
Una sera del 1545, durante una cena a palazzo Farnese, a Roma, la vita di Giorgio Vasari cambiò per sempre. Il cardinale Alessandro, uno dei grandi mecenati delle arti, invitò l'artista di Arezzo a dedicarsi a un progetto cui nessuno aveva mai lavorato prima: la stesura di una biografia collettiva degli artisti vissuti tra il XIII e il XVI secolo. Cinque anni dopo, Vasari diede alle stampe la prima edizione delle "Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori", considerato da quasi cinque secoli il testo di riferimento per chiunque intenda avvicinarsi alla storia dell'arte. Per Ingrid Rowland e Noah Charney, tuttavia, ripercorrere il processo che portò alla redazione delle "Vite" non è soltanto un'occasione per conoscere a fondo un libro avvincente e minuzioso, in cui verità e allegoria sono spesso mescolate. È, piuttosto, l'opportunità per scoprire l'intellettuale rivoluzionario spesso nascosto dietro la più celebre figura del primo storico dell'arte, custode dell'eredità degli artisti del passato. Vasari, infatti, fu un erudito biografo ma anche un artista errante, apprezzato e ricercato. Viaggiò in lungo e in largo per soddisfare le richieste di mecenati e signori, e lasciò la sua impronta tra Napoli, Venezia, Pisa, Camaldoli e Bologna. Giunto all'apice della carriera, scelse di legare il proprio destino alla famiglia Medici e alla corte pontificia: nella città che fu la culla del Rinascimento progettò la Galleria degli Uffizi, affrescò il Salone dei Cinquecento, decorò la cupola di Santa Maria del Fiore e innovò lo studio e la pratica artistica fondando la prima Accademia di belle arti del mondo. Nel frattempo era diventato uno degli artisti prediletti dalla corte papale, e fu quindi chiamato da Pio V per celebrare i trionfi militari e spirituali della Chiesa all'interno del palazzo apostolico. Sfogliare la stessa biografia di Vasari, nonché le vite da lui raccolte e tramandate, offre un'affascinante chiave di lettura per addentrarsi negli intrighi delle signorie italiane e comprendere meglio un periodo storico tanto tormentato quanto seducente, attraverso i colori e gli odori delle botteghe e dei cantieri in cui operarono grandi maestri come Giotto, Paolo Uccello, Brunelleschi, Perugino, Giorgione, Michelangelo e Leonardo da Vinci. "Vasari" è un racconto ricco e incalzante in cui artisti, signori, cardinali, papi, re e imperatori si alternano su una scena cui fanno da sfondo politica, religione, violenza e complotti, ma anche un viaggio alla scoperta delle origini del nostro gusto estetico per l'arte e la sua storia.
Mark Rowlands, giovane e inquieto docente di filosofia in un'università americana, legge per caso su un giornale una singolare inserzione, si incuriosisce e risponde. Qualche ora dopo è il padrone felice di un cucciolo di lupo, a cui dà nome Brenin ("re" in gallese antico). Per undici anni, sarà lui la presenza più importante nella vita del professore, che seguirà ovunque: assisterà alle sue lezioni acciambellato sotto la cattedra, incurante degli iniziali timori e del successivo entusiasmo degli studenti, ne condividerà avventure, gioie e dolori, lo accompagnerà nei suoi spostamenti dall'America all'Irlanda alla Francia, dove Mark si trasferisce dopo aver troncato quasi ogni legame con i suoi simili. E sarà, soprattutto, una fonte continua di spunti di riflessione e idee filosofiche perché, contrariamente allo stereotipo che ne fa un emblema del male, della ferocia, del lato oscuro dell'umanità, il lupo è per Rowlands metafora di luce e di verità, la guida per un viaggio interiore alla scoperta della propria più intima e segreta identità: "Il lupo è la radura dell'anima umana ... svela ciò che rimane nascosto nelle storie che raccontiamo su noi stessi". La sua natura selvaggia e indomabile, infatti, rivela a chi gli sta accanto un modo di vivere e di fare esperienza del mondo non solo radicalmente diverso da quello degli uomini, ma forse anche più autentico e appagante perché immune da doppi fini, da ogni atteggiamento di calcolo e manipolazione.
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Mark Rowlands, giovane e inquieto docente di filosofia in un'università americana, legge per caso su un giornale una singolare inserzione, si incuriosisce e risponde. Qualche ora dopo è il padrone felice di un cucciolo di lupo, a cui dà nome Brenin ("re" in gallese antico). Per undici anni, sarà lui la presenza più importante nella vita del professore, che seguirà ovunque: assisterà alle sue lezioni acciambellato sotto la cattedra, incurante degli iniziali timori e del successivo entusiasmo degli studenti, ne condividerà avventure, gioie e dolori, lo accompagnerà nei suoi spostamenti dall'America all'Irlanda alla Francia, dove Mark si trasferisce dopo aver troncato quasi ogni legame con i suoi simili. E sarà, soprattutto, una fonte continua di spunti di riflessione e idee filosofiche perché, contrariamente allo stereotipo che ne fa un emblema del male, della ferocia, del lato oscuro dell'umanità, il lupo è per Rowlands metafora di luce e di verità, la guida per un viaggio interiore alla scoperta della propria più intima e segreta identità: "Il lupo è la radura dell'anima umana... svela ciò che rimane nascosto nelle storie che raccontiamo su noi stessi". La sua natura selvaggia e indomabile, infatti, rivela a chi gli sta accanto un modo di vivere e di fare esperienza del mondo non solo radicalmente diverso da quello degli uomini, ma forse anche più autentico e appagante perché immune da doppi fini, da ogni atteggiamento di calcolo e manipolazione.
C'è un luogo in India che, più di ogni altro, potrebbe assurgere a simbolo di una nazione trasformata dal boom degli ultimi decenni, uno sfacciato monumento alla ricchezza di pochissimi. Il libro parte proprio da qui, Antilla, la residenza del magnate Mukesh Ambani che, con i suoi ventisette piani di lusso, è la nuova reggia indiana. Ma la crescita economica non si è diffusa agli strati più poveri della popolazione; anzi, non ha fatto altro che acuire discriminazioni e disuguaglianze già presenti nella società. Non si può restare indifferenti quando Arundhati Roy descrive la guerra in atto per il possesso della terra nella giungla dell'India centrale sotto assedio, con trecentocinquantamila persone obbligate ad abbandonare i loro villaggi e migliaia di suicidi; le decine di migliaia di torturati e i settantamila morti in Kashmir. E dietro tutto questo si agitano i fantasmi che muovono i grandi capitali mondiali e manipolano le scelte della politica: le ricche fondazioni americane, la Banca Mondiale, le ONG. Con la sua inconfondibile penna, battagliera e avvincente, la Roy ci conduce fin nel cuore autentico dell'India, illuminando attraverso queste pagine il lato oscuro della democrazia più grande del mondo.
Nitido e scritto a macchina, il biglietto in busta sigillata infilato sotto la porta confermava l'appuntamento. Arundhati Roy aspettava questa notizia da mesi, era pronta: doveva farsi trovare al tempio di Ma Danteshwari nell'orario e nel giorno stabiliti, con la macchina fotografica, il tika e una noce di cocco. In questo modo il pericoloso ribelle adivasi che avrebbe incontrato, a sua volta provvisto di cappellino, rivista hindi "Outlook" e banane, avrebbe potuto riconoscerla. Ad accoglierla, però, c'era un ragazzino dall'aria tutt'altro che minacciosa, e per giunta senza giornale né banane, veloce spuntino consumato per ingannare l'attesa. Molto poco professionale per chi costituiva "la più grande minaccia per la sicurezza interna" dell'India, come sostenuto senza mezzi termini dal primo ministro Chidambaram in persona. Comincia così questa coraggiosa e sorprendente ricognizione attraverso un'India sconosciuta, il cui orizzonte fisico ed economico negli ultimi decenni è stato completamente ridisegnato dalle multinazionali. Con la connivenza del governo, le grandi aziende si sono impadronite delle terre, delle foreste, delle vite delle popolazioni locali in maniera del tutto illegittima e anticostituzionale. Ma i poveri di questi villaggi hanno deciso di fare fronte comune e di unirsi alla ribellione maoista per guidare la più grande democrazia del mondo verso un futuro alternativo al capitalismo selvaggio e all'avidità dilagante.
Nitido e scritto a macchina, il biglietto in busta sigillata infilato sotto la porta confermava l'appuntamento. Arundhati Roy aspettava questa notizia da mesi, era pronta: doveva farsi trovare al tempio di Ma Danteshwari nell'orario e nel giorno stabiliti, con la macchina fotografica, il tika e una noce di cocco. In questo modo il pericoloso ribelle adivasi che avrebbe incontrato, a sua volta provvisto di cappellino, rivista hindi "Outlook" e banane, avrebbe potuto riconoscerla. Ad accoglierla, però, c'era un ragazzino dall'aria tutt'altro che minacciosa, e per giunta senza giornale né banane, veloce spuntino consumato per ingannare l'attesa. Molto poco professionale per chi costituiva "la più grande minaccia per la sicurezza interna" dell'India, come sostenuto senza mezzi termini dal primo ministro Chidambaram in persona. Comincia così questa coraggiosa e sorprendente ricognizione attraverso un'India sconosciuta, il cui orizzonte fisico ed economico negli ultimi decenni è stato completamente ridisegnato dalle multinazionali. Con la connivenza del governo, le grandi aziende si sono impadronite delle terre, delle foreste, delle vite delle popolazioni locali in maniera del tutto illegittima e anticostituzionale. Ma i poveri di questi villaggi hanno deciso di fare fronte comune e di unirsi alla ribellione maoista per guidare la più grande democrazia del mondo verso un futuro alternativo al capitalismo selvaggio e all'avidità dilagante
Il volume è una raccolta di saggi sui grandi temi sui quali Arundhati Roy è impegnata in prima persona: dalla battaglia per la democrazia in India, con una analisi della classe politica indiana che ha corroso il midollo della democrazia parlamentare laica per il proprio tornaconto elettorale; agli spaventosi "giochi nucleari" in cui sono coinvolti India e Pakistan; al come contrastare l'Impero, che non è soltanto il governo statunitense e i suoi satelliti europei, la Banca mondiale o il fondo monetario internazionale, ma è qualcosa di più. In molti paesi l'Impero ha generato sottoprodotti pericolosi: nazionalismo, fanatismo religioso, fascismo e terrorismo.
Dopo gli attentati terroristici che hanno colpito Parigi, Bruxelles e Londra ciascuno si è chiesto, almeno una volta, per quale motivo dei giovani nati e cresciuti in Europa finiscano per scegliere la violenza disumana del Califfato. Olivier Roy propone una chiave di lettura sconcertante: non è l'integralismo islamico la prima causa di questo terrorismo, ma un disagio tutto giovanile, un'esigenza folle, violenta e fuori controllo di rottura generazionale. Certo, per compiere questa rottura c'è bisogno di un pretesto. E questi giovani lo trovano facilmente nell'odio puro ostentato dall'lsis. Dopo "Global Muslim" e "La santa ignoranza", Roy ritorna con un'analisi attualissima che propone l'"islamizzazione del radicalismo" come soluzione interpretativa del terrorismo contemporaneo. Il fenomeno riguarda soltanto alcune migliaia di giovani musulmani e pochi convertiti, che appartengono a una generazione del tutto estranea a quella dei propri genitori. Il sociologo indaga le loro abitudini, si chiede che musica ascoltino, chi siano i loro eroi, scopre che non sanno quasi nulla del Corano e che frequentano raramente le moschee. E dimostra che la loro ostilità non affonda le radici nello scontro di religione, ma esprime un'esigenza di rottura che si rivolge non solo contro la cultura dei genitori, ma anche contro la società in cui sono nati, cioè quella occidentale. Da qui proviene il nichilismo radicale al quale il Califfato, con la sua violenza e la promessa di un aldilà paradisiaco, offre un rimedio "nobile" e un'occasione per diventare martiri, veri eroi.
Esiste un prima e un dopo l'11 settembre? Quegli eventi hanno aperto un nuovo spazio strategico, ponendo fine al vecchio ordine mondiale? Il terrorismo internazionale, oggi islamico domani d'altra natura, mira a seminare morte e distruzione, o non è piuttosto frutto del conflitto in Medio Oriente, che spinge la gioventù araba a radunarsi sotto il vessillo dell'Islam radicale, esasperata dalla politica americana in Palestina? L'autore conduce un'analisi delle relazioni tra Stati Uniti, Europa e mondo islamico che mostra come i mutamenti emersi alla coscienza collettiva fossero in atto ben prima dell'11 settembre. Quanto è accaduto quel giorno ha solo accelerato alcune decisioni politiche e ha definito la complessità delle realzioni fra Occidente e Islam.
Le immagini dei carri armati russi, che hanno invaso l'Ucraìna e che travolgono persone e cose sono così drammatiche da attirare tutta la nostra attenzione. Ma nel conflitto russo ucraino ci sono altri aspetti che vanno considerati tra i quali spicca quello della dimensione religiosa, legata in particolare alla tradizione cristiana maggioritaria, cioè l'ortodossia, con la quale si identifica il 71% dei russi e il 78% degli ucraini. In questo volume l'autore, partendo dalla cooperazione pragmatica tra il Patriarca di Mosca Vladimir Michajlovic Gundjaev (Cirillo I) e il Presidente Vladimir Vladimirovic Putin, entrambi nati a San Pietroburgo, esplora e illustra il modo in cui il "fattore R" (il fattore religione), come lo definisce Paolo Naso nella Prefazione stia condizionando non solo la drammatica evoluzione del conflitto ma anche le dinamiche del panorama geopolitiche di questo frangente storico. Il volume contiene anche una ricca documentazione che testimonia la pluralità delle voci delle confessioni e chiese cristiane che si stanno elevando e che stanno tentando di superare il fragore della guerra.
Perché sì. Perché... fa quello che i partiti promettono da trent'anni senza esserci fin qui riusciti, trasforma un doppione della Camera in un Senato che rappresenta le autonomie, semplifica il procedimento legislativo, impedisce l'abuso dei decreti-legge e limita il ricorso alla fiducia, razionalizza il riparto delle competenze fra Stato e Regioni, ridisegna la repubblica delle autonomie, rende più efficienti le istituzioni eliminando gli sprechi, potenzia gli strumenti di partecipazione popolare o amplia le garanzie democratiche, delinea istituzioni più stabili e rende la nostra voce più forte in Europa, non tocca i principi della prima parte della Costituzione, ma anzi li valorizza, non aumenta i poteri del governo, ma anzi li razionalizza, non riguarda la legge elettorale, ma anzi la sottopone a controlli più stringenti, semplifica la vita dei cittadini e delle imprese, migliora la qualità della democrazia. Prefazione di Maria Elena Boschi. Introduzione di Massimo Rubecchi.