
Le vicende che tutti abbiamo studiato sui banchi di scuola - la leggenda di Romolo e Remo, i sette re di Roma, l'apologo di Menenio Agrippa, le oche del Campidoglio, l'umiliazione delle Forche Caudine, i tribuni della plebe Gaio e Tiberio Gracco, Mario, Silla e la prima guerra civile, il primo triumvirato e le Idi di marzo - rivivono in un appassionante racconto, dove ha pieno risalto la maestria di Anthony Everitt. In una Roma che si trasforma da semplice villaggio agricolo a capitale di un immenso impero l'autore tratteggia gli scontri tra patrizi e plebei, le guerre di espansione per annettere territori sempre più lontani e la politica di inclusione nell'offrire la cittadinanza romana ai popoli conquistati. Col tempo le leggi costituzionali su cui si reggeva la Repubblica vengono accantonate e l'abitudine al compromesso politico lascia la strada alla violenza e, infine, alla guerra civile. Pertanto, quando nasce l'Impero, Roma ha sì conquistato il mondo, ma ha anche minato al suo interno le tradizionali virtù che avevano accompagnato lo sviluppo della società repubblicana. Il volume è affollato di ritratti di personaggi storici come Cincinnato, Scipione l'Africano, Annibale, ma anche di grandi intellettuali che diverranno esemplari nella storia del pensiero politico occidentale: Catone il Censore, lo statista che si scaglia contro la decadenza dei suoi tempi, piuttosto che Cicerone, il grande oratore, campione delle virtù repubblicane.
Una città cresce solo se lo fa insieme, senza separazioni tra centro e periferie: è la profonda convinzione di Walter Veltroni, che in questo libro racconta la "sua" Roma, quando subentrò come sindaco a Francesco Rutelli, la cui amministrazione aveva rilanciato le sorti della capitale. Tra momenti di gioia e di dolore, esperienze esaltanti ed episodi commoventi, il diario di un luogo che non c'è più, un resoconto dal vivo di una stagione in cui si parlava di "rinascimento" della città, che cresceva in Pil e occupazione tre volte più del resto del Paese. Per merito di idee inedite, mezzi nuovi e un senso di comunità che emerge da ogni riga, insieme all'amore dell'autore per Roma e la sua gente. Prefazioni di Renzo Piano, Gigi Proietti e Matteo Zuppi.
Esiste oggi un'identità dei romani? "Ma che domande fai?", direbbe qualcuno, "certo che esiste: ci sono la pajata, il Colosseo, Totti, il Papa, il gusto della battuta, Alberto Sordi...". Questa rappresentazione retorica può accontentare solo il turista o qualche politico a caccia di slogan. È vero invece che, se i romani de Roma sono ormai una piccola minoranza, l'identità romana - liquida, leggera, appiccicosa, onnipervasiva, chiacchierona, facile da acquisire come slang e come appartenenza - assale chiunque vada a vivere nella Capitale e si fa veicolo di egemonia sull'immaginario italiano. Quali sono i suoi simboli? Quali sono i tratti di cultura popolare che danno fondamento alla romanità contemporanea? E quali sono i "tipi" che oggi la rappresentano? Come si mischiano il vecchio e il nuovo romano nel frullato mediatico veicolato dalla televisione e dal cinema? Cosa distingue il tifoso laziale da quello romanista? È meglio parlare di romanità o della sua volgarizzazione pop e mediatica, il "romanismo"? I romani sono come i "Cesaroni", come i personaggi dei Vanzina, come le rifattone di Dagospia, come le ragazzine della bira&calippo, come il coatto dei film neorealisti, come i quarantenni depressi raccontati da Muccino? È vero che gridano tutti come in "Mangia, prega, ama!" e pranzano con la coda alla vaccinara? Utilizzando gli strumenti del reportage, dell'analisi mediologica e di costume, Angelo Mellone cerca di cerca di capire se esiste uno "spirito romano".
A cinquant'anni dalla morte, la riflessione dell'italo-tedesco Romano Guardini, figura chiave per il pensiero di Jorge Mario Bergoglio, ritorna a nuova attualità. Il volume rilegge il cuore della filosofia guardiniana, la sua dottrina dell'opposizione polare, alla luce degli scritti inediti pubblicati negli ultimi anni. La teoria della polarità appare, così, come una pagina radicata nella biografia del filosofo e, al contempo, come un tentativo di risposta alle dilacerazioni storico-esistenziali provocate dalla Grande Guerra. Il risultato è un pensiero antinomico, teso tra unità e distinzione, il cui scopo è riconciliare soggetto e oggetto, libertà e verità, modernità e religione. Fedele alla lezione di Max Scheler, Guardini persegue, attraverso l'incontro con Agostino e Bonaventura, un conoscere affettivo capace di unire cuore e ragione, intuizione e concetto. Un contributo ancora oggi di grande rilievo in un contesto internazionale fortemente polarizzato. Come scriveva Guardini nel 1964: «La teoria degli opposti è la teoria del confronto, che non avviene come lotta contro un nemico, ma come sintesi di una tensione feconda, cioè come costruzione dell'unità concreta».
Romano Guardini (1885-1968): una delle figure più significative della vita spirituale europea del XX secolo, che ha influenzato generazioni di cristiani prima e dopo il Concilio Vaticano II. I suoi scritti autobiografici mostrano lo stretto intreccio dell'itinerario personale di vita con l'opera della sua esistenza, in particolare durante il nazismo quando rappresentò un faro per la resistenza morale e religiosa alla barbarie. La prospettiva di Guardini si dispiega e si amplia dalla liturgia e dall'ecclesiologia, attraverso la «visione del mondo», rivissuta in rapporto a grandi figure dell'Occidente, fino all'interpretazione de "Il Signore" e fino ai più tardi scritti di critica culturale e antropologia. Emerge il vigore profetico della lettura guardiniana della modernità ("La fine dell'epoca moderna") e delle opportunità e dei pericoli della tecnica ("Lettere dal lago di Como"): un'esistenza cristiana del XX secolo, segnata dalla vicinanza e insieme dall'opposizione contro di esso.
Questo saggio, che si rivolge a tutti i lettori di romanzi, specialisti e non, si interroga sul fatto che questi oggetti di carta stampata e di "sostanza immateriale" abbiano il potere di isolare per ore intere dalla vita reale persone d'ogni età e cultura con la sola forza delle parole. Perché, osserva l'autore, un romanzo non è altro che un movimento di parole. Il lettore scoprirà, nel corso dei capitoli, come dal movimento di parole si generi il senso della profondità temporale e la visibilità romanzesca, tanto esterna o spaziale quanto interiore o psicologica; come si costruiscano le personalità dei personaggi e le loro voci nei dialoghi; come nasca e che cosa sia l'emozione letteraria; se e come sia possibile tradurre il movimento verbale romanzesco da una lingua all'altra; e infine se il romanziere abbia una moralità sua propria.
Il romanzo non è un oggetto estetico separato da chi lo crea. Fa parte di una strategia di vita, nasconde un dilemma, una polemica. E, come tale, si incrocia con la vita dei lettori in modi e con effetti A diversi a seconda delle circostanze personali. Con riferimento a molti grandi scrittori della letteratura europea come Joyce, Pavese, Hardy, Lawrence, Morante, Moravia, Tim Parks propone un modo nuovo di pensare al rapporto tra un'opera, la vita di chi l'ha scritta e la nostra vita. Messo da parte ogni approccio ortodosso o politicamente corretto, scopriremo che la letteratura è un'intensa conversazione tra pari, autore e lettore, e che l'esito è soggettivo più di quanto siamo comunemente disposti ad accettare.
Ripercorrendo l'intera carriera di Rommel, dai successi militari, soprattutto in Africa, alla partecipazione al complotto contro Hitler fino al tragico epilogo del suicidio, Desmond Young ci offre il ritratto autentico del generale Rommel. La scelta di scritti, riportata in appendice, prezioso complemento della ricostruzione biografica, comprende le riflessioni di Rommel sulla guerra nel deserto, sulle grandi battaglie del 1942 e sull'alleato italiano.
Rommel è stato forse il solo comandante tedesco a ricevere attestati di stima dagli stessi nemici. Ma è proprio vero che fu soltanto il servitore efficiente e leale di una causa sbagliata? Diversi elementi sembrano dimostrare il contrario. Il Feld-maresciallo ha sempre mantenuto rapporti stretti con il regime e con Hitler, non si è mai attivamente opposto alla barbarie, non ha favorito in alcun modo i nazisti critici e il suo stesso suicidio è da interpretare come un supremo atto di fedeltà al suo Führer.
La memoria culturale romana, in un viluppo di ricordi e racconti, tramanda che Romolo dette il suo nome alla città che aveva appena fondato, diventandone il primo re. Convocati in assemblea gli avventurieri, predoni, esuli, schiavi e altri reietti che avevano deciso di seguirlo, per prima cosa fissò le regole giuridiche, convinto che solo questo vincolo avrebbe potuto unificare una simile turba in un nuovo popolo. Delle norme attribuite a Romolo questo volume ne affronta alcune fra le principali: l'obbligo di concedere asilo a chi volesse rifugiarsi in Roma, il divieto di percuotere alcuni stretti congiunti e quello generale di uccidere, la legge che imponeva di allevare tutti i figli maschi (ma delle femminine solo la primogenita), fino la costituzione del senato.
Se la mattina del 21 aprile 753 a.C. qualcuno si fosse trovato sulla cima del Palatino, terra di greggi e di pastori a un passo dal guado del Tevere, avrebbe assistito a una scena decisamente singolare: in un silenzio irreale, rotto solo dai versi degli uccelli, un uomo aveva impugnato il timone di un aratro, si era coperto il capo con un lembo della toga e aveva iniziato a tracciare un solco circolare sulla superficie vergine del colle. Di lì a poco, l'ipotetico osservatore lo avrebbe sentito proclamare con voce solenne, davanti a un pugno di seguaci, il nome scelto per la città di cui aveva appena disegnato il perimetro: Roma. Il libro racconta la storia e la leggenda di quell'uomo, che i suoi discendenti chiamarono Romolo: le sue origini, che lo riconducevano a un eroe venuto dall'altra parte del mare, le peripezie che lo avevano condotto sino a quel giorno e le gesta da lui compiute nei lunghi anni che lo videro alla testa della sua fondazione, destinate a cambiare per sempre la storia del mondo.

