
Nel nostro Paese si gioca a calcio dai tempi in cui Federico Nietzsche baciò un cavallo a Torino. E, in quegli anni, una certa dose di follia e uno spirito anticonformista erano necessari anche per rincorrere in calzoncini una palla, sforzandosi di applicare le regole d'uno sport britannico chiamato association football. Quel gioco, per noi, è diventato nel tempo una faccenda maledettamente seria. Così, se si volesse eleggere un 'padre del calcio italiano' non ci si accorderà mai: il vogatore Bosio o il visionario Duca degli Abruzzi? Herbert Kilpin, il viscerale figlio del macellaio, o il compassato medico Spensley che, al peggio, imprecava in sanscrito? Per certo, furono tutti pionieri, e il gioioso contagio, originato a Torino e Genova, raggiunse ben presto ogni città del Paese, dando vita a squadre, competizioni e rivalità che ancor oggi infiammano i cuori. Ripercorrere l'infanzia del calcio comporta un viaggio emozionante ai confini del mito: qui si raccontano gli anni d'oro di Genoa, Pro Vercelli e Bologna, e i primi trionfi di Milan, Juventus e Inter. Si narra del caleidoscopio delle squadre attive a Roma, Firenze e Napoli all'alba del XX secolo, e degli esordi della Nazionale; di esotiche tournée, scissioni e disordini di piazza; di atti d'eroismo e burle indimenticabili e, ancora, di come il 'meraviglioso giuoco' sopravvisse all'inaudito massacro della Grande Guerra, per divenire fenomeno di massa nella prima, turbolenta, metà degli anni Venti...
L'autore offre in questo libro un ritratto della figura di Annibale. Influenzate dai vincitori, le fonti antiche hanno sovente trasmesso un' immagine terribile del grande cartaginese, Furia in sembiante umano. Giovanni Brizzi pone l'accento sulle qualità del condottiero e fa notare come intuizione strategica e padronanza delle concezioni tattiche più raffinate, capacità di pianificazione e rapidità di attuazione, maestria nel valutare il terreno e ascendente sulle truppe furono tutte doti presenti nella figura di Annibale, anche nell'ora della disfatta.
Comunemente ritenuto l'uomo della conservazione e della violenza, Silla non esitò in realtà a democratizzare lo Stato negli apparati e nelle modalità di funzionamento, aprendo il senato ai questori e allargandolo ai cavalieri, limitando gli arbitri, ponendo i consoli uscenti sotto il controllo dei nuovi eletti, combattendo abusi e sperperi, moralizzando - in una parola -la vita pubblica. Grande generale, tra i maggiori della Repubblica con Scipione e Cesare, egli fu l'uomo dei valori tradizionali, pronto a ritirarsi non appena compiute le sue riforme; utopico e disinteressato, il suo progetto si servì però di ogni mezzo, anche del terrore più estremo.
"Alla notizia della morte di Annibale, Scipione era stato colto da una sensazione presaga: non gli sarebbe sopravvissuto a lungo. Non gli era stato amico, il Cartaginese; era stato il più grande e il più nobile dei suoi nemici e le loro vite si erano intrecciate più e più volte, legate sempre con il filo doppio del destino, quasi che l'esistenza dell'uno traesse motivo e giustificazione da quella dell'altro." Scipione e Annibale: antagonisti, affini, speculari. Giovanni Brizzi racconta le loro vite tangenti in un saggio storico che ha il passo del romanzo.
"Alla notizia della morte di Annibale, Scipione era stato colto da una sensazione presaga: non gli sarebbe sopravvissuto a lungo. Non gli era stato amico, il Cartaginese; era stato il più grande e il più nobile dei suoi nemici e le loro vite si erano intrecciate più e più volte, legate sempre con il filo doppio del destino, quasi che l'esistenza dell'uno traesse motivo e giustificazione da quella dell'altro." Scipione e Annibale: antagonisti, affini, speculari. Giovanni Brizzi racconta le loro vite tangenti in un saggio storico che ha il passo del romanzo.
"Non rivedrò Cartagine, mai più": è l'amara riflessione di Annibale al quale Giovanni Brizzi offre la propria voce per ricostruire le tappe di una vita e di un'esperienza straordinarie. Costretto a un duro esilio in Oriente, il generale cartaginese si rivela nei suoi contraddittori aspetti: in lui convivono l'eccelso stratega e l'abile amministratore, l'uomo educato alla filosofia greca e il "mostro assetato di sangue" che considera, con animo impassibile, l'ineluttabilità della guerra, dei massacri, degli inganni più atroci. In questo volume l'autore intende dar vita a una sistematica monografia in cui la documentazione si intreccia con la vivacità rievocativa, la finezza letteraria con il fascino di un'epoca grandiosa e tragica.
Un uomo guarda, lontano, le acque dell'Ellesponto; e traccia il bilancio di un'intera esistenza. Annibale ha appena finito di redigere le sue memorie, il testamento spirituale destinato, egli spera, a sopravvivergli e a giustificarlo nell'ora in cui sente approssimarsi la fine. Il Cartaginese ripercorre così il suo passato: l'infanzia in una Cartagine ormai quasi sognata, che non rivedrà mai più; l'agonia di un leone crocifisso visto da bambino; la vocazione militare da subito evidente; l'inflessibile senso del dovere che lo ha spinto su una strada segnata fin dall'inizio. Ora il sogno inseguito da Annibale, nel tragitto dalla Spagna a Crotone, è svanito. Il passaggio delle Alpi, destinato a divenire leggenda, e l'iniziale succedersi di trionfi militari hanno invece rivelato la spaventosa forza di una realtà politica, quella romana, immensamente superiore alla sua Cartagine. Questa forza sta ora dilagando e minaccia di trasformare quel mondo ellenistico che il Cartaginese ama e al quale appartiene. In queste pagine, un vinto nobilissimo ripercorre, con amara sincerità, le tappe di una vita senza uguali.
Il dialogo e la comunicazione si qualificano come eventi legati all'universo vitale dell'essere e dell'agire umano. Soprattutto in educazione, comunicare significa attingere alla ricchezza espressiva della retorica, intesa come teoria dell'argomentazione persuasiva. Seguendo la partizione classica di Aristotele, sono qui esaminate alcune categorie fondative della riflessione teorico-educativa, accostando all'inventivo e all'eloquio il discorso collaborativo. Emerge così la duplice possibilità di un'educazione retorica eticamente sostenuta e di una retorica educativa orientata all'intesa, entrambe consapevoli della complessità comunicativa. In gioco è l'educazione come dialogo comunicativo
Lorenza non ha nessuna intenzione di comprare le merendine al figlio Matteo. Lui urla, strepita e si butta a terra scalciando. Che cosa fare: accontentarlo, ignorarlo a gridare più forte di lui? Qualunque soluzione sembra sbagliata, soprattutto perché la mamma non capisce che cosa ha scatenato questa reazione esagerata. Le sfuriate dei bambini sono un problema sempre più diffuso, che lascia spesso i genitori in preda ai sensi di colpa, disorientati e impotenti. Tante sono le possibili cause - un'educazione troppo severa a permissiva, eventi traumatici, cambiamenti improvvisi, stress, tensioni famigliari, modelli comportamentali contraddittori - e tante le manifestazioni, che cambiano anche in base alla fascia di età, dall'irritabilità ai dispetti, dagli sbalzi d'umore ai disturbi del sonno. Mai reprimere d'autorità, spiega Francesca Broccoli, psicologa e psicoterapeuta: la rabbia è un'emozione fondamentale per lo sviluppo emotivo e sociale dei più piccoli, che sono i primi a spaventarsi per quel grumo di malessere - un mostro che li invade - e devono riuscire a comunicarlo. Ma nel modo giusto. Partendo dai casi reali incontrati nella sua esperienza e nei suoi corsi, Francesca Broccoli mostra come interpretare i segnali dei bambini e capire le ragioni del loro disagio, dà suggerimenti pratici sulla risposta più opportuna e ci guida nel dialogo con i nostri figli, per spiegare, in un linguaggio accessibile anche a loro, a capire, conoscere e gestire la rabbia.
"Non ci sono più le mezze stagioni." Questo è un classico luogo comune, di quelli che possiamo sentire al bar o in treno. E che ogni volta ci innervosiscono. Ma i luoghi comuni che ci svela Umberto Broccoli in questo viaggio entusiasmante alla scoperta di tutte le sfumature delle passioni, dall'odio all'amore, attraverso la gelosia, la nostalgia, l'amicizia e mille altre, non sono irritanti banalità. Sono invece la prova che i secoli passano, le civiltà sorgono e tramontano, la tecnologia si evolve vertiginosamente, ma la natura umana rimane nei millenni uguale a se stessa. Per cui ci innamoriamo, tradiamo, invidiamo o rincorriamo le illusioni, oggi come nell'antichità e nel Medioevo. E così che Broccoli riesce a individuare un eterno fil rouge delle emozioni che va da Properzio a Guccini, da Umberto Saba a Hermann Hesse. La maledizione di Didone, abbandonata da Enea, per voce di Virgilio ha la stessa disperazione dell'amante tradito raccontato da Baglioni in "Quanto ti voglio". Riguardo all'amicizia, invece, c'è un comune sentire in Ennio e in Cocciante, come in Seneca e Flaiano. La lettura di queste pagine è, insieme, un serio invito a riflettere su se stessi, una scorribanda luccicante tra classici e pop, entrambi immortali, e un dolcissimo farmaco dell'anima. La quale si consola e gioisce rispecchiandosi nelle anime di ogni tempo e di ogni luogo. Prefazione di Raffaele Morelli, Nota di Franco Battiato, Postfazione di Claudio Baglioni.
Crisi finanziarie, riscaldamento globale, razzismo, criminalità e terrorismo. Guerre. Come si può essere ottimisti oggi? Eppure ci sono almeno centocinquantatré buone ragioni per esserlo.
John Brockman, l’editore dell’influente forum scientifico The Edge, ha chiesto a illustri fisici e biologi, scrittori, filosofi e artisti di rispondere a una domanda semplice e immediata: «Su cosa sei ottimista e perché?». Soffermandosi sui temi più svariati – l’educazione, la medicina, la psicologia, l’astronomia e persino la fine del mondo – 153 ragioni per essere ottimisti è un caleidoscopio di riflessioni sulla natura umana e sulla sua capacità di cambiare e migliorarsi.
Brian Greene, Jared Diamond, Richard Dawkins, Gino Segrè, Lisa Randall e tanti altri rispondono alla provocatoria domanda di Brockman e illustrano la loro visione ottimistica del mondo. Idee illuminanti scuotono il nichilismo che soffoca i nostri giorni e offrono nuove prospettive alla percezione del futuro dell’umanità.