
"Esistenza": è difficile pensare che si possa spiegare in che cosa consista l'esistenza, o a che cosa equivalga esistere. Semmai ci si può chiedere che cosa significhi dire che qualcosa esiste. Quando si dice che un certo oggetto è rosso, si sta attribuendo a quell'oggetto una certa proprietà, e quando si dice che un oggetto non è rosso si sta negando che l'oggetto abbia la proprietà in questione. Ma che cosa significa dire che quell'oggetto esiste? E che cosa mai potrebbe significare affermare che non esiste? "Persistenza": l'esperienza del mondo si basa sulla certezza che le cose che lo abitano persistano nel tempo. Eppure non c'è qualcosa di paradossale in questa certezza? Al trascorrere del tempo le cose cambiano. Come può qualcosa cambiare e ciò nonostante conservare la propria identità? Sono due esempi delle introduzioni di Achille Varzi ai sei capitoli tematici di questo volume che raccoglie i testi più autorevoli - molti dei quali tradotti qui per la prima volta - dei filosofi più influenti degli ultimi decenni.
Nella Filosofia, la grande opera in tre volumi che è il capolavoro di Jaspers, l'"orientazione filosofica del mondo" e la "chiarificazione dell'esistenza" sono le tappe che precedono e conducono a quella "metafisica" che ne raccoglie il senso ultimo. Dell'intera opera presentiamo l'Introduzione generale e il terzo volume, che è, appunto, la Metafisica. Con questa parola non si deve intendere un "sapere oggettivo" in grado di pronunciarsi sui problemi ultimi che trascendono il piano dell'esperienza, ma l'"esigenza incondizionata" che spinge l'uomo oltre il piano del noto e di ciò che è scientificamente provato. In tal senso la metafisica non è più dottrina, ma la natura stessa dell'uomo: essa non è più quella "sophia" in cui si riassume un presunto sapere del mondo, dell'anima, di Dio, ma è quella "philosophia" che, come vuole l'etimo, non sa ma ama, non possiede ma cerca il senso di ciò che sempre sfugge come ogni oggetto d'amore.
"La Metafisica" di Teofrasto è un'opera unica per la complessità e l'ampiezza dei temi esaminati, che vanno da questioni al cuore dell'aristotelica filosofia prima alla fisica, alla matematica, all'astronomia, alla concezione della scienza e alla teleologia. E anche una testimonianza di prima mano delle modalità con cui la scuola nella sua fase più antica seppe accogliere e valorizzare l'insegnamento di Aristotele. L'andamento del testo non ha carattere sistematico, ma dialettico e problematico: di qui le molteplici interpretazioni di quest'opera, gravata da un'ipoteca di antiaristotelismo che tuttavia appare difficilmente sostenibile.
Con un approccio nuovo, percorrendo strade inesplorate, sono qui affrontati tutti i temi classici della metafisica. Per riflettere sui temi fondamentali dell'esistenza umana.
Un'analisi storica e sociologica dei meccanismi sociali che orientano la pratica scientifica, contraria alla relativizzazione della conoscenza e fautrice di una riappropriazione da parte degli scienziati della loro autonomia. "Il mestiere di scienziato" (uscito in Francia poche settimane prima della morte di Bourdieu con il titolo "Science de la science et réflexivité") compendia e rielabora le sue lezioni dell'ultimo corso al Collège de France.
Siamo stati abituati a pensare al mercato come al luogo in cui si dispiega solo una razionalità astratta e impersonale, misurata dagli incrementi di efficienza, produzione e profitto. In realtà, l’economia resta una forma dell’agire umano che include sempre un preciso «valore di legame» e impone scelte attraverso le quali individui e collettività possono orientarsi alla ricerca del bene comune oppure cedere alla logica della legge del più forte.
Lo scambio – lo diceva già Aristotele – è uno dei fattori decisivi per «la felicità della comunità politica». L’economia non può perciò semplicemente delegare alla politica le questioni di giustizia, specie nel momento in cui proprio la politica appare in difficoltà nell’assicurare il «governo» del mercato globalizzato con le sue evidenti asimmetrie e nei suoi paradossi. E tuttavia si pone il problema di capire quale giustizia sia in effetti possibile.
Questo secondo numero dell’Annuario di Etica affronta tale problema, muovendo da una constatazione e mettendo alla prova una tesi. La constatazione è questa: il tradizionale ruolo dello stato, come titolare e garante della «forza» della giustizia attraverso le leggi, appare profondamente logorato; da una parte le sue regole sono mal sopportate, dall’altra sono reclamate, ma invano, perché non è più questa la dimensione in cui si muovono interessi, risorse finanziarie e know-how tecnologico. La tesi è conseguente: in questa situazione di stallo, in cui facilmente crescono le disuguaglianze e si alimentano i conflitti, si deve ripartire dalla originaria natura etica del mercato. Ovvero: la dimensione comunicativa del riconoscimento e della reciprocità può e deve diventare (o tornare a essere) un fattore rilevante all’interno della funzione razionalizzatrice del calcolo del capitale. Il richiamo alla società civile non rappresenta, in questo contesto, una fuga in una riserva protetta del bene e dell’agire disinteressato, ma un modo per ripensare concretamente le radici, i luoghi e i fini della politica.
Stefano Semplici è professore associato di Etica sociale nell’Università di Roma «Tor Vergata». Fra le sue pubblicazioni più recenti, oltre a numerosi saggi e contributi sui principali temi dell’etica pubblica e applicata, Un’azienda e un’utopia. Adriano Olivetti 1945-1960 (a cura di, Bologna 2001), Il soggetto dell’ironia (Padova 2002).
Cosa significa fare filosofia oggi? Sono in molti a diffidare dei filosofi contemporanei, a percepirli come individui per lo più solitari, immersi in fantasticherie speculative, impegnati in quesiti troppo astratti e inconsistenti. In un dialogo dal ritmo incalzante, si sviluppa una discussione socratica sul senso del filosofare nella post-modernità. L?etica, la politica, la tecnologia sono alcuni dei temi di una conversazione in cui tre intellettuali italiani si confrontano con gli splendori filosofici del pensiero antico e con la moderna pratica del dubbio, per interrogarsi sul ruolo dell?esercizio filosofico nell?epoca in cui viviamo.
Nel 1971 il «New York Times» pubblicò alcuni stralci dei Pentagon Papers, documenti segreti del Dipartimento della difesa relativi all’impegno americano nel sud-est asiatico dal dopoguerra alla fine degli anni sessanta. Lo scandalo al cuore di quella pubblicazione – che precedette di poco la celebre infrazione al Watergate Building, e che inaugurò la grave crisi di legittimità che caratterizzò la presidenza di Richard Nixon – riguardava l’ammissione, da parte degli esperti del Pentagono, dell’assoluta inutilità strategica dell’impegno americano in Vietnam. Che questa ammissione, nota ormai da anni ai più, venisse addirittura riconosciuta – e tenuta segreta – dai governanti statunitensi fu motivo di profonda indignazione nella pubblica opinione. A partire da queste premesse, Hannah Arendt, nel saggio qui proposto in nuova traduzione, riflette sul rapporto fra politica e menzogna. Il saggio, uscito nel 1972 sulla «New York Review of Books», prende in esame le affinità e le differenze fra la menzogna tradizionale – il mentire per ragion di Stato – e la deliberata falsificazione dei fatti per ragioni di "immagine" o di "reputazione". Ben oltre una mera ricognizione sui metodi pubblicitari, manipolatori del consenso e della pubblica opinione, all'opera nelle moderne democrazie di massa, il saggio di Arendt offre una profonda e originale riflessione sulla natura della politica e il suo rapporto con la verità. Testo originale a fronte
Si dice: la verità trionfa sempre; ma sappiamo bene che non è vero. È vero però che la verità ha un solo modo di essere tale, mentre, al contrario, la menzogna è suscettibile di un'infinità di combinazioni. Essa non è mai uguale a se stessa, straripa, trabocca, si moltiplica in centinaia di figure diverse, s'insinua, come appare sempre più evidente, in tutti i meccanismi della società. Disponibile nelle sue molteplici forme, anche le più insolite, la menzogna trova conferme continue della sua vastissima diffusione. Immaginando che nel mondo domini la menzogna, le insidie che assediano quotidianamente la verità - nel discorso pubblico, nella politica, nella capacità stessa di ragionare in modo onesto - emanano da essa con una forza che tende a scardinare le basi della convivenza civile. Franca D'Agostini orchestra un'analisi dei suoi meccanismi con lo strumento affilato e affidabile della logica, spiegando come si origina, in quali forme si presenta e come può essere riconosciuta.
Il testo è un'introduzione alla filosofia della scienza cognitiva. Negli ultimi vent'anni il dibattito sui fondamenti concettuali della scienza cognitiva è stato molto intenso e la proliferazione di programmi di ricerca alternativi al cognitivismo classico (come il connessionismo, la robotica situata e la teoria dei sistemi dinamici) ha generato l'impressione che la scienza cognitiva sia entrata in una fase di crisi. Obiettivo del volume è fornire al lettore uno strumento per orientarsi in questo intricato dibattito e arrivare a formulare un giudizio personale in merito all'effettivo stato di salute della scienza cognitiva. Da un'introduzione storico-concettuale all'idea stessa di scienza cognitiva, passa a presentare una sistemazione filosofica dei fondamenti del cognitivismo classico della teoria computazionale e rappresentazionale della mente di Jerry Fodor. Non mancano l'indagine del rapporto tra psicologia e neuroscienza, e lo studio dell'evoluzione della scienza cognitiva cosiddetta "corporea e situata".