
La storia recente del mondo è caratterizzata da una dimensione di violenza tanto più inaudita e imprevedibile in quanto commessa nel nome di dio e delle scritture. In questa temperie, Jan Assmann si chiede se esista una violenza intrinseca del discorso religioso monoteista. Sulla scorta di una rilettura di alcuni brani dell'Antico Testamento, l'autore può ritrovare la radice storica di tale violenza soprattutto nel carattere esclusivo dell'unico dio e nell'immagine consolidata di una divinità irata e punitiva. E tuttavia Assmann contesta che la violenza sia una conseguenza necessariamente inscritta nell'istanza monoteistica e conclude che essa nasce, piuttosto, dall'uso che della religione è stato fatto in senso politico e fondamentalista.
Possono le parole nascondere i pensieri? È da questo interrogativo che Weinrich parte per indagare il rapporto di adeguatezza che sempre si pone fra il linguaggio e il pensiero. La sua risposta è un'arringa contro una diffusa tradizione pessimistica e in difesa della "verità della lingua", in difesa dell'innocenza delle singole parole. E via via che la sua argomentazione procede, si scopre una fitta trama di rapporti che lega questo discorso alla filosofia e alla teologia classiche, alla retorica, alla critica letteraria. Con la raffinatezza di stile e l'ironia che gli sono consuete, l'autore si muove fra Shakespeare e Goldoni, Platone e Wittgenstein, Hitler e Eichmann per approdare infine alla conclusione che no, le parole non mentono: i segni linguistici sono fatti sia per il bene che per il male, e dunque l'inganno non è nella lingua, ma sempre nell'uso che se ne fa.
Le manovre intorno a Telecom Italia, il crac della Parmalat di Tanzi, l'ascesa dei nuovi finanzieri e non solo: il libro racconta la storia sotterranea del "capitalismo di rapina". I percorsi occulti del denaro, un sottobosco poco illuminato dagli articoli dei giornali, che secondo gli autori spesso non vanno oltre i semplici verbali d'interrogatorio o le intercettazioni telefoniche. Gli autori seguono le tracce dei soldi, entità resa ormai sempre più astratta, tra conti bancari e giochi di sponda in Borsa, fino a ipotizzare complicità ad altissimo livello nelle grandi banche, nelle istituzioni, nel mondo politico, nelle autorità di controllo. Un'affollatissima galleria di personaggi: Fazio, Fiorani, Ricucci, Coppola, Gnutti, tutti finiti sotto i riflettori dei media per effetto delle inchieste giudiziarie, alle cui spalle vive e lavora una folla di banchieri, avvocati, fiduciari. Sono loro a essere definiti come i gran sacerdoti del capitalismo di rapina.
L'autore si sofferma sulla retorica che circonda il Web, la cosiddetta "Rete". Dalle Internet Companies di fine anni '90, popolate da ragazzetti che dormivano nel sacco a pelo per non lasciare nemmeno un minuto gli open space dove si progettava il futuro, alla tendenza alla bolla, quel correre a comprare qualcosa perché oggi vale più di ieri e si pensa che domani varrà più di oggi. A detta di Landi, fior di giornalisti e di economisti, non più adolescenti, cavalcano Internet come ultima scommessa per sentirsi e sembrare giovani, sovrastimano il valore di aziende improvvisate, fino a che la bolla non scoppia coprendo tutti di ridicolo. L'autore afferma che non c'è dittatura più proterva del Web, che vede come un grandioso palinsesto di truffe commerciali, violenze, manie, pornografia, trabocchetti pubblicitari. Così, per sapere cosa succede fuori, bisogna chiudersi dentro casa e accendere il computer: non più viaggiatori che esplorano il mondo, ma ospiti sedentari di un mondo che si offre in tutta la sua falsa completezza.
Quarant'anni fa, il 9 ottobre 1967, moriva nella selva boliviana Ernesto Guevara, il "Che". Un'icona che è sopravvissuta intatta al crollo degli ideali del Novecento. Se c'è una persona che ha conosciuto bene l'uomo Che, che ha lottato e lavorato per anni al suo fianco, che ne ha condiviso i sogni e le battaglie, questa è Fidel Castro, il leader della rivoluzione cubana. La loro storica amicizia cambiò il volto dell'America Latina ed ebbe un impatto enorme e duraturo sul mondo intero. Questa selezione di scritti, interviste e discorsi di Fidel, alcuni mai pubblicati in Italia, costituisce una sorta di biografia, ricca di riflessioni teoriche sull'operato del Che, ma soprattutto di aneddoti e di commosse rievocazioni. Un libro che contribuisce a delineare i contorni di un personaggio recuperando il contenuto originale delle sue idee.
"In Sicilia non si ammazza più, e questo è il termometro per capire che le cose per la mafia vanno bene. Tutti pensano che dopo qualche arresto eccellente la mafia sia stata sconfitta. Ma lo sanno anche i bambini che quando c'è troppo silenzio è perché gli affari tirano. Le bande hanno imparato la lezione: lavorano a compartimenti stagni e se uno si pente può fare arrestare cinque persone, non più cento come prima. Negli ultimi dieci anni noi inquirenti non abbiamo fatto che quello che ci dicevano i pentiti, perdendo il contatto con il territorio, con i confidenti, con la strada, e adesso è di nuovo il buio. Ci vorranno anni prima di capire che sta accadendo, cosa fa la nuova mafia. Le loro parole d'ordine oggi sono riciclaggio, investimenti, alberghi. E poi la borsa, la ripresa dell'edilizia, i grandi appalti, e soprattutto la politica. La mafia può essere il ragazzo che ti pianta la pistola in faccia, ma più spesso è un tizio con la cravatta, e nella giacca solo la penna per firmare assegni e atti notarili. Io su questo avrei una storia da raccontare. Ho quasi quarant'anni, sono un poliziotto, ma questa non è una biografia. Solo un pezzo di Sicilia, e di me, e di tutti noi. Sono un poliziotto. Non proprio uno dei tanti: uno scomodo, così dicono". Gianni Palagonia è il nome falso di un poliziotto vero. Una voce che racconta di grandi appalti e di affari sporchi, di stragi e di morti ammazzati. Una storia di rabbia e ostinazione, che mostra il volto della mafia di ieri e di oggi.
I costi stratosferici della politica tanto contestati e denunciati vanno di pari passo con quelli del finanziamento pubblico ai giornali: quasi 750 milioni di euro finiscono in un anno, sotto forma di contributi diretti o indiretti, nelle casse dei grandi gruppi editoriali, organi di partiti, giornali. Lo scandalo che l'autore denuncia è clamoroso non solo per la consistenza dell'esborso dalle casse dello Stato, ma anche sul piano etico e morale, perché, secondo la tesi del libro, è stato nascosto alla pubblica opinione dagli stessi giornali percettori di rendite inconfessabili e comunque "politicamente scorrette". Con questa inchiesta alla vecchia maniera si riempie il vuoto ripercorrendo la storia ultraventicinquennale, dalla primitiva legge 416 del 5/8/81 fino a oggi.
Spiegare l'Italia contemporanea e le sue dinamiche politiche agli stranieri è cosa assai ardua; ecco perché spesso i commentatori esteri gettano la spugna e imboccano la scorciatoia della derisione, additando questo o quel fenomeno politico al pubblico ludibrio. Il bisogno di capire, del resto, è la ragione per cui uno dei pochi studiosi che ha provato a raccontare l'Italia "fuori dall'Italia" è riuscito a suscitare grande interesse. Pubblicato in Francia nel febbraio 2007, per introdurre il pubblico transalpino ai misteri della nostra vita politica, questo libro, nella sua nuova edizione italiana, si propone di compiere una sorta di viaggio attraverso le contraddizioni e le specificità del Bel paese, viaggio condotto appunto lungo la via maestra della "geopolitica dell'identità nazionale". Un'identità i cui contorni non si sono mai profilati con nettezza perché gli italiani - intesi come abitanti della penisola - sono stati esclusi dall'avventura nazionale; perché lo Stato italiano è nato più da un incrocio di circostanze internazionali che da un progetto politico; perché mai è stato chiaramente individuato un "interesse nazionale" verso cui convogliare passioni, fantasie e aspirazioni delle masse. Questo libro non è dunque soltanto una storia, ma una ricerca delle infinite connessioni tra tutte le forze in gioco nel processo lungo, accidentato e, secondo l'autore, mai davvero giunto a compimento, di costruzione della nazione italiana.
Curzio Maltese ha utilizzato, rielaborato e ampliato il materiale dei reportage realizzati per "la Repubblica", trasformando una "inchiesta" sulle città italiane (condotta con Alberto Staterà) in un documento che riconduce il lettore alle radici di un malessere non soltanto politico o civile (forse più facile da riconoscere), che ha a che fare con l'amministrazione dei luoghi in cui vive: le città. Ci sono, in questo panorama, città capitali come Milano (ed ecco allora che Maltese registra il passaggio dalla città operaia e borghese a una città ricca, opulenta ma senza identità), e città provincia come Rimini e Taranto, la prima al centro di una vera e propria deriva etnica (i ricchi russi ma anche l'immigrazione slava povera o poverissima), l'altra al centro di uno dei più significativi episodi di catastrofe amministrativa (una donna sindaco che nel progetto di Berlusconi avrebbe dovuto guidare la rinascita e che invece ha finito per determinare la bancarotta del danaro pubblico). Curzio Maltese insegue immagini che schizza con rigore e pertinenza, al di là dei cliché e del giornalismo passivo. Insegue personaggi, li tallona, li fa parlare sia quando vogliono, sia quando si oppongono. Una testimonianza presa dal vivo, sui loro padroni, e sui loro i servi.
Giustiniano, imperatore bizantino dal 527 al 565, è una delle personalità maggiori e più influenti dell'età tardoantica. La sua fu un'epoca turbolenta ma fertile; Giustiniano portò i suoi eserciti contro i Vandali e gli Ostrogoti alla riconquista dell'impero d'occidente (soprattutto dell'Italia), e combattè contro Bulgari e Persiani; cercò di imporre l'ortodossia cristiana all'interno dell'impero abolendo e perseguitando gli altri culti, portò a termine una poderosa risistemazione del diritto romano nel "Corpus Iuris Civilis" che ha costituito la base dei sistemi giuridici successivi. Il profilo di Meier riassume con chiarezza i diversi aspetti della vita di Giustiniano e della sua azione: dalla carriera all'ombra dello zio, l'imperatore Giustino, al matrimonio con Teodora, dalle campagne belliche alle rivolte e alle gravi calamità che l'impero dovette fronteggiare al proprio interno, dalle riforme amministrative alla politica religiosa.
Da oltre mezzo secolo la figura di Adolf Hitler non cessa di catalizzare l'attenzione degli storici e l'interesse, persino morboso, del pubblico più largo. Del resto, è indubbio che Hitler sia stato il personaggio storico che con la sua azione ha avuto la maggiore influenza, di segno negativo, sul corso delle cose europee e mondiali nel secolo ventesimo. Sulla biografia di Hitler si contano ormai molti contributi importanti, dalla biografia di Fest a quella vastissima di Rershaw. In questo quadro, il volume di Corni si presenta come un'equilibrata e aggiornata esposizione che mette a frutto e discute la più recente ricerca sia sulla vita e l'azione del Führer sia sulle caratteristiche dello stato nazista, ponendo in rilievo le questioni e i nodi interpretativi salienti che il lavoro degli storici ha fatto emergere.
Da più parti si ritiene che Alcide De Gasperi vada considerato insieme a Cavour il massimo statista dell'Italia unita. Negli ultimi anni, il cinquantesimo anniversario della sua morte ha dato occasione a una rinnovata stagione di studi degasperiani, di cui si va ora raccogliendo i frutti. Con appassionata precisione, Pombeni ricostruisce tutte le tappe dell'apprendistato degasperiano, dall'esperienza di studente universitario nella Vienna di fine secolo, dove viene a contatto con molti fermenti culturali e sociali, alla direzione del quotidiano cattolico di Trento, all'ingresso nel parlamento dell'Impero nel 1911. Basato su una minuziosa ricerca originale, il libro getta luce sulla parte più controversa e meno conosciuta della vita del grande uomo politico, costituendo al tempo stesso un viaggio nei meccanismi di formazione di una leadership politica e nelle asperità di un periodo storico in cui si scontrano nazionalismi, identità culturali e religiose e declinanti sistemi politici di antico regime.