesi i marciapiedi di Parigi riservano una sorpresa apparentemente innocua: grandi cerchi blu tracciati con il gesso, e al centro una serie di oggetti stravaganti: un trombone, una pinzetta, un vasetto di yogurt, una candela... I giornalisti indagano per sfamare l'interesse dei lettori e gli psicologi si dividono tra chi grida al maniaco, e chi ipotizza la burla. Adamsberg, però, non trova nulla di divertente nell'escalation dei cerchi: la sua fine psicologia di conoscitore del male gli lascia intuire che dietro l'apparente stramberia si nasconde qualcosa di morboso. E ben presto i fatti gli danno ragione: un'altra alba e un altro cerchio su un marciapiede, ma stavolta, al centro esatto, un corpo di donna. Parte così una corsa contro il tempo per fermare un assassino del quale si ignora letteralmente tutto.
Una storia ottocentesca, ma modernissima: una contestazione della donna romantica attraverso l'evidenza prosaica della fatalità piccolo-borghese. E la storia della maturazione di una ragazza di provincia, figlia di un notaio, che riesce a fatica a liberarsi dell'"immensa uggia" che la soffoca per anni, abdicando all'amore, intenso ma inespresso, per un suo giovane pretendente e rassegnandosi, lei "fresca come una rosa", a sposare un quarantenne brutto e incolore. "La Colombi - osserva Natalia Ginzburg nella nota introduttiva presenta le persone e i fatti senza colorarli di rosa né sollevarli in una sfera nobile" ma in "un modo ruvido, allegro e sbadato" che conquista il lettore. Italo Calvino pubblicò questo romanzo per la prima volta da Einaudi nella collana "Centopagine".