
Il 27 ottobre 1962, a Bascapè, a una ventina di chilometri da Milano, cade l'aereo su cui viaggia il presidente dell'Eni Enrico Mattei, una delle figure più rappresentative e controverse del dopoguerra. La sua morte è uno dei "grandi misteri" dell'Italia contemporanea, ma, se spesso si è parlato della tragica scomparsa di Mattei, poco si è detto della sua vicenda personale e della sua parabola politica. In questo libro Carlo Maria Lomartire presenta un ritratto complessivo - al di là delle congetture sulla tragica fine e dello stereotipo del "grande boiardo di stato" - di una figura chiave del ventennio postbellico, uno dei principali artefici del passaggio dell'Italia da paese agricolo a potenza industriale.
Si può combattere il terrorismo con il terrore, o la violenza con altra violenza? È giusto? È efficace? E qual è il prezzo da pagare? Sono interrogativi oggi più che mai urgenti. Michael Ignatieff li affronta con determinazione, autorevolezza e con un raro, equilibrato connubio di idealismo, conoscenza storica e saggezza politica. Il risultato è un’opera notevole, un’analisi dalle molte sfaccettature, il cui ampio respiro consente di accostare il delicato tema della lotta al terrorismo rimuovendo ogni rischio di banalizzazione.
Certo, argomenta Ignatieff, di fronte a un’incombente minaccia, si può essere indotti a pensare che l'unica arma per sconfiggerla sia la violenza e che, pur di garantire la sicurezza, si possano sacrificare le fondamentali libertà civili. Ma l’uso indiscriminato della forza ci mette sullo stesso piano dei nemici che moralmente disprezziamo. Ecco perché la vera sfida, a cui rispondere con coraggio, è vincere la guerra contro il terrore senza venire meno ai valori distintivi della democrazia.
Osservando e mettendo a confronto diverse situazioni di ‘emergenza terroristica’ nella storia degli ultimi centocinquant’anni (dai nichilisti della Russia zarista alle milizie della Germania di Weimar, dagli attentati dell’IRA a quelli senza precedenti di Al Qaeda), Ignatieff dimostra come l'impiego della forza, pure indispensabile in situazioni estreme, sia efficace solo quando è controllato. Ma soprattutto, egli sostiene, non dobbiamo nasconderci che non sempre ciò che si compie in nome della democrazia e della libertà è di per sé buono. Uccidere per contrastare un grave pericolo può essere necessario, ma si tratta comunque della scelta del ‘male minore’. È invece proprio l’etica politica, che con le sue regole impone di contenere l'uso della forza, a offrire alla democrazia, in ultima analisi, l'arma più efficace, l’unica davvero in grado di garantirne la sopravvivenza in un’epoca di terrore: il potere morale che le consente di resistere e perdurare oltre l'odio e la vendetta.
Michael Ignatieff è direttore del Carr Center for Human Rights Policy alla Kennedy School of Government dell’Università di Harvard, storico e autorevole commentatore politico nel campo degli affari internazionali. I suoi articoli compaiono regolarmente sulle pagine di «Repubblica» e diverse sue opere sono state tradotte e pubblicate in Italia. Tra queste: I bisogni degli altri: saggio sull’arte di essere uomini tra individualismo e solidarietà (Bologna 1986); Album russo. Una saga familiare tra rivoluzione, guerra civile ed esilio (Bologna 1993); Isaiah Berlin. Ironia e libertà (Roma 2000); Impero light. Dalla periferia al centro del nuovo ordine mondiale (Roma 2003); Una ragionevole apologia dei diritti umani (Milano 2003).
Le relazioni transatlantiche hanno conosciuto spesso momenti critici, caratterizzati da una forte conflittualità. Tuttavia, pur con ricorrenti crisi, l’ultima delle quali ha riguardato l’intervento militare americano in Iraq, l’alleanza tra Stati Uniti ed Europa continua a rimanere salda nel tempo. Di recente, però, la svolta unilateralista dell’amministrazione Bush, con l’inclinazione a usare la forza militare per portare a termine obiettivi di democratizzazione, non solo ha creato una frattura di difficile ricomposizione con l’Europa, ma ha anche provocato gravi divisioni fra i Paesi membri dell’Unione europea. A più di due anni dalla guerra in Iraq, la crisi sembra essersi smussata ma i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico sono ancora lontani dall’essersi ricomposti, mentre in Europa continuano a coesistere atteggiamenti tutt’altro che univoci rispetto alla politica estera americana. Quali prospettive si presentano, allora, per la stabilità dell’Occidente? Quali fattori di disgregazione della comunità euro-atlantica devono essere affrontati? E ci sono motivi per ritenere che, in futuro, gli alleati si riavvicineranno come ai tempi della Guerra fredda?
A questi interrogativi cerca di dare risposta il presente volume, in cui studiosi di entrambi i continenti si muovono su una prospettiva temporale di lungo periodo. Ne risulta un’analisi per molti aspetti inedita e controcorrente, che evidenzia i diversi aspetti della partnership transatlantica, gli elementi di comunanza e di divaricazione, e non esita a mettere in luce, in maniera netta ma equilibrata, gli errori dell’uno o dell’altro pilastro dell’alleanza.
Vittorio Emanuele Parsi è professore straordinario di Relazioni internazionali nell’Università Cattolica di Milano, dove è anche docente presso l’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI), l’Università della Svizzera italiana di Lugano e l’Università St. Joseph di Beirut. Fra le ultime pubblicazioni: Partners or Rivals? European-American Relations after Iraq (ed., Vita e Pensiero, 2005); The Indispensable Alliance. Europe and US beyond Iraq (MacMillan, 2006).
Serena Giusti è dottore di ricerca in Scienze politiche e sociali presso l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, assegnista di ricerca presso la cattedra di Relazioni internazionali dell’Università Cattolica di Milano, ricercatrice associata presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano nell’area Est-Europa-Russia.
Andrea Locatelli è dottore di ricerca in Scienza politica presso l’Università di Firenze. Collabora con l’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI) nell’Università Cattolica di Milano, in qualità di assistente alla didattica. Ha svolto attività di docenza presso l’Università di Novosibirsk, l’Università Cattolica di Budapest e la Carleton University (Canada).
Basandosi su un lungo percorso di analisi che ha condotto a riformare i piani di lavoro e studio delle istituzioni di alta formazione militare in Italia, l'autore presenta i modelli di lavoro delle più importanti Scuole per Ufficiali del mondo. Lo studio mette in valore le più recenti evoluzioni della revolution in military affairs e analizza gli elementi di innovazione introdotti con l'ottica dell'azione militare interforze e interagenzia, basati sull'uso di supporti metodologici attivi e delle più avanzate tecnologie della comunicazione.
L'uomo soffre per "l'insensatezza" del suo lavoro, per il suo sentirsi "soltanto un mezzo" "nell'universo dei mezzi", senza che all'orizzonte appaia una finalità prossima o una finalità ultima in grado di conferire senso. Sembra infatti che la tecnica non abbia altro scopo se non il proprio autopotenziamento. Di fronte a questa diagnosi, la psicoanalisi rivela tutta la sua impotenza, perché gli strumenti di cui dispone, se sono utilissimi per la comprensione delle dinamiche emotivo-relazionali, per i processi di simbolizzazione sono inefficaci. Qui occorre la pratica filosofica perché, fin dal suo sorgere, la filosofia si è applicata alla ricerca di senso.
Un libro-laboratorio per indagare sulle mutazioni audiovisive. Una ricerca interdisciplinare che parla di cinema, letteratura, tv a partire da una breve panoramica storica degli studi semiotici in Italia fino ai nuovi "format" di successo come il reality, il talk show politico o quello, disinvolto e aperto all'esterno, stile Mtv. Ma si parla anche dei nuovi generi cinematografici, di film come "Kill Bill" di Quentin Tarantino e "Blow up" di Michelangelo Antonioni. Tra gli interventi: Alberto Abruzzese, Francesco Casetti, Guido Ferraro, Andrea Pascali, Franciscu Sedda, Andrea Pascali, Piermarco Aroldi, Fausto Colombo, Massimo Scaglioni, Beppe Fiore, Maria Pia Pozzato, Andrea Vela.
L'autore del volume si colloca all'interno delle tendenze avanzate della ricerca europea sui cultural studies; per questo il libro dedica una particolare attenzione alle dimensioni metodologiche della ricerca, in particolare quella sulle audiences mediali. Rivolto prioritariamente agli studenti dei corsi di Scienze della comunicazione e di Sociologia, la semplicità di linguaggio anche su temi oggettivamente complessi ne costituisce un elemento di interesse anche per tutti coloro, studiosi, lettori appassionati, semplici curiosi, che vogliano approfondire le proprie conoscenze sui percorsi e i metodi di ricerca della sociologia dei mass media.
"Vietato leggere" è una raccolta di brevi scritti sull'industria culturale, dal punto di vista di uno scrittore in esilio. "L'esilio," scrive Ugresic, "è una condizione letteraria; non solo fornisce una ricca lista di citazioni letterarie, ma è una citazione letteraria". Dubravka Ugresic, romanziera e saggista, scrive nella sua introduzione che una delle sue maschere è quella di "una brontolona dell'Europa dell'Est confusa dalle dinamiche del mercato globale del libro", ma il suo tono è leggero, vivace e pungente nel raccontarci i difficili rapporti fra uno scrittore e i suoi mediatori letterari. E ci rivela la strada accidentata che ogni libro deve compiere per cadere nelle mani del lettore.
Quali sono i pregiudizi che emergono dalla rivista del razzismo italiano, "La difesa della razza", pubblicata sotto l'egida del Ministero della Cultura tra il 1938 e il 1943? Il razzismo italiano era solo un'appendice del razzismo tedesco o aveva una sua originalità? Si è mai pensato a una razza propriamente italiana? Quali erano gli argomenti del razzismo di allora? Argomenti biologici - la presunta superiorità genetica - argomenti spirituali - uno sviluppo più avanzato dell'anima italiana - o argomenti culturali - un maggior progresso dello stato di civiltà della nostra nazione? Attraverso l'esame dei discorsi dei pensatori razzisti italiani, da Evola ad Almirante, il testo illumina uno dei momenti più cupi della nostra storia.
L'opera si propone un'interpretazione teorica dello "stato di diritto", inteso come forma di stato nella quale la limitazione giuridica del potere garantisce uno spazio alla rivendicazione e alla tutela dei diritti fondamentali degli individui: il diritto alla vita e alla sicurezza personale, la libertà, la proprietà privata, l'autonomia negoziale, i diritti politici. La ricerca è impegnata sia in una documentazione storica e filologica, sia in un tentativo di individuare i riferimenti di valore, le modalità normative e le forme istituzionali che accomunano le diverse esperienze.

