
Nella sua testimonianza diretta e pulsante, raccolta dall'autrice in una località segreta, Gaspare Spatuzza si racconta e ripercorre la storia di un giovane della periferia palermitana attratto e cooptato da Cosa Nostra. Dell'organizzazione criminale condivide per molto tempo la logica e la spietata crudeltà, divenendo reggente del mandamento mafioso e ritagliandosi uno spazio di rilievo nelle stragi degli anni novanta. Da uomo d'onore diventa poi risoluto collaboratore di giustizia quando, dopo l'arresto, chiama in causa delicate responsabilità politiche e scardina l'impianto processuale di tre procedimenti giudiziari. Un lungo viaggio narrativo che è anche catarsi personale, in cui si mescolano denuncia sociale, conversione religiosa, ricerca faticosa di una nuova dimensione di vita.
Lo scenario descritto da Alessandra Dino lascia un senso di profondo disgusto. Ma al tempo stesso fa amare ancora di più quella Chiesa capace di vivere sino in fondo il suo ruolo ‘profetico’ e rinnovare le coscienze nel segno della giustizia e dei valori etici e civili. Una Chiesa che sappia parlare chiaro in tutte le occasioni in cui è richiesta una testimonianza coraggiosa, e che non abbia il timore di riconoscere eventuali colpe e omissioni del passato. don Luigi Ciotti
Un saggio con un valore esemplare che fa riflettere sui rapporti fra la chiesa e la criminalità organizzata. Alessandra Dino fornisce dettagli: nomi, cognomi, come ha fatto Saviano con Gomorra. È un libro impressionante, esente da fanatismi, che consiglio a tutti. Dacia Maraini
Il serpente cambia pelle. Cosa Nostra è in una delicata fase di transizione, con un vuoto di rappresentanza ai livelli più elevati del potere. Chi sarà il prossimo erede di Riina e di Provenzano?
Quali sono le strategie per indirizzare i nuovi affari e ridefinire l'immagine del sodalizio?
Nel tempo, si sono scontrati due diversi modi di concepire la guida di Cosa Nostra: l'uno, attraverso il terrore e le stragi; l'altro, attraverso la mediazione e un solido, silenzioso, sistema di relazioni di potere. Salvatore Riina e Bernardo Provenzano hanno incarnato le due anime dell'organizzazione; dopo la loro cattura, Cosa Nostra ha la necessità di trovare qualcuno che con altrettanta abilità possa incarnare il carisma e l'autorevolezza dei suoi capi storici, guidando senza strappi il sodalizio mafioso in una difficile fase di trasformazione.
L'erede al trono potrebbe essere Matteo Messina Denaro, super latitante con la particolare abilità di sparire nel nulla.
Alessandra Dino indaga per la prima volta le vicende riguardanti lo scontro per il potere, descrive una mafia che cerca rapporti sempre più stretti con il mondo della politica e dell'economia e produce essa stessa nuovi modelli organizzativi e nuovi stili di comando, tratteggia i profili dei protagonisti e stila un'inedita biografia del prossimo, e spietato, probabile leader.
Ricordando anche come in questa situazione di stallo in cui si trova oggi l'organizzazione mafiosa «lo Stato potrebbe e dovrebbe approfittare per stroncare sul nascere le ambizioni e le speranze di chiunque voglia prolungare la vita di Cosa Nostra, prima che sia l'organizzazione stessa ad approfittarne, grazie alla sua, ormai proverbiale, capacità di adattamento. Muoversi in questa direzione non porterebbe certamente alla sconfitta definitiva della criminalità organizzata, ma potrebbe reciderne un importante ramo, registrando un altro considerevole passo nella direzione della sconfitta di Cosa Nostra che – come ricordava Giovanni Falcone – alla stregua di ogni fenomeno umano, ha avuto una sua origine e avrà comunque una sua inesorabile fine».
Questo è un libro di storie e di storia. Racconta uno spaccato dell’Italia conosciuto solo superficialmente: i figli dei boss. Nati e cresciuti in famiglie di Mafia, Camorra, ’ndrangheta e Sacra corona unita, questi “eredi” sono protagonisti consapevoli o inconsapevoli della storia della criminalità organizzata italiana. I “figli” sono considerati boss di diritto, anche se non vogliono; perché portano il cognome di chi negli anni 70, 80 e 90 ha scritto alcune tra le peggiori pagine della cronaca nera nazionale. Il testo si sviluppa in tre sezioni: la prima dedicata ai figli dei boss che hanno cercato e trovato una strada alternativa ai circuiti criminali familiari; la seconda dedicata al progetto “Liberi di scegliere”, rivolto ai minori figli di ’ndrangheta; la terza focalizzata sui figli di Riina e Provenzano: boss “irriducibili” tra i più noti in Italia. L’autore ci porta in questo mondo attraverso ricostruzioni storiche, incontri e interviste con i figli dei boss, i loro amici, i membri della loro famiglia, magistrati, giudici, avvocati e psicologi.
La partecipazione "soffre le doglie del parto", ma nonostante tutte le difficoltà, tende a riapparire in forme nuove e inedite. Consola il fatto che per attecchire non ha bisogno di grandi eventi, ma di ordinaria semplicità. Riprende vita nelle pieghe del quotidiano. Rinasce grazie all'intuizione o alla tenacia di persone che credono nella comunità. Il lavoro è compimento continuo ed è il modo abituale con cui ciascuno partecipa alla vita sociale. Pensare alla partecipazione come alla fioritura dell'umano consente di umanizzare i processi e i percorsi comunitari.
Che cosa significa studiare la comunicazione da un punto di vista estetico? Da un lato significa considerarla non una semplice trasmissione di informazioni, ma una relazione coinvolgente che attiva sensibilità, emozione e intelligenza, facendo interagire immaginazione, gusto e intuizione. Dall'altro, significa riflettere su come i media, vale a dire tutti quei mezzi che danno forma alla comunicazione e la rendono condivisibile, finiscono per trasformare la nostra esperienza sensibile, e dunque estetica. Attraverso un'accurata selezione di testi dagli inizi del Novecento ai giorni nostri, il presente volume esplora questi due grandi versanti, contribuendo a definire l'identità, il perimetro e la genealogia di un campo di ricerca assai ricco e stimolante.
Roberto Diodato insegna Estetica, Etica ed estetica dei media, e Filosofia dell'esperienza estetica nell'Università Cattolica di Milano; Estetica generale ed Estetica applicata nella Facoltà di Teologia di Lugano. Tra i suoi libri "Estetica del virtuale" (Bruno Mondadori, 2005) e "Percorsi di estetica. Arte, bellezza, immaginazione" (con E. De Caro e G. Boffi, Morcelliana, 2009). Antonio Somaini insegna Cinema e arti visive e Storia delle teoriche del cinema nell'Università di Genova. Recentemente ha curato la nuova edizione italiana di "Pittura fotografia film" di L. Moholy-Nagy (Einaudi, 2010) e, con A. Pinotti, l'antologia "Teoria dell'immagine. Il dibattito contemporaneo" (Cortina, 2009).
Sul finire degli anni cinquanta del secolo scorso, si avviò a Londra un acceso dibattito sollecitato dal libro di Charles Snow sulle cosiddette due culture, vale a dire sull'ostilità tra scienziati e letterati. Il dibattito è tuttora in corso e l'interrogativo sulla presunta ostilità resta aperto, ma nel frattempo ecco che è entrata sulla scena una nuova dicotomia, quella fra due realtà: la fattuale e la virtuale. Due realtà, dunque, in contrapposizione o forse in complementarità alle due culture? Una storia antica ma ancora oggi attuale, che si interseca con i problemi emergenti sulle due realtà: quella effettiva e quella che i mass media ci comunicano e alla quale siamo spinti a credere indipendentemente da quanto stia accadendo. Due realtà che tendono ad ampliare la distanza che sempre più le caratterizza, da quando la globalizzazione dei saperi e la rivoluzione delle alte tecnologie hanno portato alla diffusione senza più controlli della comunicazione di massa e del contesto virtuale che essa è in grado di costruire. Come restituire veridicità alla conoscenza minata dalle distorsioni indotte proprio dalle comunicazioni di massa, tipiche del mondo nel quale consumiamo la nostra esistenza? Forse ritornando al dubbio sistematico, quel dubbio che già Cartesio aveva introdotto come metodo di apprendimento. O andando alla riscoperta di esperienze consolidate che ancora oggi ci possono fornire esempi innovativi, in grado di illuminare i difficili sentieri del sapere.
Ogni giorno interagiamo con l'ambiente e ne utilizziamo le risorse. Ma ogni comportamento, ogni azione, lascia un segno, determina una modificazione che pone le basi di quello che accadrà. Nel presente scriviamo il futuro, e sono in tanti a sostenere che, data la nostra attuale condotta, siamo ormai prossimi a quel punto critico in cui lo squilibrio biologico e climatico del pianeta produrrà cambiamenti tali da compromettere radicalmente la vita e la coesistenza pacifica degli esseri umani sulla terra. Infatti, non si tratterà soltanto di eventi calamitosi circoscritti, ma di una catastrofe globale che determinerà spostamenti di intere comunità e guerre per il controllo delle risorse ancora disponibili. "Domani" è il racconto di un viaggio: un viaggio nel mondo di oggi, là dove esistono iniziative e progetti, ricercatori e gente di buona volontà al lavoro per modificare da subito il corso delle cose. Dall'Islanda a San Francisco, da Copenaghen all'isola della Riunione, Dion ha percorso il mondo per parlare a coloro che operano in modo creativo e innovativo nei settori più disparati - agricolo, energetico, economico, politico, architettonico e urbanistico e dell'istruzione. Il risultato è un mosaico di piccole grandi storie che hanno spesso per protagoniste persone comuni e che ci aiutano a comprendere i problemi e le sfide da affrontare, indicandoci la strada da seguire per cambiare il nostro domani.
Chi è, oggi, il vero barbaro? È colui che insidia e minaccia la nostra civiltà? È l'altro da noi, è il diverso, è lo straniero? O l'autentica barbarie si annida, oggi più che mai, in questo nostro Occidente che reca anche nel nome l'annuncio del tramonto? Per i Greci, barbaros è in origine "colui le cui parole somigliano a un balbettio": è colui la cui lingua non si comprende. Servono secoli di propaganda perché il barbaro divenga, nell'immaginario collettivo, l'opposto del presunto uomo civile, il nemico contro cui condurre presunte "guerre di civiltà". O, peggio, "di pace". Più che mai attuali, dunque, le parole di un antico "barbaro" oppositore dell'imperialismo romano, di cui serba memoria Tacito: "il massacro e la rapina li chiamano 'impero', e dove fanno il deserto, la chiamano 'pace'". Più che mai attuali le accuse che i barbari Troiani, per voce di Euripide, rivolgono contro i Greci: "siete voi i veri barbari". Forse noi, non "barbari" ma malati di civiltà, siamo tornati nostro malgrado all'etimo del termine "barbarie": siamo barbari perché la nostra lingua non si comprende più; perché le nostre parole non rivelano ma nascondono la realtà. Testi di Massimo Cacciari, Franco Cardini, Adriana Cavarero, Sergio Givone, Valerio Magrelli, Stefano Rodotà.

