
La storia degli ultimi cinquant'anni del ventesimo secolo è per molti aspetti, in Europa, storia di partiti di ispirazione cristiana: ne ha visto lo sviluppo poderoso nel secondo dopoguerra, dovuto a fattori anche molto diversi come la Resistenza, la cancellazione dei partiti moderati della destra tradizionale, la minaccia comunista, la guerra fredda, il voto alle donne, il sostegno della Chiesa cattolica, il relativo declino degli anni dello sviluppo economico e l'evoluzione della stessa Chiesa sotto l'effetto del Concilio Vaticano II. E la crisi, assai pià grave, sopravvenuta negli ultimi anni del secolo, a cui non è probabilmente estraneo il "crollo del muro" nel 1989.
In teoria, esiste un'identità napoletana forte, sedimentata nel corso di oltre due millenni, irrobustita da una grande tradizione culturale, contaminata dagli apporti più vari, fissata in una lingua ricchissima, in una copiosa letteratura e in migliaia di famose canzoni. In pratica, esistono i napoletani di oggi, afflitti da tanti problemi annosi e irrisolti, e animati da incrollabili speranze di riscatto. Hanno conservato una buona parte del loro retaggio storico e culturale, e sono in fondo "antichi" come la loro città, però tendono sempre più rapidamente a conformare i loro comportamenti e desideri, il loro immaginario e perfino il loro modo di esprimersi a quelli degli abitanti di qualsiasi altra città del mondo. Francesco Durante divide il suo libro in due parti intitolate per l'appunto "Teoria" e "Pratica", sforzandosi di farle dialogare, di mostrare come la seconda riesca ancora a esibire qualche elemento di originalità inequivocabilmente partenopea. Ne nasce un libro vivace e curioso, fondato su una ricchissima documentazione che disegna percorsi sorprendenti nella storia e nella cronaca di Napoli. Un libro che riesce a tenersi a distanza di sicurezza dal luogo comune e che continuamente sollecita e appaga la curiosità del lettore intorno al "mistero" della napoletanità che, nonostante tutto, nonostante la sua possibile riduzione a una condizione puramente spirituale o fantasmatica, ancora sa parlarci con accenti di profonda umanità.
Quando, nel 219 a.C., due emissari di Sagunto si presentarono ai senatori di Roma, per chiedere aiuto al potente alleato di fronte alla minaccia punica, venne loro risposto di non preoccuparsi, perché la potenza di Roma era tale da garantire la sicurezza dei suoi alleati. Sbagliavano, i senatori di Roma. Sbagliavano perché alla guida dei Cartaginesi c'era il giovane Annibale Barca, figlio di Amilcare. Sono passati due anni: il campo di battaglia di Canne, nell'Italia meridionale, è spazzato dal vento, coperto da una distesa di cadaveri. Sono quasi tutti soldati romani. Annibale, di fronte al suo trionfo, pensa che ormai è finita: Cartagine ha vinto. La sua straordinaria impresa, la conquista dell'Italia e la distruzione di Roma, è arrivata all'ultimo atto.
Muhammad Ali: il pugile dalle esaltanti vittorie mondiali cominciate quando aveva solo diciott'anni e si chiamava Cassius Clay, il campione invincibile e inafferrabile "che vola come una farfalla e punge come un'ape", il divo clamorosamente alla ribalta per gesta e spacconate, ma anche il campione convertito all'Islam consapevole che questo avrebbe potuto costargli carriera o guadagni, la "macchina da pugni" che rinuncia al titolo mondiale dei massimi pur di non indossare la divisa e servire l'esercito in guerra contro il Vietnam. In questa autobiografia, uscita per la prima volta nel 1975, Muhammad Ali, all'apice della sua carriera, racconta di sé con orgoglio e sfacciata schiettezza: "Io sono il più grande" è il suo motto. Ma è un grande che parla a cuore aperto e che non esita ad ammettere: "Ogni volta che metto piede sul ring, lo stomaco mi si chiude dalla strizza", e svela cosa prova quando il pugno dell'avversario giunge a segno, scaraventandolo "nella stanza del dormiveglia". È il lato privato dell'uomo pubblico che questo straordinario memoir ci restituisce: il ragazzo nero che si è aperto faticosamente una strada in una città del Sud ostile e razzista; i suoi anni sul ring, con i suoi incubi, le sue tragedie, e qualche prospettiva di agiatezza per chi accetta di conformarsi alle sue durissime leggi; le dolorose immagini delle vittime, di quelli che non sono mai arrivati al vertice e trascinano la loro esistenza tra gli scampoli di un passato favoloso.
L'eroico, impossibile tentativo di rovesciare Hitler da parte dei giovani studenti della Rosa Bianca. La strenua difesa dell'atollo di Wake dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbor, quando il capitano Elrod sfidò la flotta nipponica con un aereo tenuto assieme con il fil di ferro. L'abnegazione di Louis Slotin, che perse la vita a Los Alamos pur di evitare un incidente nucleare dalle proporzioni incalcolabili. Il coraggioso intervento del nazista Duckwitz, che consentì a migliaia di ebrei danesi di fuggire verso la salvezza. Un grande corrispondente di guerra racconta le sorprendenti vicende degli eroi che hanno cambiato la Storia e che la Storia ha cercato di rendere invisibili.
"Tra 25 anni i cinesi ci daranno un sacco di problemi". "Non tra 25 anni. Tra dieci." Era il 1973 e a parlare erano Richard Nixon, presidente americano, e il russo Breznev. Dopo quel colloquio, per precauzione, Nixon chiese alla Cia un prospetto sullo sviluppo della Cina nei successivi 10 e 15 anni. Avevano ragione entrambi. La Russia si è dovuta preoccupare dieci anni dopo. L'America - e il resto del mondo occidentale - oggi. Gli effetti del risveglio del dragone sono sotto gli occhi di tutti e i giochi olimpici del 2008 rappresenteranno l'apoteosi della potenza cinese. Il mondo trema quando la Cina varca i confini della Grande Muraglia, perché ogni volta che è successo, ogni incontro dell'Oriente con l'Occidente è stato in realtà uno scontro. Dalla nascita dell'impero mongolo al regno della famigerata imperatrice vedova Tsu Hsi, dalla lunga marcia di Mao al ritiro degli inglesi da Hong Kong, fino alle minacce economiche delle ultime ore, un'analisi del Fattore Cina e il quadro di un futuro in cui il sole, domani più che mai, sorgerà ad oriente.
Un grande divulgatore analizza i memorabili conflitti della storia e ci svela qual è il mestiere più antico del mondo: il creatore di fake news. Le fake news che oggi ci preoccupano non sono un'invenzione moderna. La storia dell'uomo, più che una lotta tra bene e male, sembra una battaglia tra verità e menzogna. Siamo solitamente portati a considerare i documenti storici come una narrazione puntuale degli avvenimenti: niente di più sbagliato. Il più delle volte, i resoconti di conflitti che migliaia di anni fa hanno sconvolto il mondo e alterato il corso della storia sono scritti dai vincitori, dipinti sempre come i "buoni", mentre ai vinti tocca il ruolo di "cattivi". Poco importa che nel momento della battaglia non si vedesse la differenza, alla fine i buoni sono vincitori, perché ogni divinità - e quasi ogni storico - sta invariabilmente dalla parte di quelli che vincono. La biblica battaglia di Armageddon, il grande Tempio di Salomone che ospitava l'Arca dell'Alleanza, il tesoro di Alarico, frutto del saccheggio di Roma e sepolto sotto il fiume Busento, sono fatti veri o falsi? In realtà non c'è mai fumo senza fuoco: la battaglia di Armageddon è avvenuta, proprio come Salomone ha davvero costruito un tempio e Alarico ha saccheggiato Roma. Ma è bene sapere che molte gesta "epiche" e molti "eroi" nascono da giganteschi photoshop storici, che hanno cancellato errori, debolezze e colpi di fortuna. Voltaire diceva che tutta la storia antica «altro non è che invenzione letteraria accettata come verità». Un esperto divulgatore storico smaschera le bugie dei vincitori dei principali conflitti antichi e aiuta a capire come funzionano davvero le fake news, per non farsi sviare dai manipolatori di ieri e di oggi.
Un garage, una buona dose di genio e altrettanta di fortuna, un'idea rivoluzionaria destinata a cambiare il mondo. E poi soldi, successo, felicità. Una narrazione facile e seducente, che per anni ha alimentato la mitologia dorata delle startup da Silicon Valley. Ma la realtà delle statistiche riporta con i piedi per terra: nove startup su dieci non sopravvivono ai primi tre anni di attività. La retorica dell'ottimismo però ha spesso la meglio e delle startup che non ce l'hanno fatta non rimane traccia, soprattutto in quei paesi, incluso il nostro, in cui è assente una cultura positiva del fallimento, vissuto come un'onta personale che si fa stigma sociale. Ma studiare i fallimenti, propri o altrui, è strumento indispensabile per individuare gli errori da non commettere e ricavare lezioni sulle pratiche virtuose da seguire. E perché no, per imparare a essere felici. Andrea Dusi lo fa in questo libro in modo concreto e sistematico, analizzando centinaia di casi, letti e interpretati anche alla luce dei suoi fallimenti e dei suoi successi.
Il volume propone molteplici percorsi nei prodotti mediali contemporanei tra film e serie televisive, trailer e web partecipativo, opere di videoarte. Teorie e metodologie della sociosemiotica dei media sono declinate come semiotica del sensibile e dell'esperienza, soffermandosi in particolare sulle figure legate alle corporeità e agli oggetti tecnologici. Vengono indagate, ad esempio, le trasformazioni narrative e discorsive portate nei film dai telefoni cellulari, o le invenzioni figurative degli oggetti che popolano i film di fantascienza. La sociosemiotica dei media diventa uno strumento per analizzare le "passioni sensibili" del contagio e dell'abitudine nella letteratura e nel cinema, oppure i regimi percettivi alterati nei racconti delle esperienze tossiche. Le analisi dei trailer cinematografici si aprono alle pratiche ludiche della rete e alle forme ibride di remix e fake trailer, accanto alle complesse saghe intermediali del "Cremaster Cycle" di Matthew Barney, o, invece, a serialità più canoniche come la prima stagione del "Dr. House". Narratività, sensorialità e passioni, corpi e oggetti, entrano così a far parte di più ampi regimi di senso, e di logiche del sensibile, che intessono le diverse testualità del cinema e dei media dell'era digitale.
L'ambiguità della scuola italiana appare radicale: forma cittadini, sviluppa talenti e genera intelligenza, ma crea anche sconfitti, produce indifferenza e induce emarginazione. L'impegno necessario a liberarla dalle sue annose criticità richiama quello profuso nell'innalzamento dell'obelisco in piazza San Pietro nel 1586. Sollevato da terra per mezzo di una fabbrica imponente di argani ingegnosi, evitò il crollo grazie all'esperienza e intraprendenza dell'operaio Bresca il quale, accorto che i canapi cui era assicurato stavano cedendo, gridò nonostante il divieto di parlare durante i lavoro: "Acqua alle funi!". Fu ascoltato. I canapi bagnati ressero allo sfarzo, e l'obelisco venne posizionato al centro della piazza, dove tutt'ora si trova.