
Fra le tragedie shakespeariane, "Amleto" è una delle più misteriose e ambigue; per intenderne il senso, sostiene Carl Schmitt in questo piccolo saggio magistrale, occorre far riferimento a un nucleo di eventi storici di cui Shakespeare fu spettatore, in particolare alla vicenda di Maria Stuarda e di Giacomo I, successore di Elisabetta I al trono d'Inghilterra. Ma a Schmitt non interessa tanto identificare questi con i personaggi di Amleto e della madre Gertrude, quanto vedere come la politica lasci la propria impronta sulle più alte manifestazioni espressive di un'epoca: il genio di Shakespeare sta nell'aver riconosciuto l'elemento politicamente tragico del suo tempo (il destino degli Stuart e la nascita dello Stato moderno) e nell'averne conservato, all'interno del dramma, l'essenza concreta e vitale. Presentazione di Carlo Galli.
Pubblicato per la prima volta nel 1938, questo saggio di Schmitt si presenta come una semplice ricognizione dei diversi orientamenti sul tema della guerra presenti nella letteratura giuridica inglese e francese degli anni Trenta, ma ha in realtà tutt'altre implicazioni. Oggetto delle critiche del grande giurista sono qui la Società delle Nazioni e il concetto di guerra giusta. Già all'inizio di quegli anni, si è radicata in Schmitt la convinzione che una ideologia universalistica esclude la possibilità di considerare il nemico come uno justus hostis, un nemico che può anche avere ragione. In una prospettiva ecumenica il nemico è sempre un nemico ingiusto e, di conseguenza, la guerra o è una guerra giusta contro i nemici dell'umanità, o è un'azione criminale che turba la pace. Questa ideologia universalistica di origine liberal-democratica viene indicata da Schmitt come il fondamento teorico della Società delle Nazioni, istituzione segnata dall'intima contraddizione di proporsi al contempo come organizzazione ancora costruita su base statuale e come società universale spoliticizzata che pretende di rappresentare il genere umano.
Unendo il rigore del giurista alla penetrazione del filosofo, Schmitt delinea in questo libro i tratti distintivi del combattente "irregolare", ossia di colui che si è posto al di fuori dell'inimicizia convenzionale della guerra controllata e circoscritta tra Stato e Stato per trasferirsi in un'altra dimensione, quella dell'annientamento. Muovendo dai progenitori spagnoli che combattevano contro l'invasore francese al tempo di Napoleone, l'autore illustra l'evoluzione del "guerrigliero", passando per i rivoluzionari di professione di Lenin, i partigiani della seconda guerra mondiale, i terroristi algerini, i guerriglieri vietnamiti ecc.
Chi è Carl Schmitt? Il giurista conservatore divenuto teorico del nazismo, o il filosofo che ha pensato in modo nuovo le categorie del politico? Il pensatore geniale che ha incrociato le personalità più significative del suo tempo, da Benjamin a Heidegger, da Taubes a Ernst Jünger, o il consigliere di stato opportunista, che ha cercato di dare legittimità giuridica al nazismo? Il teorico convinto del decisionismo o piuttosto, come lo definì Karl Löwith, un occasionalista incerto e privo tanto di convinzioni che di scrupoli? I testi e le interviste qui raccolti cercano di dare una risposta a queste domande, proponendo una nuova immagine di una delle personalità più discusse e attuali del pensiero politico-giuridico del xx secolo.
In questo libro, pubblicato nel 1921, Carl Schmitt mette a punto l'aspetto decisionistico del suo pensiero affrontando il nesso fra politica e diritto, fra eccezione e norma. La dittatura è infatti un istituto giuridico che mostra apertamente la sua origine politica, tanto come dittatura commissaria, in cui il dittatore ha come obiettivo la difesa extralegale di un ordinamento minacciato, quanto come dittatura sovrana, in cui il dittatore costruisce un ordine nuovo sulle macerie di un ordine distrutto. In questa seconda accezione, che equivale al potere costituente, si rivela il cuore del decisionismo. Muovendo dall'analisi della prassi dei commissari governativi fino al Settecento e della dittatura di Cromwell e del giacobinismo, Schmitt giunge a trattare il celebre articolo 48 della Costituzione di Weimar sullo stato d'emergenza, per accostarsi infine alla rivoluzione russa guidata da Lenin come a una dittatura sovrana. La presentazione di Carlo Galli contestualizza l'opera nella produzione dell'autore, mostrandone anche i tratti di tenace contemporaneità.
Dopo "La notte di fuoco", in cui ha descritto la sua esperienza mistica nel deserto dello Hoggar, Schmitt torna a quell'esperienza con questo diario di viaggio in Terra santa, un territorio dalle mille impronte. Betlemme, Nazareth, la Galilea, luoghi intensi e cosmopoliti ritratti in presa diretta mentre l'autore approfondisce la sua esperienza spirituale, le sue domande, le sue riflessioni e sensazioni, i suoi stupori fino alla sorpresa finale, a Gerusalemme, di un incredibile incontro con quello che chiama "l'incomprensibile". Un percorso concluso a Roma, centro del cristianesimo, con un colloquio privato con papa Francesco, denso di significato e di echi che perdurano in queste pagine. Con una lettera di papa Francesco all'autore.
La capacità di guardarsi negli occhi nell’era digitale è diventata un’arte in via di estinzione. Che cosa è successo alla specie umana durante gli ultimi vent’anni, cioè da quando cellulari e tablet hanno assunto un posto sempre più centrale nella nostra vita da diventare quasi indispensabili? Qual è stata la reazione educativa della Chiesa e, in particolare, della formazione alla vita consacrata a questa metamorfosi socio-tecnologica? E quale sarà il futuro della dimensione contemplativa in una società caratterizzata dai new media?
Lontano da qualunque approccio apocalittico, il libro approfondisce il tema in modo critico, differenziato e aperto, evitando di presentare solo i rischi e le apparenze del mondo virtuale. L’intento della pubblicazione e il suo tratto più originale consistono, infatti, nel presentare la comunicazione digitale in modo propositivo, educativo e capace di guardare in modo specifico alle sfide e alle opportunità per la formazione alla vita consacrata.
Sommario
Sigle e abbreviazioni. Prefazione (P. Martinelli). Nota introduttiva dei curatori.
I. La comunicazione digitale: un nuovo ambiente per la formazione. 1. La comunicazione digitale: un nuovo ambiente per la formazione alla vita consacrata (P. Riccieri). 2. Formare a un sano rapporto tra vocazione e uso dei media. Tavola rotonda. 3. I social media: una sfida crescente per la formazione alla vita consacrata
(C. Alphonse). II. Implicazioni antropologiche e psicologiche del mondo digitale. 4. Il sacro e la ricerca di senso nell’era dei social network. Un approccio di psicopedagogia culturale (M. Pollo). 5. Vita consacrata in una società liquida: quale costruzione dell’identità umana e spirituale? (T. Cantelmi). 6. Diagnosi e terapia della dipendenza da internet (A.R. Colasanti). III. Ripensare la formazione spirituale nell’era digitale.
7. «Ecco, ho aperto davanti a te una porta…» (Ap 3,8). Esperienza spirituale nell’era digitale: riflessioni teologiche, ecclesiologiche, antropologiche (B. Secondin). 8. «Respondet». L’attinenza fra mondo digitale e spiritualità (J. Freyer). 9. Conclusioni. Vocazione e connessione digitale. Sfide e opportunità formative (C.M. Zanotti). Bibliografia essenziale.
Note sui curatori
Albert Schmucki, frate minore, è professore aggiunto di Psicopedagogia della vita spirituale all’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum, del quale è vice-preside con l’incarico di moderatore del Master in formazione. È docente anche all’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana. Per EDB ha pubblicato saggi in volumi e ha curato Formazione francescana oggi. Corso di teologia spirituale 11 (2012) e, con Paolo Martinelli, Fedeltà e perseveranza vocazionale in una cultura del provvisorio. Modelli di lettura e proposte formative (2014).
Donatella Forlani è professore invitato all’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia Università Antonianum. Insegna anche all’Istituto superiore per formatori collegato all’Istituto di psicologia della Pontificia Università Gregoriana
Con ritratti bizzarri e senza censure, da William Shakespeare a Thomas Pynchon, "Vite segrete dei grandi scrittori" risponde alle domande più spinose, quelle che i vostri insegnanti avevano il terrore di affrontare: cosa combinava Lewis Carroll con le ragazzine? J.D. Salinger beveva davvero la sua pipì? Quante donne - e uomini - si è portato a letto Lord Byron? Che rapporto aveva Jean-Paul Sartre con la mescalina?
Negli anni cruciali del dopoguerra, la giovane Helga Schneider cerca il suo posto nel mondo. È andata via dalla casa di suo padre e viaggia per l'Europa, guidata da una sola certezza: la vita che l'aspetta sarà sempre comunque migliore di quella che ha lasciato. E infatti i vent'anni di Helga, pur tra le difficoltà della ricostruzione e la conquista della normalità, sono pieni di leggerezza, tenacia e desiderio, parlano con la voce di una ragazza che ha voglia di mettersi in gioco, di essere indipendente e di realizzare il suo sogno più importante. Salisburgo, Vienna, Parigi, l'Italia sono i teatri delle sue esperienze; l'amore, il tradimento, la delusione, l'entusiasmo, la fatica di guadagnarsi da vivere e la passione per la scrittura, tutto si mescola in questo memoir dove Helga Schneider racconta se stessa con l'ebbrezza di chi si abbandona alla narrazione per la prima volta, ed è in grado quindi di trascinare chi ascolta, contagiare chi legge con il proprio vissuto unico e universale insieme.
"La paziente lettura di questo testo, come in genere accade con Schneider, riserva continue lezioni critiche e metodologiche, precisazioni minuziose, osservazioni e nozioni cliniche di primaria importanza. L'evidente distanza dalla letteratura attuale sui disturbi di personalità ha "come effetto collaterale", quello di farci comprendere quanto il sapere psichiatrico sia influenzato storicamente e socialmente e come i mutamenti che apporta lo scorrere del tempo non sempre possano essere identificati, in psichiatria, come progressi. Del resto, come afferma lo stesso Schneider nella sua prefazione, "una scienza che non conosce la propria storia, non comprende se stessa". (Dalla prefazione di Riccardo Dalle Luche e Giampaolo Di Piazza).