
La riflessione di Schwarzschild sul divieto di idolatria - tema fondamentale per la fede e la prassi religiose del mondo ebraico - è un commento filosofico-rabbinico al precetto di non farsi alcuna immagine di Dio. È, però, anche un'applicazione di questo comando alla storia del sentimento religioso e della spiritualità, dal momento che farsi immagini costituisce un bisogno umano che, proprio perché tale, va sottomesso all'imperativo divino. Rinunciando a stigmatizzare le pur pericolose idolatrie del nostro mondo, Schwarzschild si concentra sulla "madre di tutte le idolatrie", quella religiosa, perché è l'idolatria che pretende di non esserlo, quella che si smercia per veritas e vera religio. Nell'approccio di questo originale pensatore ebraico, idolatra è chiunque creda o pensi che si possa eliminare la cesura tra divino e umano, tra idealità e realtà. La proibizione dell'idolatria diventa, in questa prospettiva, la formula negativa con cui si tutela la primaria e più alta verità della rivelazione divina e della riflessione razionale umana: esiste un Dio uno e unico, nel quale l'unità numerica sfuma e si trascende nella sua dimensione morale.
Nell?antichità fra i cristiani ci si appellava al peccato per spiegare una quantità incredibile di problematiche, dalla morte del figlio di Dio alla politica dell?impero romano che ne celebrava il culto, all'ordinamento del cosmo. Chi si salvava dal peccato e come? ma, soprattutto, l?idea che si aveva del peccato potrebbe dire qualcosa dell?idea di genere umano e di Dio che vi corrispondeva? Nel suo studio Paula Fredriksen racconta la storia sorprendente delle concezioni cristiane antiche e più antiche di peccato, illustrando i diversi modi in cui l?idea di peccato non ha mai mancato di adeguarsi alla diversità dei tempi storici: al pari di qualsiasi produzione umana, le idee di peccato sono creazioni culturali.
"La Profezia di Malachia" è un testo sul destino dei papi e della Chiesa su cui sono state scritte innumerevoli pagine per avvalorarne o smentirne la credibilità. La prima pubblicazione conosciuta risale al 1595, a cura del benedettino fiammingo Arnold de Wion. San Malachia, arcivescovo di Armagh in Irlanda, morì nel 1148 in Francia a Clairvaux (Chiaravalle) con l'assistenza spirituale di san Bernardo, il quale successivamente ne scrisse la biografia. Secondo la leggenda, Malachia avrebbe ricevuto in visione un elenco di 111 motti relativi ai papi che sarebbero succeduti a Innocenzo II, a cominciare da Celestino II nel 1143. Riguardo ai motti dei papi della nostra epoca: Ignis ardens (Fuoco ardente) sarebbe Pio X per la sua carità; Religio depopulata (Religione spopolata), Benedetto XV per i massacri della Prima guerra mondiale; Fides intrepida (Fede intrepida), Pio XI per la condanna di Hitler e della sua politica; Pastor angelicus (Pastore angelico), Pio XII per il suo aspetto ieratico, che lo faceva apparire come sospeso fra Cielo e Terra. Secondo la profezia di san Malachia, in seguito non vi sarebbero stati che sei papi: in Pastor et nauta (Pastore e navigante) possiamo vedere Giovanni XXIII; in Flos florum (Fiore dei fiori) Paolo VI; in De medietate Lunae (Del medio periodo della luna) Giovanni Paolo I; in De labore Solis (Della fatica del sole) Giovanni Paolo II; in De gloria olivae (Gloria dell'olivo) Benedetto XVI e in Petrus Romanus l'ultimo papa. Con il secondo Pietro finisce la Chiesa, Roma viene distrutta, ed è la fine dei tempi per Malachia. L'anima religiosa scorge tuttavia, nello scenario della desolazione totale che inghiotte l'uomo insieme alla Terra che lo ha visto nascere, la venuta del Giudice che supera ogni volere come ogni velleità umana.
La presenza dei cattolici nella vita politica e culturale è stata significativa e rilevante fino al secondo dopoguerra. Diversamente da allora, oggi si nota una grande assenza. Basti pensare a come l'Europa sia stata varata da tre grandi cattolici e come oggi le sue posizioni si siano attestate su dottrine opposte ai valori per cui è stata fondata. L'autore indica qui una serie di cause di tale logoramento (interne ed esterne al mondo cattolico) e propone diverse possibili piste da seguire per rilanciare una presenza indispensabile alla nostra civiltà.
Il volume è una raccolta antologica dei test appartenenti alle quattro religioni: quella ebraica, cristiana, musulmana e buddista.
Antiche di secoli e di millenni, esse sono tuttavia le grandi religioni del nostro tempo. Ciascuna ha un corpo di scritture sacre a cui si richiama e si è sempre richiamata nel corso della storia: l'Antico Testamento, il Nuovo Testamento, il Corano, il Tipitaka.
Come chiosa l'autore stesso nella prefazione: "A queste antiche parole tutti dobbiamo accostarci con reverenza. In esse milioni e milioni di uomini da secoli e secoli hanno creduto e credono e trovano conforto e speranza. Esse sono, per il credente, le parole della sua fede, e per esse egli è portato a ignorare, a trascurare, a svalutare, le altre".
Sulla scorta di una ricca documentazione archivistica e a stampa, il volume di Roberto Sani si propone di lumeggiare l'esperienza di padre Matteo Ricci in Cina nel quadro della più generale evoluzione della Chiesa e del cattolicesimo europeo tra Cinque e Seicento e, in particolare, alla luce della nuova progettualità missionaria elaborata dalla Compagnia di Gesù con specifico riferimento alle Indie Orientali. L'opera missionaria di padre Matteo Ricci è riletta, sotto questo profilo, alla luce delle più complessive istanze di rilancio di un nuovo universalismo della Chiesa proprie del Rinnovamento cattolico e del Concilio di Trento, di cui la Compagnia di Gesù si fece protagonista e interprete tanto sul versante culturale ed educavo, quanto su quello più propriamente missionario, inaugurando nelle Indie Orientali una strategia missionaria consapevole della necessità di adattare la predicazione e l'apostolato ai costumi e alle tradizioni di quelle terre, nella convinzione che l'opera di evangelizzazione, per riuscire autenticamente efficace, dovesse liberarsi dell'habitus europeo e radicarsi nel tessuto della cultura e della mentalità delle popolazioni locali. Nell'applicare in modo originale e creativo tale strategia, padre Matteo Ricci si spinse ben oltre il processo di accomodamento ai costumi e alle tradizioni cinesi, creando le premesse per l'avvio di un vero e proprio processo d'inculturazione del Vangelo.
La società industriale non accetta più le religioni tradizionali nate in società pre-industriali, riproducendone le modalità di azione più tipiche e assicurando loro orientamento etico e coesione sociale. Con l'industrializzazione le religioni sono state via via sostituite nella loro funzione dalle ideologie politiche. Siamo adesso in una fase ulteriore, definibile come "società della conoscenza", in cui anche le ideologie (liberalismo e social-comunismo) si rivelano troppo rigide e poco adatte a guidare i mutamenti sempre più veloci. Orfani delle narrazioni miticoteologiche e ideologico-politiche, le nuove generazioni sono forse destinate al disorientamento nichilistico? Da tanti segnali di sensibilità sociale e di impegno etico non si direbbe. Le società contemporanee non ripudiano ogni forma di spiritualità: anzi, ne hanno sete. Il vino "buono" delle religioni del passato può essere riversato in calici nuovi, se abbiamo l'inventiva di crearli. Solo che questa spiritualità "laica", accettabile nelle società della conoscenza e del continuo cambiamento, non può veicolare dogmi, precetti e divieti: dev'essere invece tessuta di silenzio, attenzione alla realtà effettiva che ci circonda, impegno concreto per la liberazione da ogni genere di sofferenza.
Ciò che si sa di Gesù lo si deve alla testimonianza personale dei suoi più stretti seguaci. L'impatto della sua figura su di loro fu molto vario, i Vangeli ne sono chiara testimonianza. Questo multiforme effetto non si è esaurito nel primo cristianesimo ma si è prolungato lungo i secoli. Quando il senso di un singolo passo biblico diventa nostro al punto che un lettore può non solo comprenderlo, ma anche sottoscriverlo, diffonderlo, e quindi viverlo, solo allora viene raggiunta quella comprensione cui tendono i testi biblici stessi. Per un credente infatti, Gesù non è solo una figura del passato; noi siamo discepoli del presente e nelle nostre Chiese oggi dovrebbe poter rifulgere ciò che più attrae e affascina della sua opera. Prefazione di Giuseppe Ghiberti.
Un'edizione dei Vangeli pensata per i ragazzi. L'edizione si avvale - per la traduzione - della Nuova Versione della Bibbia dai Testi Antichi, che presta particolare attenzione all'aspetto narrativo del testo. Vengono inoltre proposte introduzioni essenziali e puntuali, collocate nei principali momenti di snodo della narrazione dei quattro vangeli. I commenti hanno un tono colloquiale e un carattere esistenziale, più in linea con i bisogni dei giovani; sono inoltre pensati per non disturbare la lettura del testo biblico e scritti nell'ottica di un'iniziazione cristiana dei ragazzi.
Lo strumento liturgico più completo ed economico. UNO STRUMENTO INDISPENSABILE Per la preghiera personale. Per la preghiera comunitaria. Per la messa quotidiana. Per ritiri di preghiera, celebrazioni, gruppi di catechesi. Per celebrare l'Eucaristia in ogni occasione. UNICO PERCHÉ Ogni mese, giorno per giorno, i testi della santa messa e la liturgia delle ore. Il rito completo della messa. Il commento di papa Francesco alle letture. I commenti di Paolo Curtaz e don Claudio Doglio. Una ricca raccolta di preghiere del cristiano grafica chiara con simboli per ogni sezione. Testo a caratteri grandi facilmente leggibile. TUTTO A PORTATA DI MANO Il calendario liturgico. Benedictus e Magnificat. Le antifone per la preghiera della Compieta.
Nel 1324 Mansa Musa, il sultano del Mali, «l'uomo più ricco che il mondo abbia mai visto», intraprende il suo pellegrinaggio verso La Mecca, a capo di un immenso corteo lungo decine di chilometri e composto da migliaia di uomini e da altrettanti dromedari carichi di quintali e quintali d'oro. Un viaggio destinato a entrare nella storia, ammantato di leggenda, grazie alle cronache arabe dell'epoca e dei secoli a venire. L'autore ricostruisce quel cammino, inserendolo nel contesto storico e culturale del tempo, rivelandone gli aspetti politici e strategici oltre a quelli religiosi ed economici. Il percorso della carovana del sultano diventa così una sorta di metafora, utile a spiegare la fitta rete di legami e di scambi, che avvolgeva il Mediterraneo, unendo l'Africa all'Europa. Si viene così a delineare una lettura nuova e multicentrica della storia, in cui l'Africa è un'importante protagonista e non la terra isolata dell'hic sunt leones. «Disegnata la cornice, delineato lo sfondo, il racconto del viaggio di Mansa Musa assume una valenza più ampia di quella esplicitamente religiosa legata al pellegrinaggio alla Mecca. La ricostruzione delle peripezie della carovana, carica d'oro e di schiavi, diventa, infatti, il resoconto di un'operazione politica e di immagine quanto mai moderna e in gran parte riuscita. La traversata del deserto, l'arrivo al Cairo, che all'epoca era l'equivalente della New York attuale, e l'incontro con il sultano mamelucco si rivelano così i tasselli fondamentali per accreditare il Mali, come il suo sovrano, nel vasto mondo islamico del tempo. Ciò che ho cercato di fare è stato sottrarre, almeno in parte, quel viaggio alla ricezione un po' stereotipata più diffusa, per riportarlo nella storia e connetterlo con le complesse reti che caratterizzavano il mondo mediterraneo e l'Africa subsahariana».