
Le cose ci vengono incontro. E noi rispondiamo alla loro chiamata. Ma troppo spesso la nostra unica preoccupazione è quella di aver "ben inteso" che cosa sia quel che ci viene incontro. Una preoccupazione che ci guida anche in rapporto alle cosiddette opere d'arte. Si tratti di poesia, di arte visiva, di musica, ma si tratti anche di un'opera filosofica, o delle pagine di un testo religioso siamo tutti sempre istintivamente preoccupati di capire bene e non fraintendere. Facciamo di tutto per impadronirci del significato e di tenerlo ben a mente. Come se quest'ultimo fosse indipendente dal "modo" del suo presentarsi. E se fosse il caso di imparare a riconoscere, invece e innanzitutto, proprio il "ritmo" con cui l'essente sempre si fa esperire? D'altro canto, quello che siamo soliti chiamare "significato" non potrebbe neppure costituirsi, indipendentemente dal ritmo del suo manifestarsi; ossia, indipendentemente dalle movenze con cui si concede allo sguardo orizzontale dell'intelletto, costringendolo quasi sempre a bruschi volteggiamenti, sospensioni, curvature impreviste, andate e ritorni, obliqui attraversamenti. Troppo a lungo ci siamo accontentati di "comprendere" le cose dell'arte per il tramite di una catalogazione formale e stilistica, che ci ha consentito di rimuovere il fatto che l'opera si dà a noi, anche e innanzitutto, con un ritmo suo proprio e che forse proprio in quest'ultimo è custodito il suo enigma più profondo. (Con un contributo di Achille Bonito Oliva).
"Se poteste tornare indietro nel tempo, decidereste ancora di diventare madri?". Questa domanda, posta dalla giovane sociologa israeliana Orna Donath a un certo numero di donne ebree israeliane, ha ricevuto in ventitré casi come risposta un "no" deciso. E si è rotto un tabù, quello della donna "naturalmente" protesa ad essere madre. Con gli strumenti della sociologia, Donath ha allora intervistato in profondità queste donne (e molte altre in seguito) e ha riportato le loro risposte, analizzandole in dettaglio e mettendole in contesto, in questo libro.
Quali ragioni riaccendono oggi la questione della laicità? Che cosa significa affermare che un certo modo di agire o un certo attore (per esempio lo Stato) è "laico"? Quali sono i criteri per dire che una certa soluzione dei problemi è "laica"? Il volume opera un'ampia ricognizione storica, filosofica e sociologica del concetto di laicità e discute i maggiori problemi che si incontrano nella sua applicazione quando sono in gioco i confronti fra le culture, le istituzioni educative, i modi di intendere la famiglia, l'uso dell'autorità e del potere politico in vista del bene comune. Le risposte degli autori, variamente articolate, indicano nuovi percorsi di fuoriuscita dai dilemmi che la storia, antica e moderna, ci ha consegnato. La laicità è un prodotto della cultura occidentale sviluppatasi sul terreno del cristianesimo. Per tale ragione, gli autori non accettano la contrapposizione fra "laici" e "cattolici" qual è stata tramandata da una certa modernità. Essi propongono una nuova concezione, positiva e responsabile, della laicità come spirito delle distinzioni fra ordine temporale e ordine soprannaturale. La laicità non significa neutralità o indifferenza, ma imparzialità delle istituzioni nei riguardi delle diverse visioni del mondo che si confrontano nella sfera pubblica. Essere laici significa appellarsi a ragioni imparziali, non confessionali, che però non comportano in alcun modo una passiva accettazione di ciò che semplicemente accade. La laicità di cui abbiamo bisogno è ricerca attiva e dialogica di ciò che vi è di universalmente umano nelle differenze specifiche che caratterizzano le diverse culture e pratiche sociali. Una tale laicità richiede, e non solo ammette, che si mantenga sempre aperto il dialogo tra fede e ragione.
Il volume è frutto di una ricerca di un gruppo di studiosi coordinati da Pierpaolo Donati, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Bologna.
È il 2008. Gli alunni di una quarta elementare romana scrivono al Ministro della Pubblica Istruzione una lettera con una richiesta particolare: non vogliono che la loro maestra vada in pensione perché, "anche se ha quasi settantanni, quando insegna non è vecchia". La maestra in questione, all'epoca la più anziana d'Italia, si chiama Gisella Donati e in questo libro ci racconta, in una sorta di fedelissimo diario di viaggio, la sua lunga carriera tra i banchi: tutto inizia sui monti della Sardegna, all'inizio degli anni Sessanta, quando poteva capitare di raggiungere una scuola a dorso d'asino e gli insegnanti erano ancora, insieme al medico condotto e al maresciallo dei carabinieri, le personalità del paese, a cui regalare le parti più pregiate del maiale. Dalla Sardegna, poi, Gisella si sposta a Roma, dove si confronta con la realtà problematica delle periferie e sperimenta con i suoi bambini metodi di insegnamento sempre innovativi e pionieristici, spaziando dal teatro al linguaggio dei media. E così, tra piccoli barbieri improvvisati che tagliano di nascosto i capelli ai compagni durante le lezioni e alunni a cui si trova involontariamente a fare da mamma, la maestra Gisella affronta per quasi mezzo secolo, con grinta inesauribile, le sfide che la scuola continua a porle. Ripercorrendo in questo libro ironico e commovente la storia di una vita e, insieme, quella di una delle istituzioni fondanti dell'identità italiana. Per ricordarci che, nonostante tutto, la scuola è bella.
In modo sempre più diffuso ci si chiede quali siano il ruolo e la funzione della famiglia, se cioè sia ancora una risorsa per la società o se invece non sia diventata un ostacolo all'emancipazione degli individui e all'avvento di una società più libera, egualitaria e felice. È una sopravvivenza del passato o è un'istituzione che decide del nostro futuro? Questo volume intende rispondere a tali interrogativi con un'indagine originale. Nella prima parte vengono esposte e commentate le conoscenze disponibili a livello internazionale. Nella seconda parte, invece, sono presentati i risultati di una ricerca sociologica condotta su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia. Nel complesso, l'indagine evidenzia che le famiglie stanno vivendo un processo di profonda morfogenesi. Ciò che emerge è che la destrutturazione della famiglia non migliora la condizione esistenziale delle persone, ma spesso la peggiora: se la famiglia, pur articolata in modi diversi, viene depotenziata, le persone diventano socialmente deboli e aumentano la loro richiesta di assistenza. In sintesi, la ricerca dimostra che nelle dinamiche familiari si originano i beni e i mali relazionali che condizionano la vita delle persone. Questa indagine è "un viaggio dentro e attorno al genoma sociale della famiglia", alla scoperta delle ragioni per le quali la famiglia è e rimane la fonte primaria della società anche in condizioni di crescente globalizzazione.
Con l'espressione "relazione sociale" indichiamo qualcosa che a volte appare superficiale e a volte determinante per la nostra vita. Le scienze sociali affermano che questo è proprio il loro oggetto di studio, tuttavia sovente non riescono a darne una rappresentazione adeguata. Nell'approfondire i modi in cui la nostra società modifica continuamente le relazioni interpersonali e strutturali, cercandone una umanizzazione, il volume propone una teoria generalizzata della relazione sociale, utile in tutte le discipline sociali.
Il lavoro è una questione sociale "emergente" in due sensi: da un lato, ci troviamo di fronte a rischi crescenti di disoccupazione e alla diffusione di lavori precari, sfruttati, alienati; dall'altro, nonostante tutto ciò, assistiamo all'emergere di una gamma di potenziali lavori "virtuali" propri di un'economia dopo-moderna. Questi due processi sono correlati fra loro. Ciò che li connette è l'affermarsi di una società reticolare che richiede una nuova soggettività dell'agire lavorativo e forti innovazioni nelle forme organizzative. Per comprendere questa trasformazione epocale occorre considerare il lavoro come relazione sociale, anziché come mera prestazione, nella prospettiva di un'economia relazionale.
Ogni giorno ci capita di incontrare qualcuno che è Altro da noi, la qual cosa ci mette in difficoltà. Il punto è che, nell'incontro con il differente/diverso, il problema non è rispondere alla domanda "chi sei Tu?", oppure "chi sono Io?", perché confrontarsi sulle identità serve a poco se vogliamo comprenderci. Piuttosto la domanda da porsi è: "chi sono Io per Te e chi sei Tu per Me?", cioè chiederci quale sia la nostra relazione. Nella relazione c'è un confine che ci divide, il quale a seconda di come lo trattiamo può generare incomprensioni e conflitti o, al contrario, dei beni relazionali. Tale confine, per l'Autore del libro, è un effetto emergente, il Terzo fra l'Io e l'Altro, da cui dipende l'identità di ciascuno. Solo nel prenderci cura del confine come relazione in cui viene elaborata l'alterità è possibile riconoscere l'Altro, e quindi Noi stessi, trovando in questa relazione il senso di che cosa significa essere umani.
Il libro presenta la sociologia come scienza della società che cambia. Oggi più che mai, i rapidi cambiamenti sociali e culturali portati dalla globalizzazione segnano una transizione, unica nella storia, che richiede nuovi strumenti analitici e interpretativi per essere compresa a fondo. La chiave originale del volume sta nel trattare l'argomento dal punto di vista della teoria relazionale, che individua nella crisi radicale della modernità il punto di svolta verso una società dopo-moderna, ovvero trans-moderna. Vengono esposti i principali concetti e schemi esplicativi dei mutamenti in corso. Lo scenario che viene presentato è quello di una "morfogenesi societaria" dalla quale, pur tra molteplici tensioni e conflitti, emerge una "società relazionale". Di questa società emergente vengono delineati, alla luce delle sociologie classiche e contemporanee, i nuovi contorni, i soggetti e le dinamiche socioculturali che cercano di andare oltre i dilemmi di una modernizzazione che ha creato un mondo incerto, rischioso e disorientato.
Da alcuni anni le scienze sociali hanno "scoperto" un tipo di beni che non sono né cose materiali, né idee, né prestazioni, ma consistono di relazioni sociali, e per tale ragione sono chiamati "beni relazionali". Riguardano tutte quelle relazioni che fanno fiorire le persone. Realizzano una "vita buona" e una "società buona", e in particolare una democrazia matura. Si tratta di esplorare queste realtà, a cui sono interessate un po' tutte le discipline che riguardano la vita sociale (in particolare sociologia, psicologia, economia, politologia, filosofia, pedagogia), per comprendere quale sia il loro apporto pratico. Il libro presenta una teoria generale dei beni relazionali. Segnala esempi concreti. Chiarisce chi e come li può creare. In breve, offre prospettive di azione per tutte le forme di organizzazione sociale che vogliano essere generative di beni, anziché di mali, personali e collettivi.
La vita umana è appesa al filo delle relazioni, quelle con sé stessi, con gli altri e con il mondo. Eppure di queste relazioni sappiamo poco o nulla. Le usiamo, ma non le vediamo. Di solito pensiamo che tutto dipenda dagli individui e solo da essi. Oppure pensiamo che ciò che accade sia dovuto alle 'strutture' della società. Il fatto è che pensare la relazione in sé stessa, e ciò che genera, significa affrontare un enigma che ci rende muti, incerti, disorientati. La modernità ha rifiutato di confrontarsi con l'enigma della relazione. Si è rifugiata nell'autoreferenzialità del Soggetto individuale. La globalizzazione fa esplodere le relazioni sociali, soprattutto virtuali, e così moltiplica a dismisura gli enigmi che portano con sé. Le conseguenze si constatano oggi nei vuoti esistenziali, nella frammentazione e nella solitudine di un numero crescente di persone. La ragione occidentale è in declino e non potrà più essere un motore di civiltà se non sarà capace di affrontare gli enigmi insiti nel 'vivere in relazione'. Ma com'è possibile rispondere alle sfide degli enigmi nascosti nelle relazioni sociali generate dalla società emergente?
La cultura cattolica ha una sua specificità? Forse sì, forse no. L'opinione pubblica la ritiene sempre più debole e marginale, una fra le tante culture. Rispetto all'evoluzione della società, sembra "indietro di secoli". Può rinnovarsi, o deve rassegnarsi a diventare ancor più irrilevante? Il libro sostiene che occorre una nuova matrice teologica che si concretizza nell'intendere la cultura come prassi relazionale nella vita quotidiana. Intendere la cultura come modus vivendi, e non come un sistema di idee porta a intendere la cultura cattolica come promozione dei mondi vitali di cui i laici sono i protagonisti.