
Le «prediche al Papa» di don Divo Barsotti, tenute nel 1971 durante il pontificato di Paolo VI nel contesto degli annuali Esercizi spirituali alla Curia romana, affondano le radici nella sua ampia e profonda esperienza mistica del mistero di Cristo e della Chiesa, centro della storia umana e cosmica. Le esortazioni spirituali lasciano così affiorare, nel suo rapporto e inserimento fondamentale nella vita cristiana, una stupenda teologia del sacerdozio: a partire dalla vocazione sino al sacrificio eucaristico, «supremo esercizio del ministero sacerdotale cristiano», passando attraverso riflessioni sulla missione, la testimonianza, l’ascolto della Parola, la dimensione della carità, la preghiera personale e liturgica. Costante è l’aggancio all’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Destinatari
Un ampio pubblico di religiosi e laici credenti.
Autore
Divo Barsotti (Palaia/Pisa,1914 Firenze,2006), pochi anni dopo l’ordinazione sacerdotale, per interessamento di Giorgio La Pira si trasferì a Firenze, dove iniziò la sua attività di predicatore e scrittore. Ai nostri giorni è unanimemente riconosciuto come mistico, e come uno degli scrittori di spiritualità più importanti del secolo appena trascorso. La sua produzione letteraria è notevolissima: più di 150 libri, molti dei quali tradotti in altre lingue, e diverse centinaia di articoli presso quotidiani e riviste di spiritualità. Ha fondato la “Comunità dei figli di Dio”, famiglia religiosa di monaci (sacerdoti e fratelli), che vivono in case di vita comune, suore e laici consacrati che vivono nel mondo.
Don Lorenzo è stato un fustigatore verso la Chiesa come verso di noi. Noi l'abbiamo capito subito la Chiesa no! Ha continuato a pungolare e ferire la nostra dignità di ragazzi, finché s'imparasse a reagire, a non subire, a uscire dalla timidezza, per essere domani liberi e sovrani e non benestanti e oppressi. Ci ha insegnato che non serve avere le mani pulite se si tengono in tasca, ad avere la speranza, a organizzarsi perché i sogni non restino illusioni. Con la parola alla gente non si fa nulla, sul piano divino ci vuole la grazia e sul piano umano ci vuole l'esempio.
Questa nuova edizione contiene anche il testo integrale del Discorso che Papa Francesco ha tenuto a Barbiana, nella storica visita fatta il 20 giugno 2017 per i 50 anni dalla morte di Don Lorenzo Milani. È stata anche ampliata e valorizzata la parte dedicata ai "messaggi che non tramontano", raccolta di frasi di Don Milani, divisi per temi, che offrono insegnamenti oggi più che mai urgenti.
Il termine reciprocità ricorre spesso nei pronunciamenti magisteriali di Francesco, o nei suoi scritti di vario genere. E numerosi sono anche i sinonimi, le perifrasi e le metafore che ne enfatizzano le diverse semantiche. L'insistenza della terminologia che esprime e declina la reciprocità nell'insegnamento del pontefice, produce una serie di conseguenze teologiche, dando adito al ripensamento - in prospettiva sistematica, ma anche pastorale e spirituale - di alcuni temi importanti, come l'ontologia agapico-trinitaria, la fraternità ecclesiale, l'amore coniugale e la vita familiare, il dialogo interreligioso ed ecumenico, nonché una visione cristiana del mondo ricompresa nei termini di quella che papa Bergoglio chiama «ecologia integrale». La lezione sulla reciprocità, in questo articolato orizzonte, può far maturare l'attitudine pro-esistenziale - che dev'essere sostenuta anche da una lucida consapevolezza teologica - a portarsi dentro l'altro e a portarsi l'altro dentro.
Avete mai visto infelice un operatore che nelle periferie delle nostre città e del nostro mondo si occupa dei poveri, degli ultimi, degli ammalati? Questa è la domanda provocatoria che pone l'autore, esperto docente di politiche per lo sviluppo sostenibile, a cui fa da contraltare la risposta, altrettanto provocatoria, che la migliore terapia contro l'infelicità è quella di essere cristiani generosi e gioiosi, come ci chiede il Papa. Le pagine di questo libro, arricchito dalla prefazione di Mattero Truffelli, accompagnano il lettore a intraprendere questo percorso di ricerca della felicità, compiendo il salto dall'idea alla realtà, attraverso la proposta di indicazioni concrete per l'azione: proposte precise per l'impegno di laici che, a partire dai principi, dai contenuti dell'Evangelii gaudium, vogliano prendere sul serio la loro chiamata alla "trasformazione delle varie realtà terrene affinché ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo", mettendo al primo posto la "preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale" (EG 201).
I due saggi raccolti in questo volume, "Il senso della Chiesa" e "La Chiesa del Signore", costituiscono un anello che racchiude la meditazione religiosa e l'impegno concreto di predicazione e d'apostolato di Romano Guardini. Il primo scritto (1922) ha rappresentato un evento storico, poiché vi si avvertiva il sorgere di un senso della comunità religiosa che rompeva le angustie dell'individualismo spirituale. Guardini vede la Chiesa non come potenza dominatrice, ma come realtà che vive nel credente, aperta sul mondo, anche sui non credenti, in fiducia verso lo Spirito. Tali lineamenti sono approfonditi nel secondo saggio (1965), che presuppone la discussione del Concilio Vaticano II e accoglie con gioia gli aspetti emersi nei documenti conciliari, esprimendo però solo un desiderio: «che il cammino dell'epoca presente non sia per portare ad un appiattimento o superficialità, o ad un indebolimento della Chiesa, ma che resti sempre chiaro alla coscienza che la Chiesa è "mistero", ed è "roccia"... Essa vive per la propria missione e la deve adempiere, fosse pure a prezzo dello scandalo».
Frainteso, criticato, a lungo ostacolato sia dalle autorità scolastiche che da quelle religiose, don Lorenzo Milani è stato una delle personalità più significative del dibattito culturale del secondo dopoguerra. Forte di una convinzione che nasceva da una matura e disincantata osservazione del contesto sociale nel quale gli operatori culturali dovevano agire, giunse a rivoluzionare completamente il ruolo dell'educatore, denunciando la natura classista dell'istituzione scolastica italiana, andando incontro concretamente alle esigenze dei ceti meno privilegiati. Queste lettere ben rappresentano le speranze e la tenace volontà di questo coraggioso innovatore oltre che essere uno straordinario documento di accesso alla figura "privata" di don Lorenzo. E, se qualche volta si può dare alle «sue parole un significato diverso da quello che era il suo vero pensiero», ciò che non va tradito è il continuo tornare al binomio: "ragione" (nel senso di intelligenza messa in gioco nella vita) e "poveri" (che tutti noi siamo, nel nostro intimo), all'emancipazione cristiana più vera che deve fare i conti una prospettiva di Vangelo insuperabile, quella del Cristo che salva non i ricchi e sapienti, ma i piccoli, gli ultimi.
II volume parte dall'idea che il problema ambientale e le soluzioni prospettate interpellano il pensiero non solo antropologico, ma anche teologico. Su questa base si innestano riflessioni che affrontano il tema ecologico dal punto di vista storico-filosofico, economico, politico, etico.
Tra luglio e dicembre del 1933 il teologo cristiano Gerhard Kittel e il filosofo ebreo Martin Buber intrattengono una polemica pubblica che si esprime attraverso alcuni brevi testi, proposti integralmente per la prima volta in italiano. La disputa si incentra sulla figura del ger, lo straniero che nei tempi biblici viveva in mezzo al popolo d'Israele e la cui collocazione sociale diviene ora paradigmatica per l'atteggiamento cristiano nei confronti degli ebrei che, a parti invertite, hanno assunto quel ruolo nella società tedesca. La discussione, che riguarda una questione attualissima - divenuta ancor più cruciale dopo l'ascesa di Hitler al cancellierato il 31 gennaio 1933 - assume quindi la veste di una diatriba nell'ambito dell'esegesi biblica. L'esito dovrebbe per Kittel fornire - e per Buber sottrarre - al legislatore tedesco un supporto biblicamente fondato per assumere decisioni sul posto e sul ruolo da assegnare agli ebrei nel Terzo Reich. Al di là del palese fair play accademico, tutto separa religiosamente e politicamente i due interlocutori. L'unico terreno comune è il riferimento al testo biblico, la cui normatività ed esemplarità è costitutiva, sia pure in modo non identico, delle rispettive appartenenze religiose.
L'11 febbraio 2013, Benedetto XVI comunica di rinunciare al ministero petrino. È l'inizio di quaranta giorni che cambiano profondamente la storia della Chiesa. Dal giorno della rinuncia al momento in cui Papa Francesco - eletto come successore di Benedetto XVI - e il suo predecessore danno vita al primo incontro tra un Papa e un Papa emerito nella storia, la Chiesa subisce una profonda trasformazione. Ma davvero Papa Francesco e Papa Benedetto sono così differenti? E perché la rinuncia di Benedetto ha portato a un Papa così diverso e così "nuovo"? E in che modo i cardinali sono arrivati a questa scelta? Ripercorrendo i quaranta giorni che hanno cambiato la Chiesa, l'opera vuole dare una chiave di lettura a questa "Quaresima della Chiesa", guardando al futuro e alle nuove sfide che dovranno essere affrontate. Qual è l'eredità di Benedetto? E quali saranno le sfide e l'eredità di Francesco?
La lectio magistralis tenuta da Benedetto XVI all'Università di Ratisbona, dinanzi ad alcuni esponenti del mondo della scienza, continua a rappresentare una frontiera che stimola credenti e non credenti a non disperdere la speranza in un domani dove la ragione e la fede alimentano la fiducia in un mondo migliore. A dare forza a questa visione è stato lo stesso papa emerito, quando nel 2011 ha voluto il "Cortile dei gentili", la struttura che, all'interno del Pontificio Consiglio della Cultura, ha il compito di favorire il dialogo tra credenti e non credenti. Il valore di questa iniziativa, che ha la natura giuridica di una Fondazione e che si avvale di una qualificata consulta scientifica, si esprime nella capacità di affrontare i grandi temi del nostro tempo senza perdere mai di vista la "fonte" ispiratrice di un dialogo maturo, profondo e necessario. La riflessione interculturale sul "Discorso di Ratisbona" si situa in questa prospettiva. Premessa di Gianfranco Ravasi e introduzione di Antonino Raspanti.
A un primo sguardo, molte delle più significative icone russe del XIV e XV secolo sembrano viziate da assurde incongruenze, violazioni inspiegabili del canone prospettico e della conseguente ‘unità’ della rappresentazione: edifici di cui vengono raffigurati insieme la facciata e i muri laterali; libri (i Vangeli) di cui si scorgono tre o addirittura tutte e quattro le coste; volti con «superfici del naso e di altre parti» che non dovrebbero vedersi; e, a sintesi di tutto, un policentrismo che fa coesistere «piani dorsali e frontali». Eppure, simili icone ‘difettose’ – fondate proprio sull’eresia di prospettive «rovesciate» – risultano infinitamente più creative ed espressive rispetto ad altre più corrette, ma inerti. Come mostra Pavel Florenskij in questa perorazione fiammeggiante – con un excursus storico che si estende dalle scenografie del teatro tragico greco ai vertici della pittura rinascimentale e oltre –, quelle violazioni, lungi dal dipendere da una « grossolana imperizia nel disegno», sono «estremamente premeditate e consapevoli». Di più: riassumono una ribellione, cognitiva prima che estetica, alla stessa egemonia della rappresentazione prospettica e alla sua presunzione di detenere «l’autentica parola del mondo». Ne deriva una sorta di invettiva, in cui il regesto delle carenze della prospettiva lineare e della visione del mondo che la presuppone si traduce, a contrario, in quello dei caratteri richiesti dall’«arte pura»: la sola che ci permetta di accedere – come le dorate «porte regali» dell’iconostasi – all’«essenza delle cose» e alla «verità dell’essere».