
La disobbedienza civile e la non-violenza hanno una storia lunga e gloriosa: pensiamo a chi si è opposto con coraggio al nazifascismo o a figure come quelle di Gandhi e di Martin Luther King. Negli ultimi anni si sono aggiunte nuove pratiche di disobbedienza: quella climatica, l'animalismo radicale, i passeurs che fanno attraversare i confini ai migranti, l'abbattimento o l'imbrattamento di statue di personaggi controversi, e tante altre. L'opinione pubblica ha spesso faticato a comprendere le ragioni e la specificità di queste iniziative, riducendole a un generico bisogno di visibilità. Certo, gli stati liberali e democratici, seppur imperfetti, meritano il rispetto delle leggi. Ma è innegabile che ci sono leggi e pratiche ingiuste, e da questa constatazione è necessario partire per capire le ragioni di chi decide di andare contro gli ordinamenti per reclamare la necessità di un cambiamento. Lungi dall'esprimersi in un bisogno di radicalismo fine a sé stesso, il senso morale della disobbedienza va inteso come un modo, a volte estremo, di fare politica in una democrazia. Quando le normali forme di rivendicazione democratica non funzionano, la disobbedienza può essere moralmente giustificabile.
Don Biancalani racconta l'intensa esperienza di accoglienza sua e dei tanti volontari che lo seguono. È uno dei primi sacerdoti che ha accolto l'appello di Papa Francesco ad "aprire le porte ai nostri fratelli migranti", e l'ha fatto in modo radicale. La sua è una chiesa dalle porte spalancate, una comunità dove tanti migranti trovano ricovero, sostegno e assistenza. Il cammino del sacerdote e del suo gruppo è lastricato di difficoltà, ostacoli, rischi, impedimenti burocratici e gestionali, ma anche di recriminazioni, insulti e minacce. La scelta di don Biancalani, inoltre, è stata messa in discussione da una parte della Chiesa e non è stata compresa da una parte dei parrocchiani, che si sono allontanati silenziosamente. Nonostante tutto questo, l'esperienza di Vicofaro non si è mai interrotta. Si continua a combattere per la giustizia sociale e contro leggi non giuste. Anche mettendo in atto una disobbedienza civile che oggi è diventata un'"arma" importante per difendere l'umanità e il Vangelo. Con la Prefazioni di Diego "Zoro" Bianchi.
Il moltiplicarsi di conflitti a cui assistiamo da tempo sembra sfociato in un tragico disordine globale. Una guerra in piena Europa e il drammatico riacutizzarsi della crisi in Medio Oriente hanno contribuito alla percezione che la realtà che ci circonda sia sempre più caotica e incontrollabile. Ma è mai esistito nella storia un momento di pace, ovvero di totale assenza di conflitti? E un «nuovo ordine mondiale» che porti benessere e stabilità è possibile o è solo un'evocazione con cui si cerca di placare l'ansia e la paura provocate dal pericolo di una possibile terza guerra mondiale? Manlio Graziano, esperto di geopolitica e professore a SciencesPo e alla Sorbona, esplora queste domande tracciando paralleli illuminanti tra l'attualità e alcuni momenti chiave della storia moderna. Dalla Guerra dei trent'anni conclusa con la pace di Westfalia, alle guerre napoleoniche suggellate dal Congresso di Vienna, fino alla Seconda guerra mondiale e al successivo bipolarismo garantito da Stati Uniti e Unione Sovietica, la «pace» non è stata altro che l'ordine imposto dalle potenze vincitrici agli sconfitti. Tra la fine del secolo scorso e l'inizio del ventunesimo secolo, tuttavia, la dissoluzione dell'Unione Sovietica, combinata all'ascesa della Cina e di altri paesi in via di sviluppo, ha spalancato le porte al multipolarismo: un sistema per sua natura instabile, caratterizzato dal costante slittamento dei rapporti di forza tra i vari attori internazionali. Gli Stati Uniti stanno oggi perdendo quel che resta della loro egemonia stabilizzatrice, e nessuno può sperare di prenderne il posto senza alimentare, estendere e approfondire il disordine che ormai dilaga sotto i nostri occhi. Il carattere caotico e conflittuale della politica mondiale è dunque destinato a durare. Solo con questa consapevolezza possiamo affrontare le sfide che ci attendono negli anni a venire.
Come si può continuare a vivere quando con l'età, i fallimenti e le delusioni si è persa la speranza in tutto ciò che in passato dava un senso alle proprie giornate: idee politiche, relazioni umane, l'esattezza rassicurante della scienza, Dio? È venuta meno la speranza che le cose possano durare ed è venuta meno anche la speranza che le cose possano cambiare. Ma dopo la speranze finiranno anche le disperazioni. Con sguardo lucido e disincantato, Marcello Veneziani propone al lettore un manuale di consolazione per reagire al declino e far nascere la fiducia dalla disperazione. Si interroga sul mondo, sul tempo, sulla politica, sull'età che avanza, rivolge una lettera a un ragazzo del duemila e una postilla a un bambino neonato. E suggerisce un quadrifarmaco per affrontare un tempo che non ci piace, curare il pessimismo, ripararsi dal potere e finire in bellezza. Un libretto d'istruzioni per smontare e rimontare la vita, accettarla ma non subirla. Cosa mettere in salvo, prima che faccia notte, sapendo che il mondo non inizia e non finisce con noi.
Niente mi ha cambiato come mi hanno cambiato i miei bambini. Nessuno mi aveva detto come sarebbe stato, e che avrei dovuto accettarlo. Nessuno mi aveva detto un sacco di cose. E allora adesso vorrei dirle io! Perché è giusto che qualcuno lo dica. Che si fa fatica. Tanta. Ma anche che ne vale la pena. Sempre.
Il testo offre una panoramica aggiornata sulla teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali e ne descrive l'applicazione nella psicoterapia focalizzata sul transfert (TFP), un approccio terapeutico derivato dalla psicoanalisi e a essa correlato. Basato su un gran numero di studi empirici, il volume amplia l'ambito di applicazione della TFP, illustrandone la pratica nei disturbi di personalità gravi, nei disturbi della sessualità e delle relazioni amorose delle personalità narcisistiche, nel trattamento ospedaliero e nei contesti di gruppo. Vengono anche prese in esame le implicazioni dei recenti progressi in ambito neurobiologico per la teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali. I lettori potranno beneficiare di una riflessione sulla pratica clinica della TFP, con capitoli che trattano la supervisione psicoanalitica, le sfide per il futuro della psicoanalisi e le innovazioni che possono servire a rafforzarne il ruolo come approccio terapeutico nell'ambito delle scienze della salute mentale.
Credere o non credere? Ricercare nell'esistenza un significato trascendentale o pensare che la vita finisca con l'ultimo respiro? Pensare che tutto sia nato dal caso o creato per volontà di una mente divina? Credere nella completa laicità del comportamento etico e morale o pensare che sia espressione del divino che c'è in ogni uomo? Sono interrogativi che da sempre accompagnano l'umanità e che hanno trovato spazio nei pensieri degli uomini di ogni epoca sopravvivendo alle trasformazioni delle società, degli ideali, delle chiese. Anche oggi, di fronte ai casi della vita di ogni giorno o agli eventi straordinari della cronaca, è tutto un interrogarsi, confrontarsi, ribadire dubbi o convinzioni sul senso della vita, la religione, la laicità.
Questo nuovo libro scritto a quattro mani da Corrado Augias, stimato scrittore e giornalista, e da Vito Mancuso, teologo dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e già autore di un saggio di successo intitolato L'anima e i suo destino, offre un contributo appassionato, stimolante e assai competente al dibattito. è concepito come un vivace dialogo tra un non credente dichiarato, Augias, e un credente, Mancuso, che vanta una grande preparazione sul tema. Una vera e propria disputa, come rivela il titolo, che vede alternarsi con ritmo serrato le voci dei due protagonisti. Senza perdersi in elaborate spiegazioni o teorie, gli autori puntano subito al cuore dell'argomento. Esprimono nell'incipit del saggio una sintetica e puntuale dichiarazione della propria visione della vita, e poi passano ad affrontare uno dopo l'altro molteplici temi: dall'evoluzione, senso origine della vita al dibattito sull'accanimento terapeutico e l'eutanasia, stimolati dal caso Englaro, dalle influenze della Chiesa sulla politica alla natura dell'anima. E poi il contrasto tra un Dio amore e il male del mondo, il significato dell'ateismo, i dogmi teologici e gli approfondimenti sulla figura di Gesù e della Madonna, alternati a riflessioni sui teoremi di Gödel e la teoria evoluzionistica di Darwin, sulla filosofia di Spinoza e i brani dei testi sacri.
Opinioni e convinzioni diverse si fanno strada nelle parole di due uomini di pensiero opposto, ma accomunati dalla stessa volontà di interrogarsi e confrontarsi. In alcuni casi le loro strade si incrociano e confluiscono in un'unità di vedute inattesa, che rivela come a volte le posizioni del laico e dell'uomo di fede possano conciliarsi tra loro.
Il rispetto e l'ammirazione tra i due contendenti non viene mai meno: Augias si dimostra un interlocutore mosso da forte rigore morale e grande passione per le tematiche affrontate e scopre in Mancuso un cristiano "sorprendente" per i suoi ragionamenti e le sue idee al di sopra di condizionamenti e ipocrisie.
Il loro libro nasce da un intento comune, che riesce a superare le diversità di formazione e di vedute, per scuotere le coscienze sulla più grande disputa della storia dell'uomo e aprire nuovi orizzonti di rispetto e convivenza.
In queste pagine il non credente Corrado Augias e il credente Vito Mancuso si sfidano in una sorta di disputa d'altri tempi. Si parla di Dio, ma anche della vita; più precisamente la vita di ogni giorno, con gli interrogativi etici ed esistenziali ai quali tutti siamo chiamati a rispondere. Si parla delle forme di potere connesse all'attività spirituale, che dovrebbe invece esserne scevra. Dell'amore, cioè di quanto nel cristianesimo sia rimasto di un amore inteso come relazione armoniosa nella sua assolutezza, succo del messaggio di Gesù. E della morte: gli esseri umani hanno il diritto di sentirsi padroni della propria morte e decidere, se afflitti da un intollerabile dolore senza rimedio, di porre fine ai propri giorni? Un dialogo in cui, partendo dal problema di tutti i problemi, Dio, la sua esistenza, la sua importanza per la vita, si affrontano i temi più disparati: l'evoluzione, il rapporto fede-scienza, l'eutanasia, l'accanimento terapeutico, lo scandalo del male, l'illuminismo, il Gesù storico, la Madonna e i suoi dogmi, la Trinità, le ingerenze politiche della Chiesa. Norberto Bobbio, diceva che "la vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa". Questo libro si rivolge a tutti coloro che vogliono pensare. Pensare, o forse meglio ripensare al senso complessivo del trovarsi al mondo: se cioè esista un senso (un Dio), oppure no, solo una variopinta e mutevole sfilata di sensi, ognuno diverso dall'altro.
"L'uomo teme soprattutto la morte. È così da sempre. La paura viene da lontano, dall'inizio. Se la morte è l'estrema minaccia che il Dio veterotestamentario rivolge ad Adamo, ciò significa che Dio sa che la morte è quel che Adamo teme di più." Sin dai suoi primi passi l'uomo ha tentato di difendersi dalla morte e di comprenderne il senso. Così, partendo dai miti, attraverso le religioni sempre si è confrontato con questa sconcertante evidenza del venir meno, dell'assenza di ciò che era presente, delle metamorfosi. Ma è solo con il pensiero filosofico che nel popolo greco è stato messo a fuoco il rapporto delle cose e degli eventi con il nulla. Un nulla, una assenza totale, che ha conferito un carattere tanto più radicale alla morte e alle riflessioni su di essa. Si incomincia a morire — e a nascere — di fronte al nulla e ha così inizio la paura estrema della morte. Per il nichilismo contemporaneo, al quale perviene lo sviluppo estremo — e più coerente — del pensiero filosofico, ogni cosa è destinata ad andare nel nulla. Eppure, discutendo anche con molti suoi interlocutori, Emanuele Severino fa capire i motivi per i quali si deve affermare che l'andare nel nulla delle cose e degli eventi non è qualcosa di "evidente", di "sperimentabile". Un'affermazione che solo apparentemente è paradossale, perché al contrario essa esprime la maggiore fedeltà all'apparire del mondo. Non solo: "Si dice che 'ognuno di noi' sperimenta la morte del prossimo, non la propria. Ma poiché l'esistenza stessa del prossimo non è sperimentata, del prossimo non si può sperimentare nemmeno la morte (o la nascita)". Nelle pagine di questo saggio, Severino si rivolge al lettore con un linguaggio chiaro e suggestivo, guidandolo nel labirinto delle grandi domande, delle questioni irrisolte a cui da sempre la filosofia cerca di dare risposta.