
José Tolentino Mendonça, tra i massimi esponenti della cultura portoghese, rilegge in maniera sorprendente l'episodio della peccatrice raccontato da Luca (7,36-50). Il testo nasce dall'incontro con il libro Vita di Gesù di Shusaku Endo. Comune ai due autori è la convinzione che la vicenda della peccatrice sia un momento centrale nel Vangelo di Luca, più efficace di molti altri nel trasmettere Gesù, anche più delle storie di miracoli, perché dà di Lui un'immagine viva, sorprendente e reale. Si tratta di uno degli episodi dei Vangeli di più difficile interpretazione, ma al tempo stesso è impossibile non ammirarne i personaggi, l'architettura narrativa, la vivacità. Un brano che illumina in modo inatteso la figura di Gesù, recuperando e gettando nuovamente i fili della sua identità, svelando e al tempo stesso addensando il mistero. Il saggio di José Tolentino Mendonça permette al lettore di approcciarsi al brano da un punto di vista innovativo e di cogliere appieno la sua bellezza e la grande misericordia di Cristo.
Perché Gesù parlava in parabole? È questa la domanda da cui muovono le riflessioni raccolte in questo volume. Il cardinale Carlo Maria Martini si interroga sulle parabole, sulla loro attualità in un?epoca come la nostra che ormai non ne fa più uso e in cui «il parlare di Dio è stentato, fiacco, oscillante». Immediato ma profondo, concreto ed evocativo, Martini si sofferma prima sullo stile comunicativo di Gesù, poi verso ciò che il dire in parabole significhi oggi per noi, per la nostra esistenza, per il nostro modo di parlare di e con Dio. Esse conferiscono alla nuda parola «la potenza di un ariete che demolisce il bersaglio attraverso il coinvolgimento e non con un colpo diretto». Nel ripercorrere le numerose parabole evangeliche, Martini invita il lettore a imparare a guardare il mondo come Cristo per imitarlo, per situarsi dal punto di vista della croce, per «guardare il mondo avendo capito qualcosa della misericordia seria del Padre».
Un ritratto di Gesù per chi poco o nulla sa di Lui, e perché chi già lo conosce se ne innamori ancora di più. In dodici brevi capitoli, un identikit di Gesù scritto con semplicità giornalistica e con l'intensità della grande poesia.
Si può scrivere una storia di Gesù? Gli studiosi di solito dicono di no per il carattere particolare delle fonti su cui la ricerca dovrebbe basarsi (i vangeli), che è insieme teologico nello scopo e frammentario nella narrazione. Ma non si rischia in tal modo di fare di Gesù un personaggio mitico e del cristianesimo un fenomeno inspiegabile? Con uno stile chiaro e accattivante, accessibile a una vasta cerchia di lettori, il libro cerca di trovare un filo conduttore che spieghi nella maniera più convincente lo sviluppo della vicenda di Gesù in Galilea e leghi questa vicenda con la sua condanna a morte a Gerusalemme.
Il volume cerca di fare luce su come e sino a che punto Gesù abbia vissuto nel suo Ebraismo e su come si sia posto in quell'ulteriore prospettiva detta Cristiana.
Che cosa sappiamo effettivamente di Gesù? La domanda riceve, da sempre, molte risposte. Non a motivo delle fonti - ce ne sono di canoniche e di apocrife, oltre a un numero limitato di documenti non cristiani - ma a causa della loro interpretazione. Il volume si confronta con tre fondamentali approcci alla figura di Gesù: ecclesiale, storico, letterario. Attraverso questa polifonia di voci - insita già negli stessi vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni si ripercorrono le parole e le opere di una figura unica, che ha inciso in modo profondo e duraturo sulle vicende del mondo.
La vita di Gesù raccontata attraverso gli episodi più significativi e memorabili del Vangelo. Un affresco che porta alla luce la più profonda umanità di quel Figlio dell'Uomo e Figlio di Dio che ha per sempre segnato il corso della Storia. Attenendosi fedelmente alle fonti storiche, dalla nascita in una grotta di Betlemme fino alla Crocifissione, estremo sacrificio per la salvezza dell'umanità, i protagonisti del Vangelo prendono via via consistenza nel corso della narrazione mostrando i propri sentimenti, le proprie virtù, le proprie debolezze e fragilità. Un libro con una forma narrativa che si rivolge direttamente al lettore.
Gezabele è un personaggio poco conosciuto e spesso considerato uno dei più negativi dell'Antico Testamento. Eppure la storia di questa regina straniera parla ancora a noi oggi, invitandoci a riflettere su argomenti di grande attualità, come, ad esempio, il rapporto tra potere politico e fede, tra sincretismo e adorazione del Dio unico. Forse preferiremmo distogliere lo sguardo da figure come queste, considerando, a torto, la Bibbia come un libro edificante. Invece la regina Gezabele, come altri personaggi, ci costringe a confrontarci con la nostra umanità, che spesso è ambigua o non di specchiata virtù come vorremmo che fosse. Anche in questo modo, però, la Parola di Dio ci educa e ci spinge alla conversione.
Il presente sussidio, raccogliendo il recente invito della Pontificia Commissione Biblica ad approfondire la conoscenza dei metodi giudaici tradizionali di argomentazione scritturistica, si concentra sulla seconda regola di Hillel, la gezerah shawah, vista la grande pregnanza semantica di cui questa gode in molte pagine bibliche. Lo studio parte da una considerazione generale sull'attività midrashica per poi esaminare la pagina programmatica in cui la nostra middah fa il suo esordio (capitolo primo). In seguito si entra nella valutazione dei quadri logici che soggiacciono alle conclusioni analogiche e degli elementi formali che ne accompagnano l'impiego (capitolo secondo). Nella sezione centrale vengono poi descritti i molteplici livelli di funzionamento secondo cui si muovono le corrispondenze testuali, se fatte lavorare con competenza e rigore (terzo capitolo). Solo a questo punto è possibile ripercorrere in maniera analitica la lunga e travagliata storia di una metodica che passò attraverso entusiasmi e discredito fino al tempo della sua pressoché definitiva regolamentazione in epoca tannaitica (capitolo quarto). Infine, una volta completata l'indagine conoscitiva sulla regola, si passa all'esame e alla valutazione critica di alcuni passaggi neotestamentari in cui il metodo viene usato, in particolare da Paolo (capitolo quinto).
L'esperienza salvifica dell'incontro con Cristo inizia spesso con l'ascolto di una Parola che ci raggiunge esattamente lì dove siamo: nella vita, nelle relazioni, nel desiderio di riconciliazione. Pregare e accogliere il vangelo nelle nostre case significa sperimentarne la potenza e la creatività. Il vangelo di Luca ci introduce alla buona notizia di un Amore che non dice mai "basta". Solo un Amore così rende la vita degna d'essere vissuta. La catechesi che accompagna le pagine del vangelo di Luca ci porta sui sentieri di una lettura fraterna della Scrittura per gustarne in famiglia, in parrocchia, nelle amicizie e nei percorsi di discernimento personale e comunitario, il respiro e la potenza. Se, come la donna che dopo aver tanto cercato ritrova la sua moneta preziosa, avessimo il coraggio di invitare a casa nostra gli amici e i vicini (cf. Lc 15,8-10), riscopriremmo il gusto di fare festa insieme, celebrando la vita e la speranza. Chi ascolta cresce, cambia e trasforma il mondo. Questo è il frutto che la Parola promette.
Uno studio che fa emergere il personaggio di Giacobbe come protagonista, come direbbe Jung, di uno dei primi percorsi di "individuazione" della letteratura occidentale e incarnazione, come direbbe Ricoeur, di una delle sue prime "identità narrative". Con l'ultimo patriarca d'Israele, icona dell'uomo faticosamente in cammino verso Sé e verso l'Altro, la benedizione di Dio è entrata nella storia.
La domanda al centro dell'itinerario di discernimento proposto da Carlo Maria Martini è semplice ma cruciale: "Dove sono?". È l'esigenza tipica di chi viaggia, di chi deve orientarsi (o riorientarsi). Il modello biblico è quello di Giacobbe, simbolo dello sforzo di capire dove ci si collochi in momenti oscuri dell'esistenza. Martini non delude nel descrivere attitudini e presunte risonanze interiori di un patriarca la cui vicenda non manca di interpellare e stimolare la riflessione dell'uomo. Giacobbe non si limita a compiacersi dell'esperienza di un attimo. Sa che è pericoloso lasciare nel vago le intuizioni di un istante illuminato dalla grazia, ma che bisogna andare verso la realizzazione di ciò che è stato promesso: essere, nella pochezza della nostra esperienza mortale, segno vivente di una benedizione estesa a tutte le generazioni della terra.