
Noam Chomsky dedica un libro alla natura e alle conseguenze tragiche della diseguaglianza, svelando i dogmi fondamentali del neoliberismo e gettando così uno sguardo sul funzionamento del potere a livello globale. Quali sono le leggi che governano la concentrazione della ricchezza e del potere negli Stati Uniti come in tutto il mondo infestato dal turbocapitalismo? Ridurre la democrazia, scaricare i costi sui poveri e sulla classe media, distruggere la solidarietà fra le persone, manipolare le elezioni, usare la paura e il potere dello Stato per tenere a bada la "plebaglia"... Dieci principi - trattati in altrettanti capitoli - che, se non sapremo reagire, porteranno alla catastrofe ambientale e alla guerra nucleare globale. Questo libro dà seguito, ampliandone i contenuti con la collaborazione dei tre registi, al documentario "Requiem for the American Dream" (2015). Il risultato è una mappa concettuale per comprendere il funzionamento del mondo di oggi e un monito all'azione collettiva e, se necessario, alla rivolta: solo una rete di movimenti dal basso può contrastare lo strapotere economico delle élite.
Ha ancora senso oggi parlare di Palestina e Israele usando espressioni come "processo di pace", "soluzione a due Stati", "partizione"? Ha senso continuare con un vuoto dibattito politico, facendo il gioco dei sionisti e mantenendo lo status quo? Le tesi di Noam Chomsky e Ilan Pappé raccolte in questo volume ruotano attorno all'idea che i tempi siano maturi per un cambio di rotta. Indugiare sulla questione israelo-palestinese significa condannare all'oblio un'intera popolazione, perciò, secondo i due autori, bisogna denunciare la natura di paese colonizzatore di Israele, spingere la comunità internazionale a prendere una posizione ferma contro le sue politiche d'occupazione e, soprattutto, ragionare in funzione di un unico Stato multietnico, dove palestinesi e israeliani possano convivere nel rispetto reciproco dei diritti umani. Si tratta di un nuovo approccio, i cui cardini scaturiscono innanzitutto dalla necessità di superare l'ipocrisia del lessico israeliano; non più "processo di pace", dunque, ma "decolonizzazione" e "cambio di regime". Come scrive Pappe, c'è bisogno di "un nuovo discorso che analizzi la realtà invece di ignorarla", perciò "se si vuole superare la paralisi concettuale impostaci dalla soluzione a due Stati, chiunque sia nelle condizioni di farlo - a qualsiasi livello - dovrebbe proporre una struttura politica, ideologica, costituzionale e socioeconomica che valga per tutti gli abitanti della Palestina, non solo dello Stato di Israele".
Due minuti a mezzanotte. È stato dopo Hiroshima e Nagasaki che un gruppo di scienziati ha creato l'Orologio dell'apocalisse, per sensibilizzare tutti su quanto gli esseri umani si possano avvicinare alla fine stessa del mondo, creando condizioni e situazioni scientificamente determinate. Solo una volta nel secondo dopoguerra, nel 1953, quando USA e URSS fecero detonare le bombe all'idrogeno, le lancette si sono avvicinate così tanto alla mezzanotte, l'ora fatale. Prima di adesso. Con la lungimiranza e l'acume che lo contraddistinguono, Noam Chomsky affronta senza mezzi termini i due pericoli che minacciano l'esistenza dell'umanità: il cambiamento climatico e la guerra nucleare. Due pericoli concretissimi, tanto incombenti quanto trascurati e peggio ancora mistificati, e che si sono fatti ancor più pressanti e solidi dopo le ultime elezioni americane, dal momento che la nuova presidenza Trump nega addirittura le incontrovertibili risultanze del cambiamento ambientale. Interventi devastanti come il fracking o la trivellazione dei fondali marini, il disboscamento selvaggio, la conversione di terreni agricoli alla produzione di biocarburanti, stanno accelerando enormemente la folle corsa verso il baratro. A essi si aggiunge l'escalation nucleare, con la differenza, sostiene Chomsky, che mentre una guerra nucleare richiede azione, per la catastrofe ambientale è sufficiente una volenterosa inazione, una silenziosa indifferenza ai molteplici segnali di allarme che la Terra ci manda.
La guida più aggiornata allo «stato del mondo» secondo il maggiore intellettuale vivente. Un fortissimo monito a lottare ancora.
Come se la passa la nostra specie alla fine degli anni Dieci? Chomsky affida a questo libro, frutto più recente della sua riflessione, le proprie idee sui temi più scottanti dell’attualità globale: la crisi dei rifugiati, l’amministrazione Trump, il terrorismo islamico e la guerra all’ISIS, le crepe nell’Unione Europea, le prospettive di una pace giusta fra Israele e Palestina, la crisi climatica, la serissima minaccia nucleare. Il quadro tracciato dal «maggiore intellettuale vivente» non è certo roseo: il capitalismo neoliberale impera, trova sempre minore resistenza nei governi nazionali e negli organismi internazionali, e si fa sempre meno scrupoli. Che fare? Non si può certo star fermi. Occorre organizzare le lotte e portarle avanti con la massima decisione possibile; mantenere, nonostante tutto, lo slancio di un inscalfibile ottimismo della volontà. Per questo, il libro del novantenne Chomsky è un libro pieno di futuro: guai a non incoraggiare l’azione politica e a non approfondire le prospettive d iun cambiamento radicale! Oggi più che mai ne va della sopravvivenza stessa di Homo sapiens.
In un dialogo appassionato, Noam Chomsky e Andre Vltchek, osservatori acuti e partecipi di ciò che accade in ogni angolo del globo, affrontano senza pregiudizi i peggiori crimini compiuti dall'Occidente dal secondo dopoguerra a oggi. Muovendosi nelle diverse aree geopolitiche, dall'Europa orientale al Sudest asiatico all'Africa al Medio Oriente al Sudamerica, il grande studioso e il giornalista d'inchiesta svelano gli interessi dell'imperialismo che sempre si celano dietro a guerre, massacri, miseria. Ma se entrambi hanno dedicato la vita alla lotta, scontrandosi continuamente con la censura dei paesi "liberi", è perché sanno anche cogliere, nello scenario desolante del mondo governato dall'Occidente, motivi di rinnovamento e di speranza in un mondo finalmente libero dal terrore e dalle sue cause.
L'Europa, i contadini, i consumatori: il movimento per la sovranità alimentare
2013, fine della Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione Europea? Molto bene, potremmo dire. Poiché, dopo tutto, i suoi danni sociali, ambientali e nei paesi del Sud forse non giustificano i 50 miliardi annui di questa politica europea. Non bisogna però dimenticare che la PAC, fondata cinquant’anni fa, aveva altri obiettivi: assicurare la sicurezza alimentare, la stabilità dei mercati e prezzi ragionevoli per i contadini come per i consumatori. Per questo occorreva attuare, a livello europeo, una regolamentazione forte dei mercati. A chi giova oggi il suo smantellamento, in un contesto di liberalizzazione dei mercati agricoli? Ai paesi esportatori più ricchi, che hanno costretto i paesi poveri a sopprimere le loro protezioni doganali, pur sostenendo con massicce sovvenzioni la propria esportazione agricola. Alle multinazionali, che ora possono rifornirsi a costi più bassi. Il 2008 e il 2009 sono stati segnati dalla crisi mondiale dei prezzi alimentari e dalle «rivolte della fame». L’Unione Europea non è forse una delle prime responsabili, trovandosi alla guida di organismi come l’OMC, la Banca Mondiale, il FMI, cantori della deregulation dei mercati agricoli? Lo smantellamento della PAC è uno dei passaggi centrali di questo gioco mortifero. Il mito neoliberista è a corto di fiato. Non può risolvere le gravi crisi planetarie che ha creato. Rifondare la PAC in favore di un’agricoltura contadina, ecologica e che offra lavoro e di una alimentazione di qualità per tutti: non è un’utopia, è una necessità, dinanzi alle crisi alimentare, ecologica ed economica. Delle alternative credibili esistono: esse implicano il rispetto del diritto alla sovranità alimentare e una regolazione internazionale degli scambi basata sulla solidarietà e la salvaguardia delle risorse naturali.
La felicità sembra essere Io scopo ultimo dell'umanità, eppure la maggior parte della gente la cerca in modo tortuoso. Vuole una casa grande e bella, un'auto costosa, abiti e gioielli, un lavoro di prestigio, tanti amici, ricchezza, potere, fama... Ma se chiedete alle persone perché desiderano queste cose, la risposta è sempre la stessa: sono convinte che se le otterranno allora saranno felici. Secondo Deepak Chopra, quello che vogliono veramente è comprendere il mistero dell'esistenza: Chi sono? Da dove vengo? Qual è il senso della mia vita? Dove andrò quando morirò? Se non diamo risposta a queste domande, per quanti desideri riusciremo ad appagare resteremo sempre scontenti e insoddisfatti, perché se la felicità che sperimentiamo nasce da circostanze esterne siamo alla mercé di ogni situazione e di ogni estraneo che incontriamo. La felicità è uno stato di consapevolezza interiore che determina il modo in cui percepiamo e sperimentiamo il mondo: esiste già dentro di noi, anche se spesso è occultata da distrazioni di vario tipo. Quando la nostra vita esprime energia positiva, scopriamo di avere un'immensa risorsa cui attingere per liberarci dalla paura e dalle limitazioni e realizzare quello che vogliamo. Comprendere ciò che siamo ci dà il potere di tradurlo in pratica, la libertà di una consapevolezza illimitata e la possibilità di vivere nella grazia.
Nella primavera del 2010 Clayton Christensen, professore di economia alla Harvard Business School, tiene un memorabile discorso di fine anno ai laureandi. Il discorso è particolarmente coinvolgente perché è al tempo stesso una profonda riflessione personale: Christensen sta infatti lottando contro una grave malattia e si è trovato a dover fare un bilancio della propria esistenza. È questo l'argomento dal quale nasce l'idea di scrivere "Fare i conti con la vita", una testimonianza intensa e appassionata sul senso delle scelte che compiamo ogni giorno e sul valore che, magari anche inconsapevolmente, diamo a ciò che facciamo. Partendo dalla constatazione che tutti noi abbiamo l'obiettivo di avere un'esistenza serena, ricca di soddisfazioni nel lavoro e nella sfera privata, ma solo pochi riescono a raggiungerlo, Christensen ipotizza che i tanti insuccessi dipendano dalla mancanza di una buona strategia nel far fronte ai problemi che di volta in volta ci si presentano e che spesso, purtroppo, ci paiono insormontabili. E se provassimo, invece, a concepire la nostra vita come quella di una grande azienda, nel cui bilancio i guadagni devono sempre e comunque superare le perdite, pena il fallimento? Forse allora ci accorgeremmo che le teorie economiche più moderne ed efficaci, che hanno consentito ad alcune società di affermarsi nel mercato globale, si possono applicare con indiscutibili vantaggi anche alle nostre piccole scelte quotidiane.
Berlino, anni Settanta, quartiere dormitorio di Gropiusstadt. Christiane F. ha dodici anni, un padre violento e una madre spesso fuori casa. Inizia a fumare hashish e a prendere Lsd, efedrina e mandrax. A quattordici anni per la prima volta si fa di eroina e comincia a prostituirsi. È l'inizio di una discesa nel gorgo della droga da cui risalirà faticosamente dopo due anni. La sua storia, raccontata ai due giornalisti del settimanale "Stern" Kai Hermann e Horst Rieck, è diventata un caso esemplare, una denuncia dell'indifferenza della nostra società verso un dramma sempre attuale. Una testimonianza cruda, la fotografia di un'epoca. Postfazione di Vittorino Andreoli.
Constantin Christomanos fu scelto da Elisabetta d'Austria - la leggendaria Sissi - nel 1891, quando in lei l'inquietudine e la malinconia si erano acuite in modo spasmodico, come lettore e insegnante di greco. E da allora annotò in "fogli di diario" la vita dell'Imperatrice. Constantin fu testimone assiduo delle sue parole, spesso straordinariamente lucide, delle sue reazioni spontanee, dei suoi momenti di abbattimento, e ha saputo restituire con precisione il timbro di questa "imperatrice della solitudine".