
Tutti i genitori desiderano che il bambino che sta per nascere sia sano, felice, indipendente, pieno di curiosità verso la vita, capace di amare e di corrispondere all'affetto di chi gli è vicino, e che diventi capace di affrontare con sicurezza le situazioni difficili. Questo desiderio è una potente motivazione che permette loro di considerare il bambino, fin dalla nascita, come una persona, e di fornirgli l'ambiente più favorevole per il suo sviluppo, evitando di proiettare su di lui le loro ansie e i loro traumi infantili non risolti. Nei reparti di maternità le procedure sono passate, negli ultimi decenni, da una grande rigidità a una sempre maggiore vicinanza dei genitori con il bambino al momento del parto e prima del ritorno a casa.
È facile comprendere perché Jon Krakauer sia rimasto affascinato dalla figura di Pat Tillman al punto da dedicargli un libro. Al pari di Chris McCandless, protagonista di Nelle terre estreme, Pat Tillman è una figura di giovane eroe moderno, una figura idealista, anticonformista, avventurosa, tragica.
E' un campione di football, a poco più di vent’anni ha un contratto di tre milioni e seicentomila dollari, ha i capelli lunghi, gira in bicicletta e rifiuta il telefonino. A otto mesi dall’attentato alle Torri gemelle, fa la scelta della vita: si arruola nei Rangers e parte per l’Iraq. Vuole difendere il suo paese. Lo fa mantenendo un distacco critico dalle scelte politiche e strategiche di Bush. Dopo l’Iraq viene mandato in Afghanistan, dove muore, a ventisette anni, ucciso da fuoco amico. Su di lui fioriranno leggende, la propaganda se ne impadronirà mettendo a tacere le reali circostanze della sua morte. Attraverso diari, lettere, interviste agli amici e ai familiari, Krakauer indaga su una figura così complessa e sorprendente e offre al lettore un mosaico sfaccettato e straordinariamente ricco di Pat Tillman, un ragazzo che nella vita cercava qualcosa di diverso, di profondo, forse di incomprensibile. A lui Jon Krakauer dedica il suo libro.
Anno dopo anno, il numero di cristiani uccisi per la propria fede aumenta. Ogni mese sono oltre 300 i nuovi martiri, martiri che – come dice papa Francesco – non possiamo dimenticare. Ecco perché Luigi Ginani ha scritto questo reportage in cui vengono raccontati fatti a cui le tv e i giornali non sempre hanno dato il giusto spazio.
Prima tappa di questo viaggio è il Kenia, dove il 2 aprile 2015, a Garissa, 148 studenti vengono uccisi perché cristiani e perché l’università ospita studenti di entrambi i sessi. Della strage di Garissa ascoltiamo la voce di testimoni presenti e miracolosamente scampati e la storia di una vittima, Janet. Lo sguardo si allarga al campo profughi Dadaab Refugee Camp, dove si rifugiano uomini e donne che fuggono dalle persecuzioni in Sud-Sudan e in Somalia. Poi ci si sposta in Medio Oriente, a Mosul, nel pieno dell’ultima guerra, quella contro l’ISIS. Qui i cristiani hanno sofferto insieme agli Yazidi la brutalità del califfato; sono infatti oltre 360.000 i cristiani fuggiti dalla valle di Ninive in condizioni difficilissime.
Il viaggio termina a Gaza, in Palestina. A Betlemme sono pochi i cristiani, ormai disperati. Il contesto è quello di una tensione arabo-israeliana che dura da settant’anni e stritola i cristiani.
Alla metà degli anni Settanta, Stephen Hawking fece una serie di scoperte inquietanti, secondo cui i buchi neri potrebbero evaporare, o anche esplodere, e distruggere tutta l'informazione della materia caduta al loro interno. I fisici hanno impiegato i successivi quarant'anni a mettere ordine alle conseguenze di questo risultato, finora indimostrato. In queste due lezioni, Hawking ritorna sul tema chiave della sua ricerca per raccontarci qual è il punto della situazione, e cosa rimane da capire sullo spazio, sul tempo, sulla nostra parte nell'universo. "I buchi neri rappresentano una sfida al principio più fondamentale che riguarda la prevedibilità dell'universo e la certezza della storia", scrive. E ci coinvolge nell'ultima puntata di un'appassionata disputa scientifica, iniziata parecchi anni fa, tra la fisica classica della relatività generale e la fisica quantistica.
Quando Robert Peroni, trent'anni fa, arriva in Groenlandia per battere l'ennesimo record, si sente sperduto: una famiglia in Italia, e una professione, quella di esploratore, di cui non capisce più il senso. A ridare una direzione alla sua vita sono gli inuit, vero nome degli "eschimesi": nonostante i bianchi da anni impongano divieti che impediscono loro di vivere dignitosamente, lo accolgono come un amico, perché ogni uomo è solo se stesso e la solidarietà è un dovere. Affascinato da questa cultura, Robert si trasferisce nel centro più grosso della costa orientale, un paese di duemila abitanti, isolato nove mesi l'anno, e ne abbraccia la lingua, gli usi, le regole non scritte. Come il rifiuto di lamentarsi: la fame, il freddo, le privazioni sono accettate con il sorriso sulle labbra, perché soffrire è parte dell'esistenza. Da loro impara ad ascoltare le storie che porta il vento, la bellezza di vivere nel presente e la poesia nascosta nello sciamanesimo. "Dove il vento grida più forte" racconta l'incontro con un popolo straordinario, che ha come unica arma la dolcezza, e con una terra ostile e meravigliosa, in cui la natura è madre e matrigna, dispensatrice di vita e di morte.
Riuscire a stare al passo con l'evoluzione delle tecnologie digitali sembra essere diventata una corsa contro il tempo. Molte idee che solo quindici anni fa sembravano fantascienza sono ormai una realtà: le macchine eseguono mansioni complesse in tempi sempre più rapidi, flotte di droni sono impiegate per le consegne a domicilio, e le automobili a guida autonoma stanno per fare il loro ingresso sul mercato. Le ricerche sull'intelligenza artificiale lavorano alla messa a punto di software in grado di sfuggire al controllo umano, e la realizzazione di una «superintelligenza» completamente autonoma non è lontana, tanto che sono in molti a essersi pronunciati sugli eventuali rischi legati all'utilizzo di dispositivi dotati di una qualche forma di consapevolezza, una delle qualità più sofisticate ed esclusive della mente umana. Da sempre interessato all'impatto della tecnologia digitale sulla società e sulla vita di tutti noi, Philip Larrey, docente di filosofia presso la Pontificia Università Lateranense, ha avuto la possibilità di conversare con alcuni dei protagonisti della «quarta rivoluzione industriale» per approfondire il ricco e controverso dibattito sull'era digitale. Big data, privacy, sicurezza, etica e lavoro sono solo alcune delle questioni affrontate dai quindici intervistati, tra cui figurano Eric Schmidt, amministratore delegato di Alphabet, Carlo D'Asaro Biondo, presidente delle relazioni di Google per l'Europa, il Medio Oriente e l'Africa, e Maurice Lévy, direttore di Publicis Groupe. I filosofi, ingegneri, giornalisti, pubblicitari e piloti presenti in questo libro offrono considerazioni complesse e articolate, provocatorie, a tratti inconciliabili, ottimistiche o sfiduciate sulla tecnologia digitale e i suoi utilizzi. Il filo rosso che unisce i singoli interventi sembra però suggerirci che la direzione verso cui scegliamo di procedere dipende esclusivamente dalla nostra volontà. Più che offrirci delle risposte, dunque, "Dove inizia il futuro" ci consegna gli strumenti per porre le giuste domande a un mondo in costante cambiamento e riuscire a comprendere l'epoca in cui viviamo.
È sempre più difficile conciliare l'alto livello di protezione sociale, di tutela dei diritti, di qualità della vita, che è proprio dei Paesi europei, con le esigenze della competizione globale, la domanda di nuovi diritti e di nuove sicurezze, la segmentazione della società e la diversificazione dei bisogni e delle domande sociali che caratterizza l'inizio di questo secolo. Lo Stato non ce la fa; non ce la può fare senza un ampio ricorso alla mobilitazione delle risorse della società civile, del territorio, delle comunità intermedie, della partnership con il privato e con il no profìt. Sono cresciuti così, in Italia e altrove, lo spazio e il ruolo del terzo settore. E si è riscoperta la sussidiarietà, un'idea più moderna e più articolata del ruolo delle amministrazioni pubbliche, del rapporto tra Stato e società civile, tra politica ed economia, tra amministrazione pubblica e cittadini. Tra Stato e terzo settore però deve dispiegarsi un rapporto positivo, nel rispetto del ruolo e dell'autonomia di ciascuno: una fitta trama di rapporti di interazione, dialogo e reciproca integrazione, in parte già in essere e in parte no, connette il terzo settore alle pubbliche amministrazioni. La ricerca di Astrid ne traccia un quadro compiuto, avanzando proposte innovative, per consentire al terzo settore di sviluppare le sue potenzialità.
La storia di Nellie Bly, pioniera di una figura mai esistita prima: una donna indipendente, artefice del proprio destino, una giornalista intrepida armata solo del proprio sguardo libero e della propria voce.
«Ti hanno preso per pazza quando hanno letto il biglietto in cui dicevi "Me ne vado a New York". Ti hanno preso per pazza anche qui, in questa città, quando ti sei proposta al "World" di Pulitzer come reporter. Ora da sola, in un mondo tutto al maschile, devi arrivare fino in fondo a questa storia»
Settembre 1887: una ragazza bussa alla porta di John Cockerill, direttore del "New York World" di Joseph Pulitzer. Chiede di essere assunta come reporter. Nessuna donna aveva mai osato tanto. Il suo nome è Elizabeth Cochran, ha ventitré anni, ma già da tre scrive per un quotidiano di Pittsburgh firmandosi Nellie Bly. Una donna reporter non si è mai vista, ma la sua idea di un'inchiesta sotto copertura a Blackwell Island, manicomio femminile di New York, convince Cockerill e Pulitzer ad accettare la sfida. Ne nasce un reportage che farà la storia del giornalismo. Da qui, in un crescendo di popolarità e sotto mille travestimenti, Nellie racconterà l'America agli americani. Diventerà l'incubo di politici e benpensanti, viaggerà in tutto il mondo, vivrà amori e fallimenti. Mentre i grattacieli, i treni, il telegrafo e poi la guerra trasformano la realtà, Nellie Bly si trova a essere pioniera di una figura mai esistita prima: la donna indipendente, artefice del proprio destino, la giornalista intrepida armata solo del proprio sguardo libero e della propria voce.
La cronaca restituisce un'immagine univoca delle periferie, fatta di disperazione e di criminalità, oppure di rivolte, quasi che queste siano le uniche occasioni in cui si squarcia il velo del degrado. Francesco Erbani si mette in viaggio, da Nord a Sud, alla ricerca di ciò che rende le periferie anche un luogo in movimento, dove si sperimentano iniziative di riscatto, di innovazione culturale, di lotta alla povertà educativa, di imprenditoria sociale e di recupero urbano, emerse con più forza proprio durante l'emergenza del Covid-19. Erbani parte dalla storia delle periferie nel Novecento fatta di progetti ad alta densità politica e intellettuale, talvolta conditi di utopismo, talvolta fallimentari; evidenzia le sfumature sia strutturali che sociali della parola periferia; e poi si mette in cammino: Corviale, Laurentino 38 e Tor Bella Monaca a Roma, San Berillo a Catania, Marghera a Venezia, Barriera di Milano a Torino, Scampia a Napoli. Insegnanti, preti, volontariato, cooperative, centri sociali, collaborazioni con le università... In questi luoghi presi a emblema della sofferenza metropolitana emergono un attivismo, un'energia creativa, una capacità di intervento che ha molto da insegnare al resto della cittaà. Un'inchiesta giornalistica fatta in presa diretta tra i vicoli, i "casermoni" e le Vele, ma soprattutto accanto alle persone che ci vivono e ci lavorano.
Dove sono gli uomini, fisicamente e psicologicamente? Soprattutto a fare cosa, dove se non qui, e perché? Perché le donne sono tutte in giro, tutte in viaggio, tutte da qualche parte, spesso tra di loro, intente a fare o progettare qualcosa, mentre gli uomini sembra che si siano chiusi in casa, a doppia mandata, e non rispondano neppure a chi bussa con forza alle loro porte? Dove sono i protagonisti della scena, gli uomini del Mediterraneo, quelli che trovavi sempre al centro della piazza, al centro della spiaggia, al centro del bar, al centro della scena? Perché sul palco ora sembra che ci siano soltanto donne? Perché gli uomini non escono dai percorsi codificati del lavoro e della società? Perché sono sempre protetti da convenzioni e ruoli codificati, e quando non lo sono entrano subito in difficoltà? Perché gli uomini non parlano (se non di alcuni, pochi, argomenti estranei tanto a loro quanto a me), perché non chiamano, perché sembrano chiusi, rassegnati, stanchi prima ancora di aver iniziato a fare qualsiasi cosa? Per parlare degli uomini, oggi più che mai, occorre parlare con le donne, ascoltare le loro storie, farsi raccontare le loro avventure e disavventure, sfidando le leggi della riservatezza, tentando di collegare fatti e circostanze che ogni donna considera isolati, per cui spesso prova sentimenti di colpa, e che invece sono profondamente collegati tra loro.
"Nel millenovecentosessantuno Jurij Gagarin volò nello spazio, e io andai a scuola." Inizia così il primo dei diciassette capitoli con i quali l'istrionico regista Emir Kusturica apre il proprio album di famiglia e racconta la sua storia. Senza risparmiare nessuno, né se stesso né gli altri. Ci sono voluti quindici anni per mettere insieme autobiografia, cronaca e storie degne dei suoi migliori film, e raccontare una vicenda autentica, emozionante, sorprendente e provocatoria, nella quale si riflette la storia della seconda metà del ventesimo secolo.
L'infanzia, la Sarajevo degli anni sessanta, Tito e Charlie Chaplin, l'amore per la futura moglie Maja e la scuola di cinema a Praga, Fellini, Ivo Andric e Dostoevskij, i primi lungometraggi - Ti ricordi di Dolly Bell? , Papà… è in viaggio d'affari e Il tempo dei gitani - l'America, Johnny Depp e Arizona Dream, Underground e la guerra, la fine della Jugoslavia e quella di suo padre, la morte di Dio, quella dei rapporti con i vecchi amici e con Sarajevo, Milosevic e la malattia della madre.
Autobiografia di un artista geniale, "Dove sono in questa storia" è il "diario politico di un idiota", secondo le parole dello stesso autore, ma soprattutto il racconto sincero della sua storia personale, l'adattamento letterario del film della sua vita.
"Nel millenovecentosessantuno Jurij Gagarin volò nello spazio, e io andai a scuola." Inizia così il primo dei diciassette capitoli con i quali l'istrionico regista Emir Kusturica apre il proprio album di famiglia e racconta la sua storia. Senza risparmiare nessuno, né se stesso né gli altri. Ci sono voluti quindici anni per mettere insieme autobiografia, cronaca e storie degne dei suoi migliori film, e raccontare una vicenda autentica, emozionante, sorprendente e provocatoria, nella quale si riflette la storia della seconda metà del ventesimo secolo. L'infanzia, la Sarajevo degli anni sessanta, Tito e Charlie Chaplin, l'amore per la futura moglie Maja e la scuola di cinema a Praga, Fellini, Ivo Andric' e Dostoevskij, i primi lungometraggi - "Ti ricordi di Dolly Bell?", "Papà... è in viaggio d'affari" e "Il tempo dei gitani" -, l'America, Johnny Depp e "Arizona Dream", "Underground" e la guerra, la fine della Jugoslavia e quella di suo padre, la morte di Dio, quella dei rapporti con i vecchi amici e con Sarajevo, Milosevic' e la malattia della madre. Autobiografia di un artista geniale, "Dove sono in questa storia" è sì il "diario politico di un idiota", secondo le parole dello stesso autore, ma soprattutto il racconto sincero della sua storia personale, l'adattamento letterario del film della sua vita.