
Maestosa e imponente, nulla eguaglia la vista di una montagna all'orizzonte. In tutta la storia dell'umanità le montagne sono sempre state collegate con l'eterno, ci attraggono con le altezze vertiginose, ci sorprendono per la loro bellezza, e spesso sono per noi fonte di pericolo. Attraverso un viaggio avvincente verso vette sia reali sia immaginarie, questo libro esplora cosa la montagna rappresenti nella nostra storia, cultura e immaginazione. Veronica della Dora racconta i diversi modi in cui le montagne hanno funzionato spiritualmente come confine tra la vita e la morte, come ponte fra terra e cielo. Intrecciando scienza, cultura e religione, l'autrice sottolinea come la montagna sia un fenomeno geologico che ha profondamente influenzato l'immaginazione umana, plasmando la nostra coscienza ambientale e aiutandoci a comprendere il nostro, davvero piccolo, posto nel mondo. L'autrice esplora inoltre il loro significato in quanto oggetto di prodezze umane, premio di avventura e sport, e luogo di serena bellezza per i vacanzieri.
Il libro a più autori, reca anche un lungo pezzo inedito di Ivan Della Mea. Un libro che è anzitutto espressione di affetto per un uomo che con le sue canzoni, i suoi scritti e la sua presenza è riuscito ad interrogare e far comunicare tra loro mondi diversi che, nella triste Italia di questi anni, a malapena considerano l’esistenza l’uno dell’altro.
Essere ebrei, oggi Che cosa significa essere ebrei, oggi? Chi si definisce ebreo? Come si manifesta l'identificazione ebraica individuale e collettiva, attraverso quali contenuti? In una prospettiva storica, prima dell'emancipazione in Europa, un individuo identificato come ebreo per via della religione veniva solitamente identificato come tale anche attraverso l'etnia o la lingua, il luogo di residenza, il lavoro svolto e altro ancora. Questo rafforzava la separazione tra ebrei e non-ebrei. Oggi però le cose sono cambiate e stanno cambiando. Emerge un'identità ebraica contemporanea in cui la religione gioca un ruolo importante ma non predominante, in particolare in Israele, e nella quale i giovani millennials, soprattutto statunitensi, hanno posizioni molto critiche nei confronti del governo israeliano. A partire da una grande inchiesta condotta in Israele, Stati Uniti, Europa Italia, Sergio Della Pergola va al cuore di uno dei temi del nostro presente e ci aiuta comprendere davvero l'epoca che stiamo vivendo.
Come può il Sessantotto aiutarci a pensare e ad agire nel 2018? L'anno ribelle capitava in un momento di crescita economica e di espansione del benessere comune. Da allora il mondo è cambiato. Oggi, dopo una crisi finanziaria che ha colpito tutto l'Occidente e di fronte a una pericolosa degenerazione del discorso pubblico, alcuni aspetti di quella rivolta ritornano però attuali. Questo libro non celebra quell'anno, ma ne misura la memoria nella politica contemporanea, nei suoi temi e nei suoi conflitti. La memoria, la crisi e la trasformazione sono le lenti attraverso le quali i grandi pensatori del nostro tempo pesano il lascito del passato nel presente. Nel cinquantesimo anniversario dell'anno della rivolta il Sessantotto esiste infatti come eredità simbolica nei movimenti della politica europea e globale. "Anziché riconsiderare gli effetti dell'anno ribelle, questo volume affronta la sua presenza negli anni dieci di questo secolo, partendo dalla convinzione che la memoria di quegli eventi possa sembrare oggi più vicina." Di quelle vicende che cosa ricordiamo? Ma soprattutto, che cosa abbiamo rimosso? A queste domande rispondono intellettuali e politici da tutto il mondo, da Colin Crouch a Pablo Iglesias, in un dialogo sulle debolezze ma anche sulle opportunità per la sinistra, sulla base sociale necessaria a costruire un discorso politico inclusivo e sulla ricerca di identità collettive.
La prima parte ripercorre il dibattito sul potere di comunità. La seconda parte affronta il tema della cultura civica e approda alla specificità del caso italiano. Nell'ultima parte sono presentati protagonisti e fenomeni distintivi della politica locale: i partiti e i movimenti sociali nel rapporto, spesso conflittuale, tra centro e periferia; il clientelismo, le istituzioni locali; le politiche pubbliche decentrate.
I partiti politici sono considerati attori fondamentali nelle democrazie rappresentative. E tuttavia da tempo l'evoluzione della loro struttura organizzativa e del loro funzionamento desta numerosi interrogativi. Dopo aver mostrato con efficacia come siano mutate storicamente strutture e funzioni dei partiti, l'autrice li sottopone a una sorta di check-up per quanto riguarda una costellazione di problemi: burocratizzazione, rappresentatività rispetto ad appartenenze ideologiche e fratture sociali, competizione nei diversi sistemi di partito, mediatizzazione della politica, governo di partito, costruzione delle identità collettive.
La breve stagione di Mani Pulite non ha scardinato il vecchio equilibrio ad alta densità di corruzione che si era andato consolidando nella gestione italiana della cosa pubblica. Cos'è rimasto della "rivoluzione dei giudici", che tante speranze aveva suscitato nella prima metà degli anni Novanta? Mentre da tempo il problema della corruzione in Italia non è più all'ordine del giorno, negli ultimi anni una lunga serie di episodi di micro-corruzione e clamorosi scandali politici e finanziari hanno segnalato una chiara linea di continuità con le vicende svelate da Mani Pulite. In questo volume, somiglianze e differenze tra vecchia e nuova corruzione vengono evidenziate a partire da una ricerca empirica basata su materiale giudiziario, relazioni di commissioni parlamentari e authorities pubbliche, oltre che sulla sistematica rassegna della stampa. L'analisi si concentra sui meccanismi della corruzione, sulle loro attuali trasformazioni rispetto al passato, sul rafforzato intreccio tra politica ed economia che sta caratterizzando la nuova fase istituzionale.
Il 5 settembre 1996, sul Foglio, Mauro della Porta Raffo elegantemente pignoleggiava sulle imprecisioni di Ennio Caretto e Gian Antonio Stella: da allora il suo fioretto non ha risparmiato nessuna delle grandi firme del giornalismo italiano, dalla a, come Augias, alla zeta, come Zucconi (pp. 304).
Mauro della Porta Raffo, narratore e saggista, classe 1944, svolti più o meno svogliatamente mille diversi mestieri, ha cominciato a scrivere davvero nel 1996 su sollecitazione di Giuliano Ferrara, che lo ha ribattezzato «il Gran Pignolo» per la sua curiosità onnivora, per la propensione alla cultura erudita e la precisione dimostrata. Per lo stile asciutto al servizio di un'informazione che di una notizia premia l'originalità e l'inedito, della Porta Raffo è collaboratore passato e presente di tutte le principali testate nazionali.
Ha partecipato su Rai 3 alla trasmissione E' la stampa, bellezza! ed è stato consulente al Quiz Show e a Ritorno al presente di Rai 1.
Davvero il 3 novembre 2020 sarà eletto il Presidente degli Stati Uniti d'America? Ovviamente no. In quella data verranno votati i Grandi Elettori che il 14 del seguente dicembre effettivamente eleggeranno il Capo dello Stato USA. Ciò considerato, gli States sono la massima rappresentazione della democrazia? Un Paese nel quale i cittadini non votano direttamente per il loro Presidente ma delegano altri a farlo, lo è? È veramente il Capo dello Stato USA la persona più potente al mondo? Gerald Ford non lo pensava e ha detto che «l'unica cosa che può decidere da solo è quando andare al gabinetto!». Ma perché nel 2020 si vota il 3 novembre? E perché il Presidente verrà invece eletto il successivo 14 dicembre?

