
Questi ultimi anni hanno visto il dibattito critico sulla psicoanalisi immiserirsi rispetto ai decenni precedenti. Si sta correndo il rischio di liquidare i veri problemi da risolvere con formule apodittiche e ultimative, di bloccare lo scambio dialettico con la sua funzione costruttiva, soprattutto da parte di critici improvvisati. L'autore si dice convinto che chi difende l'opera e la personalità di Freud anche dalle critiche corrette rivela una mancanza di fiducia nella sua capacità di superare il giudizio della storia. Solo intaccando il mito che si è andato costruendo intorno alla sua persona Freud può emergere autenticamente come una delle figure centrali del dibattito scientifico del ventesimo secolo.
Una biografia su Freud. Nessuna biografia di Freud era a tutt'oggi riuscita a gettare uno sguardo così poco ortodosso e altrettanto penetrante sull'uomo Freud. Questo libro, che si legge come un romanzo, il romanzo di una delle più belle epopee intellettuali del XX secolo, costituisce un evento di capitale importanza per la letteratura psicoanalitica.
Lo psichiatra che più di tutti ha esplorato e descritto le contraddizioni del mondo moderno affronta una nuova sfida: un «viaggio immaginario nella testa di Freud». Vittorino Andreoli ci riporta nella Vienna di fine Ottocento, per poi attraversare il Novecento e arrivare ai giorni nostri, alla ricerca delle radici di concetti e riflessioni che hanno profondamente influenzato il nostro modo di guardare alla storia dell'uomo e del suo comportamento. Con il tono della divulgazione scientifica, le vicende del padre della psicoanalisi vengono ripercorse in sette tappe: dai fondamenti della teoria - psiche, sessualità, inconscio, rimozione, complesso di Edipo, libere associazioni -, ai pilastri della tecnica psicoanalitica, dai sogni ai casi specifici, dal transfert alle critiche, iniziali e più recenti, fino al rapporto con la psichiatria e al tentativo di individuare quel che resta della sua eredità e cosa invece si può serenamente abbandonare. Nella consapevolezza che, per quanto il risultato dell'indagine porti a dubbi fondati, si tratta di una figura cardine della cultura moderna: «Non so quante guarigioni si possano attribuire alla psicoanalisi freudiana, non so se Dora sia stata felice dopo l'analisi, ma certo, al di là dei risultati terapeutici, Freud ha offerto un'idea capace di sconvolgere il modo di pensare di un'epoca».
Avrebbe mai potuto Friedrich Nietzsche, il filosofo più influente nella contemporaneità, fare un'altra filosofia? Il Nietzsche dei manuali viene improvvidamente riassunto in formule, come se il superuomo, la volontà di potenza e l'eterno ritorno fossero concetti inequivocabili. In realtà il senso di quelle formule, esposto alle più diverse interpretazioni, rimane tutt'altro che trasparente e profondamente enigmatico. Contro il Nietzsche citato a vanvera, pronto a sostenere qualunque tesi, questo libro si domanda: e se invece Nietzsche non sostenesse alcuna tesi? Se il suo pensiero fosse per l'appunto l'esempio di un pensiero sperimentante, antidogmatico, antifanatico? E se ciò fosse dovuto innanzitutto al tratto estetico che lo caratterizza? L'ipotesi sconcertante e liberatoria che propone Susanna Mati, dunque, è che si debba congedare l'immagine del Nietzsche pensatore oracolare e soprattutto dottrinale. Infatti la filosofia intesa in questo senso, cioè come quell'antica forma di aspirazione al sapere connotata da un rapporto di possesso con la verità, è finita. Perciò l'opera di Nietzsche mira piuttosto a produrre un effetto estetico, come lo definisce Susanna Mati, quasi fosse una sorta di operazione artistica svolta sull'intero corpo della filosofia occidentale, qualcosa che chiede di essere attraversato e lasciato alle spalle, concludendosi in un grande, definitivo naufragio. Un libro strutturato secondo la forma del labirinto, che si confronta con i molteplici volti del grande filosofo, perché essere nietzschiani oggi significa smascherare anche il maestro che ci ha insegnato le virtù psicologiche dello smascheramento.
«Se l'Europa è una fortezza, e per molti una prigione, l'Italia può essere peggio di un incubo: può essere un brutto risveglio. Qualcosa da cui non puoi uscire. Una cintura militare fatta di armi, diritti negati, omicidio, carcere, tortura, disegna i confini attuali di tutta l'Europa, quelli che devono garantire il benessere di chi è all'interno. Questa è l'Europa. L'importante è che il meccanismo non sia troppo vistoso. L'importante è che tutto sia fatto prima che il nostro sguardo li intercetti. La frontiera non è più un luogo: è una colpa, una condanna, qualcosa che chi ha avuto la sfortuna di incontrare non si toglierà mai più di dosso».
Un libro coraggioso e provocatorio sulle violazioni dei diritti a danno di migliaia di migranti, storie di donne e uomini respinti da un continente intero. Donne e uomini a cui si nega accoglienza, su cui si spara alle frontiere d'Europa, donne e uomini rimpatriati in base ad accordi bilaterali poco trasparenti e spesso riconsegnati alle tragedie e ai carnefici a cui tentavano di sfuggire, donne e uomini a cui viene rifiutato lo status di rifugiati o anche solo la possibilità di avere un lavoro e una casa. Donne e uomini le cui vite dannate segnano la fine ingloriosa di una civiltà giuridica, quella delineata nei trattati internazionali, come la Convenzione di Ginevra o la Carta dei Diritti dell'Uomo, con cui il nostro mondo tentava di darsi un profilo migliore dopo le guerre mondiali.
Insieme, in queste pagine, troveremo i dati del primo rapporto complessivo sul tema del diritto d'asilo in Europa commissionato da Caritas e Fondazione Migrantes, i dati delle istituzioni internazionali e delle organizzazioni non governative, l'operato dell'agenzia Frontex, le fonti del diritto internazionale, un glossario, un vademecum di buone pratiche, un vero e proprio manuale per ottenere il rifugio politico o per dare aiuto a chi richiede asilo e una rassegna degli accordi bilaterali tra gli Stati per la riammissione dei migranti.
L’Amazzonia non è un mondo altro, lontano ed esotico. È lo specchio del nostro. Ed è una questione di vita o di morte. Nostra, loro, di tutti.
Oro, petrolio, rame, legname, coltivazioni intensive. Le sfavillanti ricchezze dell’Amazzonia oggi sembrano assumere i colori tetri della sua rovina. Lo sfruttamento dei beni naturali in quell’area del pianeta causa una spoliazione drammatica delle sue risorse che interessa – letteralmente – tutto il mondo: ogni cinque bicchieri d’acqua che beviamo, uno viene dall’Amazzonia. Ma questa non è solo una questione ecologica: i drammi sociali generati da tale abuso selvaggio stanno sconvolgendo popolazioni indifese, lasciate in balia della legge del più forte. Lucia Capuzzi e Stefania Falasca, giornaliste che non si rassegnano al sentito dire, hanno seguito il corso del Rio delle Amazzoni. E qui raccontano la terra amazzonica e i popoli che vi abitano tramite un prisma di situazioni-limite, ad esempio lo sfruttamento selvaggio delle miniere di rame nella Cordillera ecuadoriana e i traffici di legname che grondano sangue sulla Triple frontera tra Colombia, Brasile e Perù. Danno voce a chi resiste alla forza dell’agrobusiness in Brasile e prestano ascolto agli indios che rifiutano di abiurare al proprio stile di vita. Il racconto delle ferite dell’Amazzonia odierna, che troviamo in queste pagine, è illuminato dalle storie delle tante persone che ogni giorno lottano perché la bellezza di quella terra e la dignità di quelle genti restino vive e continuino a parlarci.
«I reportage di Lucia Capuzzi e Stefania Falasca con coraggio ci fanno entrare dentro ai progetti di colonizzazione dell’Amazzonia animati dallo spirito di dominio e di rapina: venire a sfruttare, per poi andarsene con le valigie piene» card. Cláudio Hummes
In un mondo segnato da aspiranti potenze impegnate nella competizione per l’egemonia, vale la pena tornare a interrogarsi, oggi, sui meccanismi di ridefinizione violenta di confini, sfere di interesse e influenza, gerarchie postcoloniali e retaggi imperiali.
La guerra in Ucraina segna in profondità non solo le dinamiche regionali, ma anche le relazioni internazionali. Scrivendo nel vivo delle offensive militari, a sei mesi dall’inizio dell’invasione russa, l’autore sviluppa un’analisi del conflitto come guerra di frontiera per l’ordine internazionale, intervenendo nel dibattito su cause, effetti e sfide. Il libro getta luce sulla dimensione ideologica della razionalità geopolitica, soffermandosi sul potere strutturante della violenza bellica e sulle sottostanti tensioni fra sovranità, nazionalismi ed ambizioni neoimperiali. In un quadro internazionale segnato da crescente competizione geostrategica, che sembra relegare la pace a tema latente, Frontiera Ucraina esplora criticamente la genealogia e i profili di escalation di un conflitto nel quale l’invasore è un regime-potenza nucleare che, avendo sbagliato i calcoli, ritiene di poter esistere solo se mostra determinazione nell’assumersi grandi rischi.
Francesco Strazzari è professore di Relazioni internazionali alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Insegna anche presso la Scuola Normale Superiore e la Johns Hopkins University. Con il Mulino ha pubblicato «Notte balcanica» (2008) e, insieme a Marina Calculli, «Terrore sovrano» (2017). Presente sui media, è editor del blog Security Praxis e collabora con diverse reti di attivismo transnazionale.
La caduta del muro di Berlino, simbolo dell'ordine bipolare sorto dalla seconda guerra mondiale, sembrò inaugurare una stagione in cui sarebbero venute meno molte altre frontiere, insieme alla liberalizzazione e integrazione dei mercati, la creazione di vaste zone di libero scambio, la nascita di una nuova unione politica e monetaria. Solo trent'anni dopo quella tendenza appare invertita e si assiste a una rivalutazione di confini e frontiere, a un'espansione del loro numero e persino alla loro reintroduzione là dove, come in Europa, erano state virtualmente abolite. Un illusorio ritorno di fiamma della sovranità nazionale, un fenomeno controtempo o la rivincita del peso della storia e del potere del luogo? Il fatto che le frontiere siano tornate di attualità, ci avverte l'autore nella sua analisi delle più pericolose linee di faglia che si sono aperte nel mondo contemporaneo, non significa però che esse corrispondano a ciò di cui l'attualità avrebbe bisogno.
Millenni di vita in ambienti ostili e di lotta per la sopravvivenza hanno plasmato un uomo proiettato verso l'accaparrare risorse, soprattutto dalla natura. Ma oggi, nei tempi di crisi che stiamo vivendo, una parola un po' desueta sembra trovare un nuovo senso e una nuova pregnanza. Frugalità è la scelta consapevole di chi sa che non si può continuare a consumare il mondo che ci circonda con i ritmi degli ultimi decenni. Non significa tornare a un edenico quanto irreale passato, ma abitare il presente e proiettarsi nel futuro facendo i giusti investimenti e puntando su ambiente, educazione, ricerca, arte, scienza.