
L'autobiografia di uno dei più noti, e certamente il più singolare, fra gli intellettuali italiani e, insieme, l'attraversamento di settant'anni di vita del nostro Paese nei suoi mutamenti antropologici, sociologici, sociali, culturali più che politici, e di un quarantennio di giornalismo. Ma anche un racconto personale, di amori, di passioni, di amicizie, di tradimenti, di illusioni e disillusioni, esperienze che sono di tutti in cui il lettore potrà facilmente riconoscersi. Un libro crudo, com'è nello stile dell'autore, dall'andamento narrativo giocato sulla memoria, a volte celiniano o proustiano, senza autoindulgenze ma nemmeno indulgenze verso i personaggi, noti o meno noti, che Fini ha incontrato nella sua vita, eppure venato, oltre che da una nostalgia quasi feroce per il Tempo Perduto, da tenerezza e pietas per quell'animale tragico che è l'essere umano.
Quante vite diverse può vivere un uomo, quante idee possono stare dentro la sua testa, quanti sogni può sognare? Tantissimi, praticamente infiniti, se quell'uomo, anzi, quel Presidente, si chiama Massimo Ferrero ed è nato e cresciuto al Testaccio, "senza arte né parte, da 'na madre che lo lavava cor sapone de Marsiglia come fosse uno straccio, sperando di levargli di dosso l'odore dignitoso della povertà". Massimo Ferrero, per tutti er Viperetta, di strada ne ha fatta tanta, sempre con irriducibile fantasia, con passione, orgoglio, purezza e geniale incoscienza, passando attraverso un'infinità di lavori fuori e dentro il mondo del cinema. Da quando, da bambino, accompagnava il suo amico Giuliano Gemma a Cinecittà e si nascondeva nelle ceste colme di abiti di scena per respirare l'odore del set a quando, già assistente di produzione, aiutò Dino Risi a girare una scena de La stanza del vescovo in una chiesa che prima di allora era stata vietata a tutti. Fino a sfiorare una parte nel Satyricon di Fellini, a stringere la mano a Fidel Castro ("il Lider Màximo con il Massimo leader"), transitando da alcune perizie particolari nei casting di Tinto Brass... Per arrivare infine al sogno più pazzo e più bello: la Sampdoria, tanto amata che "mi ci volevo comprare una casa a Sampdoria, ma dice che non ci sono, che non è una città, ma io prima o poi la città di Sampdoria la fondo".
Tutti conoscono Michelle Hunziker per il senso dell'umorismo, l'autoironia, i lunghi capelli biondi e il sorriso sfolgorante. Eppure c'è stato un tempo in cui quel sorriso era la più luminosa delle maschere, indossato per nascondere le fragilità di una ragazza di poco più di vent'anni. Proprio nel momento più buio della sua esistenza avviene l'incontro destinato a cambiarla. Lei è una donna accogliente, materna, empatica, capace di intercettare negli altri le debolezze e le crepe di cui forse nemmeno sono consapevoli: proprio per questo, una formidabile manipolatrice. La mela rossa con la quale seduce Michelle ha il sapore dolce della comprensione profonda, dell'ascolto privo di giudizio. Dopo di che, la puniva abbandonandola, impedendole ogni tipo di contatto con lei e con gli altri membri della setta, "perché prima di tornare tra noi devi purificarti". Con la speranza che condividere la sua esperienza possa aiutare chi ne sta vivendo una simile, Michelle racconta i quattro anni trascorsi in una setta: i ricatti, le privazioni, il controllo costante, la progressiva perdita dell'indipendenza, la paura di rimanervi invischiata per sempre e il terrore alla sola idea di venirne fuori. Fino a quando ha trovato la forza di uscirne. Grazie all'amore.
Nella Libia italiana, il nonno, antifascista convinto di purissima fede repubblicana, è un funzionario dello Stato a Tripoli. Il padre, ingegnere, in Libia costruisce pozzi e centrali elettriche: due uomini di grande levatura morale, che certamente influiscono in modo determinante sulla formazione e sul percorso professionale di Annamaria Cancellieri. Quando, giovanissima, fa domanda per partecipare al concorso per il ruolo di consigliere di Prefettura, si sente dire che non ce la farà, perché un prefetto donna non si è mai visto. Lei, imperterrita, ci prova e vince. E l'inizio di una lunga carriera che la porterà in molte città italiane, da Nord a Sud, fino a raggiungere i vertici della pubblica Amministrazione: prefetto, commissario straordinario, poi Ministro dell'Interno e Ministro della Giustizia.
Un'avventura ininterrotta, la vita di Walter Bonatti, spesa tra prodezze uniche rimaste nella storia: la sua drammatica partecipazione alla conquista del K2, la scalata in solitaria del Petit Dru, nel gruppo del Monte Bianco, la tragica impresa sul Pilone Centrale del Frèney, la vittoriosa salita sul Gasherbrum IV nel Karakorum, i numerosi viaggi che lo hanno condotto dalla Siberia all'Alaska, dalla Tanzania al Kenya, dal Perù, al Messico, alla Nuova Zelanda. Impossibile dare conto di tutte le vie aperte da Bonatti, di tutte le avventure estreme di un alpinista ed esploratore romantico che si nutriva della stessa curiosità di Ulisse, in un perpetuo ricercarsi nella Natura. In questo libro, rivisto di pugno dall'autore poco prima della sua scomparsa, il "re delle Alpi" ha raccolto interviste e ritagli di giornali, pensieri e dialoghi, commenti e discorsi che compongono il panorama dì una vita eccezionale e il ritratto, anche intimo e personale, di un protagonista indimenticabile.
Con quest’opera autobiografica, il celebre studioso di UFO Antonio Chiumiento ripercorre la sua pluridecennale carriera di ufologo e di insegnante.
Oltre a testimoniare la sua profonda dedizione all’insegnamento, al quale si è dedicato con passione raccogliendo l’apprezzamento di tantissimi suoi studenti, l’Autore ricorda anche alcuni episodi dolorosi e controversi che lo hanno visto protoganista suo malgrado.
Il libro contiene inoltre 120 indagini su altrettanti casi di avvistamenti e sulla fenomenologia cosiddetta “limite”, condotte in prima persona da Chiumiento o dai suoi collaboratori nel corso del tempo.
Antonio Chiumiento, docente di Matematica Applicata e di Economia Aziendale, è l’ufologo investigatore che ha indagato su oltre 1600 episodi inerenti al fenomeno UFO e a quello di strane creature, adottando sempre un’opportuna e rigorosa metodologia d’inchiesta. Possiede un enorme archivio, costituito quasi interamente da vicende inedite. Il suo interesse verso la tematica in argomento risale al 1977, per pura curiosità scientifica: egli, infatti, non ha mai visto alcunché di anomalo. Negli anni Ottanta è stato vicepresidente del Centro Ufologico Nazionale (C.U.N.) e il primo presidente del Centro Italiano Studi Ufologici (C.I.S.U.). Da anni è un ufologo indagatore e divulgatore del tutto indipendente, coadiuvato da un’équipe di validi collaboratori.
Mettendosi coraggiosamente a nudo, Marsha Linhean, la psicologa di fama mondiale che ha sviluppato la Dialectical Behavior Therapy, rivela qui la sua "discesa all'inferno" con la malattia mentale e poi la straordinaria ascesa nel lavoro di ricerca e nell'accademia. Durante l'adolescenza, Marsha è entrata in una terribile spirale che l'ha portata a manifestare tendenze suicidarie ma, dopo alcuni anni bui in un istituto psichiatrico, grazie alla sua tenacia è riuscita a iscriversi all'università e a specializzarsi in terapia comportamentale. Gli anni Ottanta hanno segnato la svolta decisiva con lo sviluppo della Dialectical Behavior Therapy, un approccio terapeutico che combina l'accettazione di sé e la capacità di innescare un cambiamento, diventato il trattamento d'elezione per il disturbo borderline di personalità. Nel corso della sua brillante carriera scientifica Marsha Linehan è rimasta una donna di profonda spiritualità. La sua, potente e commovente, è una storia di fede e perseveranza. In "Una vita degna di essere vissuta", Linehan mostra come i principi della DBT funzionino davvero e come, usandone le tecniche, le persone possano costruirsi una vita degna di essere vissuta.
Quando Ludovico Buonarroti mise il piccolo Michelangelo a balia dalla moglie di uno scalpellino non poteva certo immaginare che il figlio sarebbe diventato uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Un romanzo storico in cui Beatrice Buscaroli fa incontrare al lettore un Michelangelo avanti negli anni che - incoraggiato dal giovane nipote - racconta di Lorenzo il Magnifico e del Giardino di via Larga, di Angelo Poliziano e Girolamo Savonarola. A metà strada tra il romanzo storico e il memoir, la figura di Michelangelo emerge in tutta la sua grandezza e con altrettanta forza sono tratteggiati tutti i personaggi con i quali incrocia la sua esistenza, come Domenico Ghirlandaio il mastro invidioso - o Pietro Torrigiano - il rivale rissoso - che con un pugno deformò irrimediabilmente il naso di Buonarroti.
Le sentenze parlano chiaro: un ambiente politico largamente inquinato, settori della società civile degradati, amministratori fortemente collusi, esercenti condizionati, una presenza accentuata di malavitosi. In questo contesto la parrocchia palermitana di Brancaccio era diventata una nicchia di legalità mal sopportata dalla mafia. In quel contesto padre Pino Puglisi si era trovato a vivere. Qui aveva portato la sua chiesa in prima linea nella promozione umana, ma il suo impegno ha sfidato la mafia, che non ha esitato a ucciderlo barbaramente.
Mitia è un uomo anziano, modesto, gentile, non batte mai il pugno. Ha sempre lasciato a Bussia, la moglie, il ruolo di condottiero. Si è sempre considerato un uomo qualunque, che ha vissuto una vita qualunque, simile a tante altre. Fino a che un giorno il telefono squilla e il lontano passato si ripresenta. Un amico di gioventù vuole incontrarlo, narrargli la verità sulla scomparsa della sua amata sorella caricata su un camion dalle SS. Per tutti quelli anni, Mitia, ostinatamente, ha sperato con tutto se stesso che lei fosse rimasta in vita, lontana, dispersa. L'ansia che lo attanaglia nei giorni prima dell'appuntamento lo spinge a scrivere, a ripercorrere la sua lunga vita. Per se stesso. Per trovare un po' di sollievo. Per mettere ordine. Per capire. Al termine del suo scritto si renderà conto che il suo cammino, più di altri, è stato indirizzato, spinto dagli sconvolgimenti del secolo terribile che hanno travolto uomini e nazioni e in cui, quasi sempre, è stato il caso a decidere della vita e della morte. Si rende conto che la sua supposta "normalità" è stata una maniera per impedire che le bufere della storia e la tragedia della Shoah lo travolgessero. Nel profondo di sé scopre che la sua non è stata una vita qualunque e che, nonostante tutto, la sua è stata una grande storia d'amore. E, del resto, esiste una vita qualunque?
Brunhilde Pomsel fu vicina come pochi altri suoi contemporanei a uno dei più grandi criminali della storia: Joseph Goebbels, il ministro della Propaganda di Hitler. Sempre al suo fianco, sempre ai suoi ordini come segretaria e dattilografa. Brunhilde non si interessava di politica. Per lei venivano prima il lavoro, la sicurezza materiale, il senso del dovere nei confronti dei superiori, il bisogno di sentirsi parte di un sistema. Poco dopo l'ascesa di Adolf Hitler, si iscrive al Partito nazionalsocialista per assicurarsi un posto alla radio. Nel 1942 si trasferisce al ministero per l'Istruzione pubblica e la Propaganda ritrovandosi così accanto all'ufficio di Goebbels e nel centro nevralgico del potere nazista. Vi rimane fino alla capitolazione, nel maggio del 1945. Durante gli ultimi giorni di guerra, quando le truppe sovietiche sono già a Berlino, anziché cogliere l'occasione per fuggire resta nel bunker a battere a macchina i comunicati. Poi, per settant'anni, non racconterà niente a nessuno. Dal cuore di Berlino, l'autrice dipinge un ritratto inconsapevole, eppure inquietantissimo, della Germania prima, durante e dopo il Reich, raccontando una realtà sconcertante che mostra quanto l'indifferenza e la disillusione possano influenzare la democrazia. «Prima che la storia si ripeta» scrive Thore D. Hansen «individuare le analogie tra passato e presente ci offre l'opportunità di calibrare con cura la nostra bussola morale, in modo da renderci conto quando sia giunto il momento di schierarci, di alzarci e di opporci apertamente alla radicalizzazione. Con quanta superficialità prendiamo in considerazione i nostri criteri morali di valutazione? Per quali fini primitivi, immediati, banali e superficiali o per quali successi apparenti siamo pronti a sacrificare la nostra coscienza? Sono domande alle quali la storia di Brunhilde Pomsel non può e non potrà mai dare una risposta universalmente valida. Solo la disponibilità a riflettere di ciascuno di noi potrà produrla.»
"Sono nata sotto il segno felice del disordine." È l'incipit di una vita, quella di Miriam Mafai, che avrebbe conosciuto molti colpi di scena, in decenni tormentati della storia europea: le persecuzioni razziali, la guerra mondiale, la Resistenza, la parabola grandiosa e tragica del comunismo fino allo sgretolarsi di quella potente illusione. Miriam era nata in una famiglia di artisti: pittore il padre. Mario Mafai, pittrice e scultrice la madre, Antonietta Raphaël, ebrea fuggita dai pogrom della Lituania e giunta in Italia dall'Inghilterra. Visse gli anni terribili dei bombardamenti a Genova e dell'occupazione nazista a Roma, durante la quale assieme alla sorella distribuiva clandestinamente "l'Unità". Nel dopoguerra la passione fortissima prima civile e solo in un secondo tempo politica che ispirò molti della sua generazione la portò a proseguire la militanza come funzionaria del Pci in Abruzzo e assessore comunale a Pescara. Poi gli eventi del 1956, le rivelazioni del XX Congresso del Pcus, l'invasione dell'Ungheria, e il suo trasferimento a Parigi, per cominciare una nuova pagina della sua esistenza. Purtroppo, questo appassionante racconto di una donna e di un secolo si interrompe qui. L'autobiografia che per anni Miriam si era rifiutata di scrivere, e a cui aveva messo mano solo negli ultimi tempi, con impegno crescente e incalzata dalla malattia, non sarà mai terminata. La morte le ha impedito di narrarci la sua seconda vita, quella da giornalista.