
Nel secondo dopoguerra il ritorno dell'Italia alla tradizionale libertà d'emigrazione, la ricostruzione economica europea e l'avvento in Occidente di democrazie più compiute sembrarono promettere un'epoca di liberi flussi migratori. Nella realtà tutto andò diversamente: la necessità di lavoratori stranieri fu a lungo limitata e le politiche migratorie internazionali rimasero restrittive e inefficienti. Di conseguenza, in decenni in cui l'Italia era il principale serbatoio europeo di manodopera, l'espatrio illegale divenne un fenomeno vasto e diffuso in tutta la penisola. Solo una piccola porzione dei clandestini italiani era mossa da ragioni giudiziarie o politiche. La maggioranza era composta da lavoratori, uomini, donne e bambini che quasi in nulla si distinguevano dai connazionali più fortunati che riuscivano ad emigrare nel rispetto della legge. Dopo avere attraversato i confini stranieri spesso al prezzo della vita, molti furono "sanati" ed equiparati agli immigrati regolari, ma quasi tutti vissero a lungo nell'illegalità sperimentando sfruttamento e precarietà. Molti si rassegnarono a rimpatriare rapidamente, mentre i più sfortunati, in mancanza di meglio, finirono per arruolarsi nella Legione Straniera francese partecipando anche alle guerre d'Indocina e d'Algeria.
Il racconto di Vittorio Foa - protagonista e testimone delle vicende italiane di questo Novecento - ci accompagna dai primi anni del secolo attraverso due guerre e una lunga pace difficile, arrivando fino all'Italia degli anni novanta. Il filo che unisce tutto il libro è la politica, vista come scelta responsabile che comprende il pensiero e l'azione; come capacità di sostenere le proprie ragioni di parte, tenendo conto al tempo stesso delle ragioni dell'altro. Tenace avversario del nazionalismo, nel quale vede la malattia del secolo e la causa continua di violenze e barbarie, Foa afferma tuttavia il valore del sentimento nazionale, dell'identità dell'Italia unita. E alla fine il senso appassionato della memoria di un secolo che scompare diventa la proposta ai nuovi lettori - anche giovani e giovanissimi - di pensare il passato alla luce della propria memoria, delle domande che la vita pone oggi a ciascuno di noi. Questa edizione propone una introduzione dell'autore.
Dopo una gioventù on the road, Rossana è diventata una gatta "condominiale": ha trovato rifugio in un cortile torinese, insieme ai suoi cuccioli, coccolata dalla portinaia Aurora e dalla vedova Esposito. A scombussolare le sue giornate ci pensa Ramon lo sciupagatte, bellissimo e fiero, con il brillio dei suoi occhi verde-semaforo e il sorriso abbagliante a ventotto denti. Compagno infedele e padre decisamente assente, una mattina, prima di sparire del tutto, Ramon le confida il suo segreto: è un discendente del mitico gatto del Cheshire - lo Stregatto di "Alice nel paese delle meraviglie" - e ha ereditato il potere di rendersi invisibile, o quasi... Rossana dovrà scegliere tra i loro cuccioli l'erede giusto, trasmettergli il segreto e soprattutto imporgli di portare a termine il Compito. Inizia così l'avventura di Ruggine, catapultato verso il Nord contro la sua volontà, alla ricerca del luogo in cui dovrà assolvere l'importante missione. Tra mille peripezie e pericoli di ogni sorta, incontra Odradek, la strana creatura letteraria balzata fuori da un racconto di Kafka e, da quel momento, suo inseparabile compagno d'avventure. Attraverso l'esaltante scoperta della letteratura, e qualche incontro inaspettato, Ruggine e Odradek affronteranno un vero e proprio viaggio nella complessità del mondo, in cui il calore dell'amicizia sarà la vera rivelazione.
"L'impresa irresponsabile" non è un titolo metaforico. Se l'intervista a Gallino che aveva per tema la concezione dell'impresa di Adriano Olivetti si intitolava "L'impresa responsabile", questo graffiante libro sul capitalismo deregolato dei nostri anni non poteva che ribaltare il precedente titolo. Perché per l'autore un'azienda diventa irresponsabile quando non risponde ad alcuna autorità pubblica o privata e soprattutto quando si afferma una concezione dell'impresa fondata sulla massimizzazione del suo valore in borsa, a qualunque costo e a breve termine. Dietro i principali scandali finanziari del nuovo secolo, non c'è infatti tanto la disonestà del singolo, quanto l'esito di un governo d'impresa che ha preso sempre più piede.
Cosa significa nascere, crescere, diventare adulti in una terra di nessuno, in un posto che pare fuori dal mondo? Pochi forse hanno sentito nominare la Transnistria, regione dell'ex Urss autoproclamatasi indipendente nel 1990 ma non riconosciuta da nessuno Stato. In Transnistria, ai tempi di questa storia, la criminalità era talmente diffusa che un anno di servizio in polizia ne valeva cinque, proprio come in guerra. Nel quartiere Fiume Basso si viveva seguendo la tradizione siberiana e i ragazzi si facevano le ossa scontrandosi con gli "sbirri" o i minorenni delle altre bande. Lanciando molotov contro il distretto di polizia, magari: "Quando le vedevo attraversare il muro e sentivo le piccole esplosioni seguite dalle grida degli sbirri e dai primi segni di fumo nero che come fantastici draghi si alzavano in aria, mi veniva da piangere tanto ero felice". La scuola della strada voleva che presto dal coltello si passasse alla pistola. "Eravamo abituati a parlare di galera come altri ragazzini parlano del servizio militare o di cosa faranno da grandi". Ma l'apprendistato del male e del bene, per la comunità siberiana, è complesso, perché si tratta d'imparare a essere un ossimoro, cioè un "criminale onesto". Con uno stile intenso ed espressivo, anche in virtù di una buona ma non perfetta padronanza dell'italiano, a tratti spiazzante, con una sua dimensione etica, oppure decisamente comico, Nicolai Lilin racconta un mondo incredibile, tragico, dove la ferocia e l'altruismo convivono con naturalezza.
Questo libro, scritto in occasione del centenario della nascita della pensatrice tedesca, ma non certo esaurito da tale circostanza, intende proporsi come una sintetica, esaustiva e rigorosa ricostruzione della ricerca della Arendt, di cui vengono esplorati i nuclei fondamentali, e insieme come una riflessione simpatetica su quanto di tale ricerca può essere per noi ancora valido, e anzi imprescindibile, nell'affrontare i drammi e le problematiche specifiche della nostra epoca. Per l'autrice, a conferire unità al pensiero di Hannah Arendt è il suo atteggiamento fondamentale, ovvero una volontà instancabile di problematizzazione e rimessa in discussione dei punti di vista consolidati, delle certezze e delle convinzioni radicate, ivi comprese delle proprie. Una volontà che riflette una delle aspirazioni più autentiche della Arendt: restituire alla filosofia la sua vocazione più profonda, che è di essere e farsi forza politica, di agire nel mondo per "amore del mondo", sollecitandolo instancabilmente "a pensare", dato che cessare di pensare costituisce il pericolo più grande e la rinuncia più grave a ciò che è umano nell'uomo.
Poche settimane prima di suicidarsi, Vincent Van Gogh dipinge il ritratto del proprio medico: Paul-Ferdinand Cachet. Il ritratto è quello di un vecchio seduto a un tavolo rosso. Un pugno scheletrico sostiene la testa, l'altra mano giace appoggiata sul tavolo con le dita leggermente allargate. Indossa un cappello color panna e una giacca blu scuro. La posa è quella classica della melanconia. O meglio, come scrive Van Gogh all'artista e amico Paul Gauguin, "nel mio ritratto il dottore ha l'espressione affranta del nostro tempo". Questo libro è la storia del quadro e delle incredibili vicende di cui fu il vero protagonista. Un'avventura che dura cento anni. Inizia nel 1890 e continua fino al 1990, quando il "Ritratto del dottor Cachet" approda a Manhattan e durante un'asta di Christie's, lotto 21, viene aggiudicato per 82,5 milioni di dollari. Il quadro viaggia ininterrottamente da Parigi ad Amsterdam, a Copenhagen, Berlino, Weimar, poi è di nuovo a Parigi, Francoforte, Berlino, Amsterdam, e infine a New York e Tokyo. Da una città all'altra, da un continente all'altro. Passa di mano in mano di molti proprietari: ricchi artisti d'avanguardia, galleristi famosi e senza scrupoli, collezionisti appassionati, direttori di museo che cercano di salvarlo dalla furia della propaganda di regime, ricchi banchieri e anche un membro dell'elite nazista.
Siamo a metà del XVI secolo, e nell'Europa tramortita dai venti della protesta luterana fa la sua comparsa l'elefante Salomone, giunto dall'India a stupire le folle ma che adesso, a Lisbona, non fa che "mangiare e dormire". Sembra una presenza inutile, quand'ecco che Joào III, sovrano del Portogallo e dell'Algarve, e sua moglie Caterina d'Austria decidono di inviarlo in dono all'arciduca Massimiliano, proprio ora che si trova a Valladolid in quanto reggente di Spagna. Il regalo viene accettato, e così si procede a organizzare la carovana che dovrà accompagnare il portentoso quadrupede e il suo cornac Subhro prima da Lisbona al confine con la Spagna, e poi da Valladolid fino a Vienna, passando per Genova, Verona, Padova e Innsbruck. Il romanzo è quindi il racconto di questo viaggio, di questa variopinta comitiva di ufficiali, soldati, servitori, preti, cavalli e buoi che, in mezzo a molte difficoltà e tra ali di gente entusiasta, ha il compito di scortare il prezioso dono fino a Vienna, dove l'elefante sarà artefice di un "miracolo" squisitamente umano. Un libro corale, ironico e delicato, che coinvolge il lettore in prima persona, gettandolo, attraverso la forza visionaria della scrittura, nei meandri della storia in cui tutti siamo immersi.
La libertà italiana, nelle repubbliche del tardo Medio Evo, nel Risorgimento e nella lotta antifascista, è stata opera di uomini e donne religiosi. Molti di loro avevano una sincera fede cristiana, spesso lontana o in aperto contrasto con l'insegnamento della Chiesa cattolica. Altri non credevano in alcuna religione rivelata, ma furono credenti, apostoli e talora martiri di altre religioni, che essi chiamarono "religione del dovere" o "religione della libertà". Gli uni e gli altri furono persone religiose perché vissero la vita come missione, vale a dire come dedizione a un ideale morale: l'ideale della libertà, il chierico obietterà che vera religione è soltanto quella che afferma, sulla base di una rivelazione, l'esistenza di un Dio trascendente. Qualche laico protesterà che non c'è bisogno di chiamare "religione" la devozione a un ideale morale. Alla critica del chierico è facile rispondere che il suo argomento è arrogante e irrilevante: arrogante perché pretende di dire a chi ha vissuto per la religione del dovere o per la religione della libertà che la sua non è vera religione; irrilevante perché la sua protesta non cambia il dato storico che ci furono in Italia uomini e donne che vissero secondo quelle religioni che egli considera non vere. Analoga risposta vale per il laico poco avveduto: è un fatto storico che ci furono persone che si sentirono religiose perché vissero con devozione assoluta l'ideale morale della libertà.
E se il Santo Graal, l'antica reliquia, fosse custodito nei labirinti di pietra, nelle cisterne bizantine sotto i palazzi di Istanbul? Il sultano Mahmut II sta morendo. Yashim, più che mai solo, deve combattere contro un incubo che sembra risvegliarsi da un passato antichissimo. 1839, anni dopo la lotta per l'indipendenza dei greci dell'impero ottomano, Lefèvre, archeologo francese, arriva a Istanbul per cercare un tesoro bizantino che ha a che fare con le reliquie più antiche della città, e forse della cristianità. Yashim, l'eunuco di corte che ama le donne, riceve la richiesta di investigare su Lefèvre. Ma quando il cadavere sfigurato dell'archeologo viene trovato davanti all'ambasciata francese, tutto porta a sospettare dello stesso Yashim... C'è qualcuno che lo sta usando per coprire un complotto, o la realtà è ancora più sorprendente?