
Da mezzo secolo l'Europa «pianifica» con i paesi della Lega Araba la fusione delle due sponde del Mediterraneo in un nuovo, mostruoso agglomerato che Bat Ye'or ha suggestivamente denominato «Eurabia» (un'espressione subito fatta propria da Oriana Fallaci). Questo progetto, perseguito con coerenza attraverso il cosiddetto «Dialogo Euro-Arabo» ha portato alla graduale, ma inesorabile trasformazione del continente europeo in un ibrido asservito alle esigenze politiche e agli standard culturali del mondo arabo. Tutto ha avuto inizio con la crisi petrolifera del 1973 e con l'ambizioso progetto, soprattutto francese, di costruire un asse geopolitico e ideologico alternativo a quello americano e atlantico. In un arco di tempo relativamente breve l'Europa ha sacrificato la sua indipendenza politica, oltre che i suoi valori culturali e spirituali, in cambio di garanzie (in gran parte illusorie) contro il terrorismo e di qualche vantaggio economico. L'autrice ricostruisce le attività e gli strumenti che hanno prodotto questa folle deriva, dagli anni del pieno funzionamento del dialogo euro-arabo alle perverse scelte sul piano della politica estera (adozione di un'ideologia antisemita e antisionista, demonizzazione di Israele e degli USA, sdoganamento del terrorismo islamico e di Arafat). E naturalmente ne individua i molti responsabili politici, culturali e religiosi. Il bilancio è drammatico. Questa politica ha condotto (e conduce) alla mancata integrazione degli immigrati musulmani, al proliferare di cellule terroriste islamiche in tutto il continente, al ripudio da parte dell'Europa delle sue radici ebraico-cristiane e al conseguente stravolgimento della sua identità culturale, religiosa ed etica. Per altro, come scrive Bat Ye'or nella nuova introduzione, «per il momento non si vede alcun vero sforzo di riforma da parte delle autorità ufficiali musulmane. L'Occidente ha i mezzi non militari per esigere chiarimenti, ma avrà il coraggio di farlo?». Con un nuovo saggio introduttivo dell'autrice.
EurHope. Un sogno per l'Europa, un impegno per tutti: Il volume è un contributo a più voci nato dalla collaborazione tra Focsiv, Caritas Italiana, Missio e Istituto Toniolo, con la prefazione di Beatrice Covassi. Racconta l'Europa della speranza, non della paura. L'Europa dell'Evangelii gaudium e della solidarietà. EurHope è un esercizio di cittadinanza, uno strumento non solo per capire e comprendere le istituzioni europee, ma anche per conoscerne i valori fondanti, rileggerne la storia, analizzarne le politiche, disegnarne, insieme, pagine nuove. EurHope è l'Europa da riscoprire, un patrimonio spirituale e culturale che può ancora sorprendere e appassionare le giovani generazioni del nostro continente. EurHope è un impegno concreto per l'Europa che vogliamo. Un sogno da realizzare insieme.
Sono i più pagati di tutti. Specialisti in trucchetti, impareggiabili nell'arte della cresta. Con un calendario lavorativo per nulla oneroso, dovrebbero baciare il proprio scranno: invece sono fantasmi, di gran lunga i più assenteisti. Orgogliosi esponenti del "du iù spic inglisc", ignorano tranne isolate eccezioni - le lingue straniere, e così riescono a combinare poco o nulla con i colleghi di altre nazioni. E mentre gli altri restano fedeli al mandato, i nostri sono celebri per le transumanze (alcuni hanno cambiato perfino quattro gruppi in una sola legislatura), e appena possono optano per la diserzione. La metà di loro se n'è andata prima della scadenza della legislatura. Inaffidabili, traducono a Strasburgo e Bruxelles. E per di più, spesso, collezionisti di gaffes. È la fotografia dei nostri europarlamentari. Una fotografia assolutamente documentata, grandangolo puntato sullo spicchio tricolore di un'istituzione in cui dagli altri paesi si inviano ingegneri, giuristi, scienziati, mentre noi preferiamo soubrettes, politici bolliti, eterni ripescati. Per fare dell'europarlamento un palcoscenico su cui riproporre il teatrino italiano. Dopo un'attenta disamina, se l'Europa non ci capisce, l'Europa condanna, l'Europa non ci ascolta, se l'Italia fatica a incidere là dove si decide il suo futuro, non c'è che una spiegazione: è colpa nostra.
Difficile definire questa stagione segnata da storie minori e rimozioni. Un paio di decenni fa ciò era più facile: Yalta delineava un quadro in cui orientarsi. Oggi le cose si sono complicate. È crollato il vecchio ordine internazionale e
quello nuovo è in fase di faticosa gestazione. Questa percezione del passaggio d’epoca è essenziale per parlare oggi dell’Europa. E ci obbliga a pensare europeo. L’Europa che verrà è un’Europa oltre se stessa. Non soltanto parlamenti e tribunali, ma cattedrali, sinagoghe e moschee. Non più tedeschi, francesi e italiani, ma meticci di un mondo in progress. Tappa del mondo che verrà. Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli lo avevano previsto. Papa Wojtyla, i cardinali Martini e Tettamanzi hanno affrontato e arricchito il tema. Bruxelles sembra sonnecchiare in panchina mentre è in corso la partita tra Americani e Cinesi. Ma il sogno europeo può continuare se l’Europa si sveglia ed entra in campo. «L’Italia ha bisogno di vivere e di promuovere gli ideali che hanno animato l’impegno dei padri fondatori dell’Europa unita. E sono, questi, gli ideali della pace, della fraternità, della solidarietà concreta e generosa, della condivisione di risorse e progetti. Essi trovano il loro fondamento e il loro significato più autentico in quelle radici cristiane che hanno, nei secoli, plasmato i popoli dell’Europa», dalla presentazione del cardinale Dionigi Tettamanzi.
Giovanni Bianchi si è laureato in Scienze politiche presso l’Università Cattolica di Milano. Ha insegnato filosofia e storia. È stato presidente regionale delle ACLI e, dal 1987 al 1994, presidente nazionale. Dal 1994 al 2006 è stato deputato al Parlamento. Relatore della Legge per la remissione del debito ai Paesi poveri, ha presieduto il Comitato permanente della Camera dei Deputati per gli Italiani all’estero. È presidente e fondatore dei Circoli Dossetti, centri di cultura e formazione politica. Dal 2004 è presidente del CESPI (Centro Studi Problemi Internazionali). La sua attività di scrittore ha trovato espressione spaziando attraverso diversi ambiti (narrativa, poesia, saggistica...), sia in riviste (Animazione sociale, Rocca, Bailamme...) che in di volumi, tra i quali: Per una teologia del lavoro (1985); Al Dio feriale. Teologia minima (1990); L’idea popolare (2003); Testimoni e maestri. Materiali per un laburismo cristiano (2005); Martini “politico” e la laicità dei cristiani (2007); Solo la sinistra va in Paradiso (2009).
Per l'Europa il 2009 è stato per tanti versi un anno chiave, soprattutto perché ha portato a conclusione il processo di ratifica e di prima attuazione del Trattato di Lisbona. Dopo le tensioni per le resistenze ceche e polacche alla firma del Trattato e l'incognita del secondo referendum irlandese per l'adesione di quel paese, proprio in chiusura d'anno si è avuto il varo delle due attese novità ai vertici della Ue: il presidente stabile e l'Alto Rappresentante per la politica estera. Non è stata quella che si dice una festa: le nomine sono apparse alla quasi totalità dell'opinione pubblica europea deboli, soprattutto nel quadro di una sensibile flessione della partecipazione dei cittadini dell'Europa a 27 alle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Bruxelles-Strasburgo in giugno. Come ogni anno il volume del "Centro Studi per il Progetto Europeo" di Bologna, che cura il sito www.europressresearch.eu, fa una accurata analisi delle tendenze della grande stampa di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Austria, Belgio e Russia, ripercorrendo i dibattiti e le polemiche che hanno percorso quelle opinioni pubbliche in un periodo denso di tensioni (si pensi anche solo alla grande crisi economico-finanziaria della prima metà dell'anno). Accompagna queste analisi la mappatura di alcune grandi questioni che hanno occupato il centro della scena: dalla politica estera (è stato l'anno di Obama) al dibattito sulle questioni climatiche, dall'esito delle elezioni europee ai nuovi equilibri al vertice dell'Unione.
Paolo Pombeni, insegna Storia dei sistemi politici europei e Storia dell'ordine internazionale nella Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Bologna ed è direttore dell'Istituto di Studi avanzati di quell'Ateneo. E' editorialista del quotidiano "Il Messaggero" e membro della direzione di "Ricerche di Storia Politica" e dell'editorial board del "Journal of Political Ideologies". Con Il Mulino ha pubblicato, tra l'altro, "Il primo De Gasperi. La formazione di un leader politico" (2007) e "La ragione e la passione. Le forme della politica nell'Europa contemporanea" (2010) e ha diretto l'edizione critica degli "Scritti e discorsi politici" di Alcide De Gasperi (2005-2009). Ha curato, con G. Consorte, "Democrazia sociale. Il riformismo europeo e l'anomalia del caso italiano" (Cedam 2010).
L'Europa, i contadini, i consumatori: il movimento per la sovranità alimentare
2013, fine della Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione Europea? Molto bene, potremmo dire. Poiché, dopo tutto, i suoi danni sociali, ambientali e nei paesi del Sud forse non giustificano i 50 miliardi annui di questa politica europea. Non bisogna però dimenticare che la PAC, fondata cinquant’anni fa, aveva altri obiettivi: assicurare la sicurezza alimentare, la stabilità dei mercati e prezzi ragionevoli per i contadini come per i consumatori. Per questo occorreva attuare, a livello europeo, una regolamentazione forte dei mercati. A chi giova oggi il suo smantellamento, in un contesto di liberalizzazione dei mercati agricoli? Ai paesi esportatori più ricchi, che hanno costretto i paesi poveri a sopprimere le loro protezioni doganali, pur sostenendo con massicce sovvenzioni la propria esportazione agricola. Alle multinazionali, che ora possono rifornirsi a costi più bassi. Il 2008 e il 2009 sono stati segnati dalla crisi mondiale dei prezzi alimentari e dalle «rivolte della fame». L’Unione Europea non è forse una delle prime responsabili, trovandosi alla guida di organismi come l’OMC, la Banca Mondiale, il FMI, cantori della deregulation dei mercati agricoli? Lo smantellamento della PAC è uno dei passaggi centrali di questo gioco mortifero. Il mito neoliberista è a corto di fiato. Non può risolvere le gravi crisi planetarie che ha creato. Rifondare la PAC in favore di un’agricoltura contadina, ecologica e che offra lavoro e di una alimentazione di qualità per tutti: non è un’utopia, è una necessità, dinanzi alle crisi alimentare, ecologica ed economica. Delle alternative credibili esistono: esse implicano il rispetto del diritto alla sovranità alimentare e una regolazione internazionale degli scambi basata sulla solidarietà e la salvaguardia delle risorse naturali.