
Il Teorema di Pitagora riassume in modo esemplare le proprietà uniche ed esclusive dell'angolo retto. Nella tradizione è legato al demone divino del filosofo di Samo, ma risale in realtà a tempi remoti ed è patrimonio comune di diverse culture. Ripresentandosi regolarmente in formalismi complessi, questo celeberrimo Teorema si è rivelato una delle acquisizioni stabili e irrinunciabili della matematica, che continua a servirsene anche nelle sue tecniche avanzate. Ma se da un lato esprime aspetti essenziali del pensiero antico, dall'altro offre un osservatorio privilegiato per scoprire come il calcolo moderno ha provveduto a rimuovere con ogni cura i motivi religiosi e filosofici che hanno segnato la sua origine. La conseguenza di questa rimozione è la rinuncia a una sfera più ampia dell'esattezza, e a quel mondo ideale che per Hermann Weyl ne costituiva l'intimo cuore. Un cuore che questo nuovo, acuminato libro di Paolo Zellini ci permette di avvertire nelle sue pulsazioni più segrete.
Intercultura e integrazione sono temi di grande attualità nella scuola italiana, dove si "mescolano" allievi di origini e tradizioni anche molto differenti tra loro. Questo libro propone alcune conoscenze utili e riflessioni stimolanti per affrontare in maniera sempre più consapevole i temi del dialogo tra le culture.
"Chi sei, papà?" Un bel giorno capita che un figlio di sei anni faccia questa domanda disarmante, a suo modo imbarazzante. Una domanda che, oggi soprattutto, coglie nel segno, mettendo a nudo una condizione: verrebbe la tentazione di liquidarla con quelle risposte evasive o distratte con cui spesso i grandi mascherano la loro inadeguatezza. Ma un papà come Stefano Zecchi non si sottrae così facilmente alla sfida. Ne fa invece il punto di partenza di una riflessione sincera sul suo ruolo di "giovane padre che ha un po' di anni in più della media dei padri giovani" e, in generale, sulla crisi della figura paterna nella nostra società. Senza scrivere un saggio di sociologia o psicopedagogia, ma semplicemente raccontando la sua esperienza personale, il rapporto quotidiano con il figlio. L'inserimento all'asilo e a scuola, i giochi, le passeggiate alla scoperta della natura e della città, le curiosità infantili riguardo al mondo circostante, i primi confronti con la vita scandiscono così le tappe di un percorso che, dalla constatazione di una decadenza dell'immagine paterna, sempre più debole ed evanescente, conduce alla possibilità di un suo riscatto
"Chi sei, papà?" Un bel giorno capita che un figlio di sei anni faccia questa domanda disarmante, a suo modo imbarazzante. Una domanda che, oggi soprattutto, coglie nel segno, mettendo a nudo una condizione: verrebbe la tentazione di liquidarla con quelle risposte evasive o distratte con cui spesso i grandi mascherano la loro inadeguatezza. Ma un papà come Stefano Zecchi non si sottrae così facilmente alla sfida. Ne fa invece il punto di partenza di una riflessione sincera sul suo ruolo di "giovane padre che ha un po' di anni in più della media dei padri giovani" e, in generale, sulla crisi della figura paterna nella nostra società. Senza scrivere un saggio di sociologia o psicopedagogia, ma semplicemente raccontando la sua esperienza personale, il rapporto quotidiano con il figlio. L'inserimento all'asilo e a scuola, i giochi, le passeggiate alla scoperta della natura e della città, le curiosità infantili riguardo al mondo circostante, i primi confronti con la vita scandiscono così le tappe di un percorso che, dalla constatazione di una decadenza dell'immagine paterna, sempre più debole ed evanescente, conduce alla possibilità di un suo riscatto.
Quando pensiamo al lusso, immediatamente ci chiediamo quanti soldi siano necessari per comprare un oggetto di lusso. Se poi si vagheggia la possibilità di vivere lussuosamente, subito si calcola quanti quattrini servano per realizzare quel desiderio. Insomma, sotto qualsiasi profilo si prenda in considerazione il lusso, questo ci appare sempre in relazione con il denaro, anzi, con molto denaro. Se fosse soltanto così, una riflessione sul lusso avrebbe poco interesse e, fra l'altro, in un periodo economicamente difficile come l'attuale, sembrerebbe una provocazione. Che cos'è, davvero, il lusso? Stefano Zecchi ne studia le caratteristiche, esamina i procedimenti estetici che trasformano un oggetto qualsiasi in uno di lusso, descrive chi crede di condurre una vita lussuosa e, invece, a volte, è una persona rozza e priva di sensibilità. E dà una risposta in apparenza controcorrente, osservando che il lusso è la naturale aspirazione a una bellezza rara e preziosa nella sua perfezione, che desiderarlo è una chiara testimonianza della volontà di migliorare la propria esistenza, di lasciarsi alle spalle una quotidianità noiosa e ripetitiva. Che è un'esperienza di vita nella bellezza, in cui l'ostentazione del denaro finisce spesso per diventarne il più agguerrito nemico. Ecco perché in queste pagine c'è un accorato richiamo alla necessità di un'educazione estetica che consenta di comprendere fin da giovani cosa sia il bello, evitando abbagli e fraintendimenti di un gusto approssimativo.
Che cosa significa amore? E se diciamo: «Ti amo», cosa desideriamo comunicare? Sono domande che avevano poco ascolto quando, in tempi non lontani, le grandi utopie storiche dominavano il discorso pubblico, mentre la sfera dei sentimenti era e doveva rimanere una questione privata. Poi, tramontate le speranze di trasformazione radicale della società, quel mondo di affetti personali relegati, quasi nascosti, in un angolo, è riemerso, mostrando la sua forza e condizionando la vita pubblica. Oggi «tutto avviene nel nome dell'amore», fino a esasperarne il significato e tradendo il valore di quelle domande. Il libro di Stefano Zecchi mette ordine a ciò che chiamiamo - con sincerità o ostentazione - «amore», accompagnandoci in un viaggio alla scoperta dei diversi modi di viverlo e comprenderlo. Dai grandi miti alla filosofia, ai testi della nostra classicità, passando per gli immortali romanzi ottocenteschi, film e canzoni dei nostri giorni, Zecchi ragiona sulla natura del sentimento più affascinante e contraddittorio: amore passionale, romantico, sentimentale, vanitoso; amori sbagliati, impossibili, disperati. Dopo aver indagato le trasformazioni che il linguaggio dei sentimenti ha subito dal secolo scorso a oggi, Zecchi riflette su come siano cambiate le relazioni in seguito alla rivoluzione sessuale, sul matrimonio e sul divorzio, ma anche sui nuovi significati della maternità e sulla continua evoluzione della figura paterna. E poiché «l'amore ci interroga sul senso del futuro, su ciò che lasceremo alle generazioni che verranno», esso si esprime anche nella cura della Terra dei figli. Il viaggio si conclude riannodando i fili che congiungono l'amore alla bellezza, perché «il bene si comprende attraverso il significato del bello e l'amore trova nella bellezza la sua espressione più vera».
Sergio Zavoli riprende il cammino inaugurato da quel "Viaggio intorno all'uomo" che come scrisse Carlo Bo, "mette a prova il pensare e il sentire su questioni che vanno sempre più al fondo della nostra presenza nel mondo, affrontandone lucidamente gli aspetti cruciali: la creazione e il caos, la natura e la storia, la ragione e la fede, la scienza e l'etica, l'ideologia e la morale". Un testimone del nostro tempo guida il lettore nel complesso scenario della nostra storia recente e attraverso una serrata interrogazione, la percorre dal secondo conflitto mondiale a oggi, con quell'11 settembre 2001 che ha mutato il volto delle vicende umane, segnando mentalità e politiche, costumi e destini, e non solo di una generazione. E come se queste pagine fossero state pensate e scritte nel desolato spazio di Ground Zero, per celebrare una sorta di processo epocale alle nostre stoltezze e concluderlo affrontando il più grave dei pericoli, cioè la mancanza di percezione del pericolo. Non è più vero che, come disse Abraham Lincoln, "il futuro arriva solo un giorno alla volta": la velocità con cui ci viene incontro è tale che sembra già nella nostra storia. Questa urgenza smaschera la pochezza del relativismo. Ciascuno deve tornare a misurarsi con la millenaria lezione dell'etica per definire e regolare la disputa tra Bene e Male, tra lecito e illecito, da sottrarre a ogni fondamentalismo e da affrontare, invece, con la più inquietante delle saggezze, quella del dubbio.
Che Sergio Zavoli raccontasse la sua vita, attraversata da protagonista negli anni più felici della radio e della televisione, oltre che con le prove del suo talento di scrittore e poeta, lo si chiedeva da tempo. Ed ecco un libro che, in un gioco di continui rimandi temporali, tematici e psicologici, unisce alla tensione del racconto la saldezza dello stile e alla versatilità della narrazione il puntiglio del documento, confermando, così, estro e rigore. Già il titolo rivela non solo un legame, ma addirittura una sorta di contiguità tra gli anni dell'adolescenza, della giovinezza e della maturità con il momento in cui l'autore si decide "a rastrellare dentro se stesso", per dirla con le sue parole, "il ragazzo che io fui": un rincorrersi, edito e inedito, di memoria e Storia, l'alternarsi di questioni rare e quotidiane, di argomenti concreti e interiori, di tonalità elegiache, ironiche, dure, tutto segnato dai dilemmi di una contemporaneità splendida e tragica, che si misura con l'arcano privilegio di esservi nati e il grave obbligo di viverla. Ne è emerso un lungo capitolo della nostra vita, ricostruito e indagato attraverso "una ricchezza ispirata dall'immaginazione autenticata dalla realtà", così si espresse Carlo Bo, aggiungendo: "È evidente - in tanta parte di ciò che questo "maestro di scenari e interrogazioni" scrive, mostra e dice - il disegno di tenere dentro il quadrato della lucentezza, anche espressiva e stilistica...".
Sergio Zavoli «è stato il testimone colto e popolare della grandezza della parola e dell'immagine, un'eredità preziosa in un tempo in cui esse sono spesso violate, ferite, umiliate, imbruttite»: così si esprime il cardinale Gianfranco Ravasi nell'appassionata prefazione a questo volume, che raccoglie i testi della rubrica tenuta dallo stesso Zavoli sulla prima pagina del quotidiano «Avvenire» negli ultimi mesi del 2015. Una sorta di "diario in pubblico" nel quale il grande giornalista si muove tra la memoria personale e la testimonianza civile. L'infanzia a Rimini, le immagini dell'Italia bombardata e della rinascita nel dopoguerra, l'amicizia fraterna con Federico Fellini, il lavoro di scavo nella realtà drammatica degli Anni di Piombo sono alcuni degli elementi ricorrenti in questo zibaldone dal quale affiora con insistenza l'interrogativo su Dio. Con una prosa di altissima qualità letteraria, questi elzeviri in miniatura svelano il volto più intimo di Zavoli, quello del poeta in continua ricerca, che non si sottrae allo scandalo del dolore nella Storia (di particolare intensità le annotazioni su vecchi e nuovi terrorismi) e che proprio per questo riesce sempre a ritrovare il filo della speranza. Fino al congedo, che ha il valore di un testamento spirituale: «Ho raccolto brevi tracce della realtà - scrive Zavoli - facendone una filiera che non appartenesse alla pretesa di raccontare soltanto storie mie, mentre la vita è seme e pianta, tronco e rami. Di tutti, e di ciascuno». Con interventi di Gianfranco Ravasi, Marco Tarquinio e Rosita Copioli.