
Il volume è la prima opera sistematizzata dedicata allo strumento Toronto Structured Interview for Alexithymia (TSIA). La TSIA, nata dalle riflessioni teoriche e dalla ricerca empirica di Graeme J. Taylor e R. Michael Bagby, è considerata oggi il criterio più affidabile per la misurazione del costrutto di alessitimia. Il testo consta di due parti. La prima parte, il manuale dell'Intervista, presenta una rassegna sulle basi teoriche ed empiriche da cui la TSIA si sviluppa, descrive lo strumento e ne fornisce le modalità di somministrazione, scoring e interpretazione. La seconda parte propone un approfondimento sul costrutto di alessitimia e illustra i primi lavori di ricerca effettuati in Italia con la TSIA. Al volume è allegato un CD, che contiene la versione digitale dell'Intervista e potrà aiutare il clinico e il ricercatore nello scoring e nella registrazione dei casi analizzati.
Il volume, che si giova dei contributi di svariati studiosi, è diviso in tre parti. Nella prima (Teoria) si analizza la relazione tra esperienze traumatiche e sviluppo dei sistemi cognitivi, affettivi, rappresentazionali e relazionali del Sé, e vengono sottolineati gli effetti negativi del trauma sui principali parametri della salute psichica, nonché sullo sviluppo dei centri neuronali implicati nella regolazione affettiva. Nella seconda parte (Ricerca) vengono presentati studi originali, di natura teorica ed empirica, sulla complessa relazione che intercorre tra qualità delle esperienze di attaccamento e sviluppi traumatici. Nella terza parte, infine (Clinica), emerge la linea portante del volume: la rottura, nell'individuo, della rappresentazione di sé e del proprio rapporto col mondo, tipica del trauma, viene messa in rapporto con un deficit nelle capacità di mentalizzare i vissuti emotivi. In ragione di tale deficit, gli autori sostengono la necessità che il trattamento delle sindromi post-traumatiche sia orientato a incrementare la mentalizzazione, sviluppare le capacità di identificazione ed esplorazione delle emozioni, lavorare sugli stati mentali attuali e sviluppare la capacità di abitare il proprio corpo. Prefazione di Philip M. Bromberg.
Questo libro non è una storia del Mediterraneo. Vuole essere, piuttosto, un piccolo contribuito che aiuti a pensare storicamente. Esistono, infatti, tante concezioni diverse del Mediterraneo, a seconda dei presupposti e delle precomprensioni di chi lo osserva: interpretazioni storiografiche, immaginario culturale e retorica sul Mediterraneo si mescolano generando più confusione che chiarezza. Il Mediterraneo è oggi un tema particolarmente sensibile che si presta ad uno spregiudicato uso pubblico, soprattutto alla luce di concetti come civiltà e identità, in particolare a proposito di religioni. In questo senso è interpellata la coscienza civile di chi studia e scrive di storia, chiamato ad offrire il suo contributo all'onestà della ragione chiarificatrice.
Il volume vuole offrire un supporto utile agli studenti di scienze della formazione primaria e ai docenti già in servizio in merito ai concetti fondanti della Storia e della Geografia in relazione all’Educazione alla cittadinanza ma anche all’educazione ambientale e interculturale per cui le due discipline sono un validissimo strumento. Il testo propone in modo semplice e chiaro un percorso che muove dalle caratteristiche epistemologiche della storia e della geografia per poi addentrarsi nelle modalità di progettazione, fino a fornire una panoramica degli strumenti utilizzabili fin dalla scuola dell’infanzia per promuovere la maturazione delle competenze disciplinari in una logica verticale. La trattazione è arricchita da alcuni esempi di unità di apprendimento di carattere geo-storico.
Succeduto nel 1416, all'età di 20 anni, al padre Ferdinando I al vertice della Corona d'Aragona, Alfonso V nel 1420 si recò a Napoli su richiesta della regina Giovanna II, che lo adottò e gli assicurò la successione al suo regno. Dopo tre anni, tuttavia, la volubile sovrana revocò l'adozione e il re d'Aragona ritornò in Spagna per risolvere i contrasti che nel frattempo erano insorti tra i suoi fratelli e il re di Castiglia, Giovanni II. Dopo la morte della regina Giovanna, partecipò contro Renato d'Angiò alla guerra di successione al trono di Napoli, che riuscì a conquistare nel 1442. Per consolidare quel trono Alfonso prese parte alle guerre che impegnarono i diversi potentati italiani, proseguendo tuttavia poi a combattere con la repubblica di Genova, i cui mercanti erano i principali concorrenti dei suoi sudditi catalani nel Mediterraneo. Napoli divenne di fatto la capitale dei domini di Alfonso che, grazie al mecenatismo con cui accolse gli uomini di cultura, fece della sua corte un importante centro del Rinascimento italiano. Per la sua liberalità gli umanisti gli attribuirono l'appellativo di Magnanimo.
Il mondo arabo continua anche oggi a vivere, oltre il velo dei nostri pregiudizi. In una fascia cangiante che va da Casablanca a Ryiadh si muovono milioni di arabi invisibili, schiacciati dal peso di uno stereotipo ormai imperante in Occidente, per il quale tutti coloro che hanno un passaporto mediorientale o nordafricano sono potenziali terroristi, kamikaze, seguaci di Osama bin Laden. Il catalogo odierno degli arabi invisibili, invece, è lungo, variegato, sorprendente. Ne fanno parte ragazzi che usano Internet, professionisti educati nelle nostre università, cineasti e fior di scrittori. Se la lista degli arabi che non conosciamo fosse solo questa, però, saremmo al semplice elenco di quelli bravi, buoni e simpatici. Bisogna, invece, superare il muro, e osservare quella lunga teoria di uomini e donne a cui l'Occidente non riconosce volto e fattezze: quelli che si fanno in quattro per mandare i figli a scuola, che inondano la regione delle rimesse del loro lavoro, che fanno cultura tra le maglie della censura e opposizione tra le costrizioni dei regimi. L'homo arabicus del Terzo Millennio compare, così, in tutta la sua complessità. Finita, dunque, l'era delle odalische, dei beduini, quello che si apre a un occhio attento è un mondo ricco, alla ricerca di un nuovo rinascimento considerato imperativo. Che rifiuta con stizza lezioni di democrazia e civiltà dall'Occidente.
Gerusalemme è una città dilaniata da millenni di guerre, scontri tra religioni, conflitti tra politiche contrapposte, che ne hanno fatto di volta in volta un simbolo, un avamposto strategico, un luogo da conquistare e controllare all'interno di un mercato di territori e popolazioni. Paola Caridi ha vissuto per dieci anni a Gerusalemme. Le sue pagine ci restituiscono una città vissuta intimamente, indimenticabile per la bellezza delle mura antiche, delle pietre bianchissime, della sua umanità dolente. Ma ci restituiscono anche una città crudele, dove israeliani e palestinesi fanno talvolta la spesa negli stessi supermercati, per poi rinchiudersi nei confini dei rispettivi quartieri, invisibili gli uni agli altri. Una città costellata di posti di blocco che controllano gli spostamenti di donne e uomini, merci e idee, nemici e potenziali attentatori. Una città densa di segni e memorie antiche e recenti, in cui ogni stagione politica porta con sé nuovi vincitori, nuove versioni della storia passata, nuove ripartizioni degli spazi urbani, nuove abitudini di vita. Gerusalemme si è aperta per un breve periodo alla modernità, per poi rinchiudersi dentro i propri muri. Rimane comunque un laboratorio, in cui si scontrano politica e vivere quotidiano. Sopravvive la speranza: che Gerusalemme, una e condivisa da tutti, torni a essere una città per gli uomini e le donne che lì vivono.
Una bellissima fanciulla di diciotto anni consunta dal mal d'amore che, nella Firenze del Quattrocento, la famiglia seppellisce ritenendola morta di peste e dopo poche ore si "risveglia"; il grande compositore Arnold Schonberg che nel 1946 "risorge" dalla morte ispirato a tradurre in un trio per archi il suo "viaggio nell'aldilà"; un bambino di sette anni, miracolosamente scampato a una malattia inguaribile, che "incontra" Padre Pio su altri piani di esistenza e con la sua vicenda convince la Chiesa alla santificazione del Beato; ma anche, e soprattutto, storie di gente comune che, superata una crisi quasi mortale, ne riemerge rinnovata nell'animo e talora arricchita di insospettati talenti artistici. Racconti di vite comuni divenute tuttavia straordinarie, emozionanti vicende di trasformazione e profonda spiritualità che Fulvia Cariglia raccoglie in questo libro, frutto di anni di studio sulle esperienze di "premorte", del confronto con i maggiori esperti del settore e soprattutto del contatto diretto con i soggetti protagonisti di questi eccezionali fenomeni, analizzati alla luce delle ultime indagini mediche e psicologiche.
Appare quasi un'operazione di magia ma è un evento del tutto naturale, si svolge come fosse una favola e tuttavia è un'esperienza percepita come reale: la life review, o visione panoramica, è un fenomeno di confine per cui, in determinati stati modificati di coscienza, una persona può rivedere se stessa agire nel proprio passato, rivisitandone sentimenti ed emozioni, come in un film. Un tempo oggetto di interesse soltanto per le discipline esoteriche, l'evenienza è oggi testimoniata in buona percentuale nell'ambito della casistica NDE (Near Death Experience, esperienza di premorte), che ha pertanto fornito materiale di studio a psichiatri, psicologi e appassionati del genere. In questo libro, il primo dedicato esclusivamente al tema, Fulvia Cariglia esegue un'accurata sintesi degli studi pubblicati e delle ricerche condotte sull'argomento ma, soprattutto, offre un ampio panorama di testimonianze in parte inedito. Sono storie di gente comune, la cui vita è stata rinnovata dall'eccezionale opportunità di guardare ai propri trascorsi con obiettiva facoltà di giudizio: coinvolta sentimentalmente ed emotivamente nei propri ricordi, da essi ha potuto rinascere. Prefazione di Raymond A. Moody.
È possibile che giudici che fanno lo stesso lavoro, hanno seguito gli stessi studi, hanno superato lo stesso concorso, applicano le stesse leggi, approdino, sugli stessi fatti e a fronte di identiche prove, a decisioni non solo diverse o molto diverse, ma del tutto antitetiche: assoluzione o condanna; libertà immediata o carcere a vita; inizio di una nuova esistenza o definitiva negazione di un futuro? Insomma, la giustizia è un orologio di precisione, come ci insegnano, o una macchina capricciosa, regolata dagli umori e dall'arbitrio? Dagli interrogativi che ogni sera l'anziana madre gli poneva alla fine della telefonata quotidiana, gli stessi che assillano milioni di cittadini di fronte ai frequenti paradossi della cronaca giudiziaria, Francesco Caringella - che indossa la toga da oltre venticinque anni - trae lo spunto per spiegare, con linguaggio semplice e taglio divulgativo, cos'è la «giustizia», quella amministrata ogni giorno nelle aule d'udienza in nome del popolo italiano. Lo fa in dieci brevi «lezioni» sui punti salienti dell'attività del giudicare e del rito processuale, cioè i mezzi con cui la società cerca, innanzitutto, di «rendere giustizia» alla vittima di un reato, oltre che di punire il colpevole. Ecco allora che prendono corpo, e trovano puntuale risposta, questioni cruciali come il tipo di verità che è lecito attendersi dalla sentenza di un tribunale e quali sono i maggiori ostacoli che ne insidiano l'accertamento. Quesiti ardui come quelli sulle doti tecniche e caratteriali che deve possedere l'uomo chiamato a decidere della vita di altri uomini o su quando un dubbio è ragionevole al punto da imporre al giudice, malgrado l'intima convinzione della colpevolezza dell'imputato, un verdetto di assoluzione. E, infine, domande scottanti su quale giustizia sia quella che richiede tempi superiori alla capacità d'attesa degli interessati e, talvolta, della loro stessa esistenza; se sia accettabile che il reato si prescriva quando invece le lacrime dei parenti delle vittime sono destinate a scorrere per sempre, o se sia giusto che, nel vuoto legislativo, il giudice si arroghi il potere di decidere anche sulla vita e sulla morte dei suoi simili. Se, come afferma Caringella, ogni cittadino dovrebbe poter capire i meccanismi della giustizia e il significato delle decisioni prese da pochi nell'interesse di tutti, queste pagine costituiscono un concreto contributo perché ciò, finalmente, avvenga.
Il 23 marzo 1919, in piazza San Sepolcro a Milano, Benito Mussolini fonda i Fasci di Combattimento: davanti a lui ci sono meno di duecento persone, molte delle quali presto prenderanno altre strade. Alle elezioni politiche del 16 novembre 1919 la sua lista, presente solo a Milano, raccoglie meno di cinquemila voti. Sembra un uomo finito, ma tre anni dopo diventa capo del governo e avvia il percorso che lo porterà a imporsi come dittatore. Com'è potuto accadere? Quali fattori politici, economici e sociali consentirono al fascismo di sottomettere l'Italia? Quanto influirono il carisma e l'intuito del Duce? Come poté svilupparsi un partito armato dedito all'uso sistematico della violenza? Quali errori commisero i capi del movimento operaio e la vecchia classe dirigente liberale? Il libro di Antonio Carioti ricostruisce i fatti dalla nascita dei Fasci fino alla marcia su Roma, affidandone il commento a quattro interviste con studiosi di vario orientamento (Simona Colarizi, Alessandra Tarquini, Fabio Fabbri e Marco Tarchi). Completa il volume una raccolta di documenti dell'epoca, che restituiscono al lettore con immediatezza le passioni, le polemiche e le svolte politiche del fascismo in quegli anni drammatici. Prefazione di Sergio Romano.

