
Beveva perle dissolte nell'aceto e mangiava cibi cosparsi d'oro, con feroce crudeltà infieriva sui senatori romani, teneva un bordello nel proprio palazzo e non si asteneva dall'avere una relazione incestuosa con la sorella. Convinto di possedere natura sovraumana, impose ai suoi contemporanei di onorarlo come un dio. Gli storici antichi hanno dato a tutto questo una spiegazione: era pazzo. Ma le cose, spiega Aloys Winterling, ordinario di Storia antica e Antropologia storica all'università di Friburgo, sono molto più complicate.
"Il grande silenzio è stato il mio primo compagno di giochi. Un abbraccio affettuoso e terribile che non mi ha mai abbandonato. Nemmeno ora. E che non mi lascerà mai. Quando la gente mi guarda, pensa che io sia come tutti gli altri, perché la sordità non ha segni evidenti, è un handicap invisibile. Così, spesso, una persona sorda viene scambiata per un qualunque udente. Non lo è affatto, però può riuscire a raggiungere gli stessi traguardi. Come ho fatto io. Con tenacia, passione, coraggio, lottando contro un mondo che a volte non mi è stato amico, contro nemici che avevo perfino in casa e cercavano di opporsi alle mie scelte e di impedirmi di inseguire i miei sogni. Ma io ce l'ho fatta. Questa è la mia storia". Roberto Wirth - proprietario dell'Hassler, l'hotel di Roma dove alloggiano celebrities di ogni parte del mondo - ci racconta in prima persona la sua straordinaria parabola esistenziale, la vita complessa di un uomo nato sordo profondo e costretto a misurarsi con i pregiudizi degli altri, a partire da quelli della sua stessa famiglia.
«Se molto è stato scritto sul rilievo religioso de Il Signore degli Anelli», attesta lo studioso Joseph Pearce nel suo Catholic Literary Giants, «meno è stato pubblicato su quello politico, e quel poco che c'è spesso è erroneo nelle conclusioni e all'oscuro circa le finalità che Tolkien si prefiggeva». Jonathan Witt e Jay W. Richards provano, con Hobbit Party, a colmare questa lacuna. In un tempo in cui molti sono preoccupati che l'Occidente stia scivolando verso una bancarotta non solo economica, ma anche morale e politica, gli autori dimostrano come Tolkien - che si descriveva come uno Hobbit «in tutto tranne che nella statura» - abbia tracciato, con le sue amate storie della Terra di Mezzo, una mappa verso la libertà. A tal fine, essi attingono alla loro combinata esperienza in letteratura, scienze politiche, economia, filosofia e teologia per descrivere la visione tolkieniana dell'uomo, creato appunto per la libertà, eppure sviabile così tanto facilmente dalla brama di potere. L'universo fantastico de Il Signore degli Anelli, del resto, non è stato creato da Tolkien per fornire ai suoi lettori una via di fuga dalla realtà. Del nostro mondo, la Terra di Mezzo è piuttosto un ritratto impressionista. Uomini, Elfi, Nani e Hobbit diventano l'occasione narrativa per mettere a fuoco alcuni dei grandi temi del nostro tempo: i limiti dello Stato; il valore della proprietà privata; il libero arbitrio e la tentazione del potere; la dottrina della guerra giusta; l'ecologia; l'amore e la morte. Hobbit Party è il nome della festa che celebra le virtù di Frodo e della Contea: la nobiltà d'animo, la verità e la bellezza.
Negli ultimi anni della sua vita Wittgenstein ha indagato a lungo e con grande intensità i cosiddetti "concetti psicologici" - dal concetto di dolore a quello di pensare -, cercando di chiarirne l'uso. Al risultato di queste indagini ha dedicato alcuni corsi a Cambridge, frequentati da studenti destinati, in alcuni casi, a diventare a loro volta filosofi. Di uno di questi, Peter T. Geach, sono gli appunti qui tradotti per la prima volta in Italia. Si tratta di appunti che ci permettono di vedere Wittgenstein all'opera e che testimoniano come per lui fare lezione equivalesse letteralmente a pensare, con le incertezze e le esitazioni, ma anche con le sorprese e le scoperte che il pensare comporta. Muovendosi tra le parole di Wittgenstein e le domande e reazioni dei suoi studenti, il lettore è introdotto nel laboratorio di un grande filosofo ed è aiutato a confrontarsi con molte questioni e interrogativi - dal problema delle altre menti alla questione del rapporto tra vedere, pensare e interpretare - che sono ancora oggi al centro del dibattito filosofico e scientifico.
Come sorge il senso del tempo? Sin dagli albori del pensiero umano ciò ha rappresentato un mistero. Negli ultimi anni però la psicologia e, in particolare, le neuroscienze hanno fatto passi da gigante nel definire e descrivere i meccanismi che regolano la nostra percezione del tempo. Nel volume - in Germania per mesi in cima alle classifiche dei libri più venduti Marc Wittmann ci racconta le frontiere più avanzate di queste ricerche senza indulgere a tecnicismi e con esempi tratti dalla vita quotidiana, nella convinzione che la nostra esperienza del tempo racconti qualcosa di noi e che il nostro senso del tempo rifletta la nostra esperienza collettiva, la nostra vita. Perché davvero il tempo siamo noi.
Abilismo è quando ti senti particolarmente figa perché hai un nuovo taglio di capelli e vai in giro sfoggiandolo con uno swishh, ma un tizio si avvicina e ti dice che «sei proprio brava a uscire di casa». Abilisti sono i film con personaggi disabili che dispensano grandi lezioni di vita a tutti, fanno sesso per la prima volta prima di schiattare e poi schiattano. Abilista è l'inquietante signora che ti fa pat pat sulla testa al supermercato. Ma è anche l'aula universitaria inaccessibile, la burocrazia infinita, l'assistenza insufficiente. Un fumetto in 8 storie che con intelligenza e ironia svela i pregiudizi e l'oppressione strutturale che circondano ogni giorno le persone disabili. Senza tralasciare qualche strategia per combatterli.
Sono gli esseri viventi più forti del nostro pianeta, quelli con la vita più lunga, eppure degli alberi sappiamo molto poco. A tratti però intuiamo che dietro quella corteccia ruvida si possano celare segreti a prima vista inaccessibili. Peter Wohlleben ci svela in questo libro i misteri più affascinanti di questi giganti: scopriamo che sono dotati di forme di comunicazione e sensibilità sorprendenti; che sono solitamente esseri prudenti, ai quali ogni forma di fretta è estranea; che gli esemplari di una stessa specie tendono ad allearsi, a difendersi l'un l'altro o a sostenere i malati (ma ciò non accade nel caso degli alberi piantati dall'uomo). E ogni specie ha caratteristiche uniche: per esempio le betulle si possono paragonare a guerriere solitarie, ma questa loro tendenza "impulsiva" ha un prezzo, limitando la loro speranza di vita a soli... 120 anni.
Non siamo nati per leggere, ma siamo dotati di un cervello straordinariamente plastico. Così apprendiamo dalla storia e dalla scienza del cervello che legge, raccontate da Maryanne Wolf in questo lucido e appassionato saggio, dove si intrecciano riferimenti a discipline diverse quali neuroscienza, linguistica, psicologia, storia e pedagogia. La lettura, mostra la Wolf, non è un'attitudine naturale dell'uomo, ma una sua invenzione, forse la più geniale, che risale a 6000 anni fa in Mesopotamia, con la scrittura cuneiforme dei Sumeri. Ottimo esempio di architettura aperta, per imparare a leggere, il cervello umano ha dovuto, e ancora oggi ogni volta deve daccapo, creare sofisticati collegamenti tra strutture e circuiti neuronali in origine preposti ad altri più basilari processi, come la vista e la lingua parlata. Il cervello riplasmato in modo nuovo dalla lettura ha così consentito la formazione di un sapere non più improntato alla ripetitività tipica delle culture orali, ma caratterizzato dall'accumulo, creativo e vertiginosamente efficace, di sempre nuove conoscenze. Al livello sia biologico sia intellettuale, la lettura permette alla specie umana di oltrepassare l'informazione già data per produrre innumerevoli e meravigliosi nuovi pensieri. La cultura così come ora la conosciamo è figlia del cervello che legge. Ma oggi, con l'avvento della cultura digitale e il suo privilegiare l'immagine rispetto alla scrittura, ci troviamo, come 6000 anni fa, nel mezzo di una transizione di portata epocale, un cambiamento di paradigma che sta riorganizzando secondo nuovi parametri il cervello delle nuove generazioni, i nativi digitali. Questo passaggio di civiltà fa sorgere domande inedite: quali perdite e guadagni riserva il domani ai tanti giovani che hanno in larga misura sostituito al libro la caleidoscopica cultura di internet, con la sua informazione sovrabbondante e la sua attenzione intermittente? La rapida, quasi istantanea, presentazione di un contenuto informativo digitale può pregiudicare il decantarsi di un sapere più profondo, che necessita di tempi più lunghi? È possibile che la capacità delle prossime generazioni di ricavare intuizioni, gioia, dolore, saggezza da un libro andrà a diminuire in misura significativa? In sintesi, la questione è se i nostri figli stanno disaffezionandosi al cuore stesso del processo della lettura: andare oltre il testo, pensando con la loro testa, per pensare a sé. Ambizioso e stimolante, avveduto e ben fondato, Proust e il calamaro fornisce strumenti preziosi per interpretare questa complessa transizione, così che quell'irrinunciabile acquisizione della specie umana che è la lettura possa integrarsi col nuovo che verrà, grazie, ancora una volta, alla prodigiosa duttilità del cervello umano.
Siamo sulla soglia di una transizione senza precedenti, che riguarda quell'incredibile conquista umana che è il cervello che legge. La riflessione sui cambiamenti indotti nella lettura dall'immersione nel mondo digitale già da qualche tempo sta impegnando gli studiosi più attenti. Ma il tassello che qui aggiunge Maryanne Wolf, che dell'analisi dei meccanismi della lettura ha fatto l'oggetto della sua attività di neuroscienziata e la passione della sua vita, è davvero originale. Anzitutto per il modo in cui ha scelto di parlarcene: sotto forma di lettere in cui si rivolge al 'Lettore' come a un amico,cercando la semplicità nelle spiegazioni scientifiche, la vicinanza del racconto personale, il calore dell'invito a riprendere il proprio posto nella casa confortevole e insieme avventurosa della lettura, dove ritrovare se stessi e gli altri. E poi per lo sguardo particolare della sua analisi, che ci mostra, grazie ai progressi delle neuroscienze, il modo in cui quel capolavoro di adattabilità che è il cervello risponde agli stimoli del mondo digitale: alterando le connessioni neuronali che aveva magistralmente costruito per la lettura su carta, profonda e intensa, e sviluppandone altre più adatte a fronteggiare la continua ed esuberante offerta di contenuti da parte degli strumenti digitali. Qual è la posta in gioco di questo cambiamento? Si guadagna di certo quanto ad aumento dell'informazione, accesso universale al sapere, sviluppo delle relazioni sociali, ma si possono irrimediabilmente perdere qualità umane fondamentali come il pensiero critico, l'immaginazione creativa, l'introspezione, l'empatia, cioè la capacità di assumere la prospettiva e le emozioni degli altri. Tutte qualità stimolate proprio dall'apprendimento della lettura profonda e che, se ci pensiamo, hanno un impatto civile e politico fortissimo: un atto 'privato' e 'solitario' come la lettura, ci sorprende Maryanne Wolf, ha implicazioni sulla vita democratica condivisa. Si tratta allora non di guardare con nostalgia al passato, ma di creare le condizioni per una nuova mente - quella dei nostri figli e dei figli dei nostri figli, il cui cervello impara a leggere proprio in quest'ambiente profondamente mutato - capace di integrare la preziosa eredità della cultura analogica con l'innovazione digitale. È tutta aperta la sfida del cambiamento. A noi il compito di orientarla, consapevoli che ne va non solo dell'intero edificio della cultura come l'abbiamo conosciuto finora, della scuola e dell'educazione, ma anche degli aspetti più profondi della stessa esperienza umana.
La nostra civiltà sembra averci portato ai limiti di una soglia finora inconcepibile con implicazioni nella sfera politica, del lavoro e dell’educazione. Ad esempio, ci ricordiamo forse del bipolarismo tra capitalismo e comunismo? Tutto è stato travolto dalle innovazioni del capitalismo globale. E di come era il livello dei nostri computer solo qualche decina di anni fa? La comunicazione, la finanza, i consumi, gli armamenti, la costruzione giovanile del comportamento…
tutto è andato cambiando in tempi rapidissimi (Stefano Fantoni)
Nel passato, nella cultura agricola, tutto avevo il suo ritmo. La semina, la crescita, il raccolto, il mungere le vacche, la preparazione dei campi… Oggi nel mondo industriale tutto dev'essere fatto più velocemente a causa della competizione e della pressione per produrre una redditività sempre maggiore. L’uomo quasi non conta più, importa solo la forza e la velocità del lavoro. Nell'industria 4.0 si cerca di sostituire l’uomo con i robot, e se il lavoro umano viene ancora richiesto, l’uomo viene ridotto alla dimensione di un robot (Notker Wolf)
Prefazione di Francesco Pederiva