
Fu il 20 settembre 1918, in uno sperduto convento del Gargano, che padre Pio da Pietrelcina vide iscriversi sul proprio corpo le cinque piaghe di Gesù. Non era un momento qualunque nella storia d'Italia. Alla carneficina della Grande Guerra si era aggiunta l'ecatombe dell'influenza spagnola. Perciò, il "crocifìsso vivo" venne investito da una smisurata offerta di preghiera e da un'accorata domanda di grazia. Ma suscitò anche una sorda diffidenza e un'aperta resistenza. La diffidenza dell'Italia laica, nell'infuocato clima politico del "biennio rosso". La resistenza del Vaticano, ostile alle forme più spinte di religiosità carismatica. Così, fin dagli anni Venti la storia di padre Pio si intrecciò strettamente con la storia della Chiesa e con la storia d'Italia. Denigrato dal frate-medico Agostino Gemelli, e quasi perseguitato dai presuli del Sant'Uffizio, il cappuccino con le stigmate trovò potenti difensori all'interno del Partito nazionale fascista. Seguirono decenni di vicende gravi e perfino rocambolesche, tra conversioni e ritorsioni, pellegrinaggi e sciacallaggi, congiure e abiure, finché l'avvento al soglio pontificio di Pio XII non permise il pieno dispiegarsi del culto garganico. Ma neppure allora la storia potè dirsi finita. Giovanni XXIII scatenò contro padre Pio un'ultima offensiva, prima che il papa polacco ne riconoscesse le virtù e lo elevasse agli altari.
Francesco d'Assisi è universalmente conosciuto come colui che amava la povertà e predicava agli uccelli e come il primo stimmatizzato della storia. A partire dal medioevo, innumerevoli agiografie e moltissime opere a lui sono state dedicate e, ai giorni nostri, la sua fama supera largamente le frontiere del cattolicesimo, poiché credenti di tutte le confessioni e numerosissimi non credenti si interessano a san Francesco e al francescanesimo, che ha segnato in profondità il cristianesimo occidentale. Malgrado la simpatia generale che circonda la sua figura, il «Povero d'Assisi» è conosciuto in modo superficiale e impreciso dal grande pubblico, in quanto la sua immagine è stata deformata da interpretazioni edificanti o fantasiose che ne hanno intorbidito e snaturato il messaggio.
Negli ultimi cinquant'anni le ricerche a lui consacrate, in Italia e nel mondo intero, hanno modificato in modo radicale la conoscenza e la comprensione della vicenda e della personalità del Poverello. Pertanto, è diventato urgente consacrargli un nuovo lavoro di sintesi sulla base delle ricerche piú solide. Non si dimentichi inoltre che oggi ci si riferisce spesso allo «spirito d'Assisi» e al contributo che esso può offrire a riportare la pace tra le diverse religioni (nel 1986 Giovanni Paolo II ha invitato nella città umbra i principali esponenti delle grandi religioni). Il presente volume cerca di spiegare, ponendosi dal punto di vista dello storico, perché Francesco d'Assisi continui a esercitare un'autentica fascinazione a distanza di otto secoli.
«La difficoltà che incontriamo nel cogliere la figura del Povero d'Assisi nella sua realtà storica dipende in larga misura dal fatto che la sua esperienza religiosa è stata presentata spesso come la riproduzione pura e semplice di quella di Gesú: lo indica il titolo di alter Christus (secondo Cristo) a lui attribuito da diversi autori a partire dalla fine del Duecento. [...] Sicuramente Francesco d'Assisi ha cercato di "seguire le orme" di Gesú di Nazareth, secondo quanto riusciva a scoprire nelle sacre Scritture (i Vangeli ma anche i Salmi!) e tra gli esseri umani incontrati; ma ha effettuato delle scelte fra le diverse immagini di quel Cristo che egli aveva collocato al centro della sua esistenza. In sintesi, diciamo che ha dato della vita del Cristo una interpretazione molto radicale, poiché egli era un laico la cui intelligenza non era ingombra da formulazioni dottrinali né da influenze delle correnti filosofiche e teologiche. Realizzando il vangelo alla luce della sua esperienza personale e della sua cultura cittadina e cavalleresca, Francesco ha scelto di seguire un Cristo povero e mendicante, sempre in cammino, che condivideva con i marginali la precarietà delle loro condizioni di vita [...]. Ma non ha cessato, dal secolo XIII, di esercitare un effettivo fascino sugli spiriti e costituisce ancora oggi una figura a cui gli individui e le società si rapportano in modo giovevole per trovarvi, secondo la parola evangelica, nova et vetera, verità antiche e idee nuove».
Il libro illustra il ciclo dedicato a san Francesco, spiegandone il significato ed i particolari scena per scena, come se accanto al visitatore ci fosse una guida che parla e chiarisce. Il linguaggio è semplice e piano, ma il racconto è anche aggiornato alle tante novità emerse negli studi più recenti. Il ciclo, dipinto sotto il pontificato di Nicola IV (1288-1292), il primo papa francescano, esalta San Francesco ma anche le virtù dei compagni nel seguire le orme di Cristo. Infatti l’Ordine, quando decise di fare dipingere le storie con la vita e i miracoli di san Francesco, poteva già contare nelle proprie file un altro grande santo: Antonio da Padova. A lui è affidato il compito di trasmettere il messaggio di san Francesco, adeguato ai mutamenti storici avvenuti nel frattempo.
Due ragazzi benestanti, colti, imbevuti di letture - soprattutto lui - di nobili cavalieri e amori cortesi. Ma quando un giorno questi due giovani, destinati a ereditare gli onori del loro stato sociale, volsero lo sguardo sulle cose degli uomini, videro un mondo che tradiva il messaggio del Vangelo e lo rifiutarono. Decisero, in momenti diversi, di spogliarsi delle loro ricchezze e, nudi, di abbracciare una nuova vita per gli ultimi. Quelle di Chiara e Francesco furono due esistenze che si intrecciarono strettamente pur percorrendo, ciascuno dei due santi, cammini differenti. Lo scopriamo direttamente dalle loro voci, dai loro scritti, a cui Chiara Frugoni dedica in questo libro uno spazio del tutto nuovo. Facendo parlare direttamente i protagonisti, la Frugoni fa del lettore un compagno di strada di Chiara e Francesco, permettendogli di accostarsi al loro generoso progetto e alle resistenze, ai tradimenti, ai compromessi con cui i due dovettero fare i conti per rendere reale la loro utopia. Del resto è una storia, quella di Chiara e Francesco, che col passare dei secoli nulla ha perso della sua travolgente novità. Al contrario, è come se il tempo trascorso non smettesse di sottolinearne la radicale modernità: il rapporto con i poveri, e quindi col denaro e il potere; il ruolo non subalterno della donna; la funzione dei laici nell'istituzione religiosa; l'importanza del lavoro manuale in servizio del prossimo e come garanzia di libertà; la relazione con fedi diverse.
Questa biografia, ormai considerata un classico all'altezza di quella personalità eccezionale che fu Agostino d'Ippona, viene ora riproposta in un'edizione notevolmente ampliata. Il ritrovamento di un imponente numero di lettere e sermoni, che gettano nuova luce sul ministero agostiniano, ha infatti indotto Peter Brown a ricollocare in diversa prospettiva storica alcuni aspetti essenziali dell'attività vescovile e della teologia agostiniana. Il volume esamina, attraverso la ricostruzione della vita di un personaggio in costante trasformazione, vicende, esperienze e atmosfere di quell'età di terribili crisi e rivolgimenti che avrebbe caratterizzato il passaggio dal mondo pagano al cristianesimo.
La liquefazione periodica del sangue di san Gennaro non è ufficialmente riconosciuta come miracolosa dalla Chiesa cattolica, che più cautamente ora parla di prodigio. Ma il fenomeno è stato per secoli chiamato miracolo in testi liturgici approvati dall'autorità ecclesiastica e in discorsi di vescovi, cardinali, papi e santi. L'Inquisizione ha inoltre sottoposto a formali processi coloro che lo hanno attribuito a cause naturali. La questione del riconoscimento ufficiale, se ha un senso per gli ultimi cinquant'anni, ne ha dunque tanto meno quanto più ci si spinga indietro nel tempo. Perché quel mutare in determinate circostanze fu di fatto considerato un miracolo ed è questo ciò che interessa allo storico. Come si può però far storia naturale di qualcosa che per definizione supera l'ordine del creato? La ricostruzione che qui si abbozza non si interroga sul miracolo in sé, bensì sulla cultura che lo ha identificato come tale. Obiettivo di questo lavoro è infatti ripercorrere in chiave antropologica gli sforzi compiuti da uomini e donne del passato per concettualizzare un fenomeno complesso e sfuggevole. Il miracolo di san Gennaro assurge cosi a punto di osservazione privilegiato da cui ripercorrere non solo la storia di Napoli, ma anche e soprattutto l'evoluzione della mentalità di chi, persino in terre assai lontane, con quell'appuntamento periodico si è nel tempo confrontato. E consente di delineare una storia della meraviglia e della sua funzione conoscitiva.
In questa "Vita" risaltano le ambizioni e la vivissima intelligenza di San Francesco, le debolezze e i difetti del carattere, ma anche le superstizioni radicate che egli aveva in comune con gli uomini del suo tempo. In questo modo l'autrice ha cercato di percepire il significato della santità di Francesco e della sua dissonante diversità rispetto al contesto storico nel quale si trovò ad agire. Con una prefazione di Jacques Le Goff.
Perché per un cinquantennio le pareti della Basilica superiore rimasero bianche nonostante Francesco riposasse, in quella inferiore, dal 1230? Occorreva lodare il fondatore ma nello stesso tempo raccordare i suoi ideali di povertà assoluta agli stridenti cambiamenti avvenuti nel frattempo: i frati rifiutavano ormai il lavoro manuale, studiavano e volevano essere mantenuti dai fedeli. Secondo l'autrice, gli affreschi, legati l'uno all'altro, dipendono da un unico e coerente programma; fu realizzato però in tempi diversi, da Cimabue in poi, fino al ciclo dedicato al santo, dipinto sotto Nicola IV (1288-92), il primo papa francescano, ciclo che si basa sulla "Legenda maior" di Bonaventura. Ma un'altra sua opera è da tenere presente: le "Collationes in Hexaëmeron", Accettando in modo prudente ma deciso le previsioni di Gioacchino da Fiore e dello pseudo-Gioachino, si attua il raccordo fra posizioni inconciliabili. Francesco ha anticipato, come un prototipo, l'Ordine perfetto dei contemplativi che si concretizzerà solo in futuro, Ordine che non è ancora quello di Bonaventura. I suoi frati, preparandosi attraverso lo studio e la dotta predicazione, concorrono perciò attivamente a realizzare il progetto divino. In un volume illustrato, Chiara Frugoni, studiosa di Francesco e di iconologia francescana, offre un'inedita chiave interpretativa dell'intera Basilica superiore.
Allestito con le scenografie dipinte dallo stesso Dario Fo ormai quindici anni fa e tornato a calcare le scene in una nuova forma al Teatro Duse di Bologna nel febbraio del 2014, "Lu santo jullàre Franzesco" prende spunto da leggende popolari, testi canonici del Trecento e documenti riscoperti negli ultimi tre secoli. A emergere è il lato umano del santo che amava definirsi "jullàre al servizio di Dio": la personalità multiforme, la capacità di comunicare l'idea di un Dio aperto al dialogo con l'uomo peccatore, il carisma e l'abilità istrionica che lo hanno reso universale patrimonio dell'umanità e non solo della Chiesa. In questa riscrittura Fo dedica l'incipit del testo a papa Francesco, a un possibile cambiamento di rotta della Chiesa (più un auspicio che una scommessa a tutti gli effetti) e alla decisione di Bergoglio di chiamarsi, appunto, Francesco. Un nome che nessun papa aveva osato scegliere prima, per un santo che il potere ecclesiastico aveva a lungo cercato di "addomesticare", riuscendoci solo dopo la sua morte con l'imposizione di una biografia autorizzata e l'eliminazione di qualsiasi riferimento al Francesco sovversivo della prima cronaca.
Una tra le opere più lette,citate e commentate della cultura occidentale.
Non è un'autobiografia, non è un trattato filosofico, non è da interpretare come pura teologia o sola mistica: eppure, dopo la Bibbia, "Le confessioni" di Agostino sono il libro più letto, commentato, amato e odiato dal V secolo ai giorni nostri. Secondo le più avanzate ipotesi degli studiosi, "Le confessioni" possono essere considerate una magistrale sceneggiatura nella quale si potrà leggere il percorso di un "Bildungsroman", intercalato da grandiose digressioni. Il commento di Maria Bettetini, pubblicato per l'edizione della "Biblioteca della Pléiade" e qui rivisitato, offre al lettore alcune chiavi storiche e culturali per comprendere pienamente il testo, proposto nella classica traduzione di Carlo Carena. Con la cronologia della vita e delle opere e la bibliografia essenziale.
Due ragazzi benestanti, colti, imbevuti di letture - soprattutto lui - di nobili cavalieri e amori cortesi. Ma quando un giorno questi due giovani, destinati a ereditare gli onori del loro stato sociale, volsero lo sguardo sulle cose degli uomini, videro un mondo che tradiva il messaggio del Vangelo e lo rifiutarono. Decisero, in momenti diversi, di spogliarsi delle loro ricchezze e, nudi, di abbracciare una nuova vita per gli ultimi. Quelle di Chiara e Francesco furono due esistenze che si intrecciarono strettamente pur percorrendo, ciascuno dei due santi, cammini differenti. Lo scopriamo direttamente dalle loro voci, dai loro scritti, a cui Chiara Frugoni dedica in questo libro uno spazio del tutto nuovo. Facendo parlare direttamente i protagonisti, la Frugoni fa del lettore un compagno di strada di Chiara e Francesco, permettendogli di accostarsi al loro generoso progetto e alle resistenze, ai tradimenti, ai compromessi con cui i due dovettero fare i conti per rendere reale la loro utopia. Del resto è una storia, quella di Chiara e Francesco, che col passare dei secoli nulla ha perso della sua travolgente novità. Al contrario, è come se il tempo trascorso non smettesse di sottolinearne la radicale modernità: il rapporto con i poveri, e quindi col denaro e il potere; il ruolo non subalterno della donna; la funzione dei laici nell'istituzione religiosa; l'importanza del lavoro manuale in servizio del prossimo e come garanzia di libertà; la relazione con fedi diverse.
Restano famose le pagine che Auerbach dedicò a Gregorio di Tours in Mimesis, facendone il prosatore esemplare di un'epoca che aveva nel realismo immediato, cioè senza forti mediazioni intellettuali, la sua caratteristica stilistica. Poche idee astratte, nessuna strutturazione sintattica del mondo, ma in compenso immagini vive e tangibili, di grande forza espressiva. Tutto questo Auerbach lo diceva a proposito della Storia dei Franchi. Ma Gregorio di Tours, oltre che storico, fu un fecondissimo agiografo. I suoi otto libri di "Miracoli" rappresentano una delle testimonianze più importanti per lo studio di quello che viene considerato l'aspetto distintivo della religiosità del periodo post-romano: il culto dei santi e delle loro reliquie. Dei quattro libri dedicati a san Martino, patrono della città di Tours di cui Gregorio fu vescovo metropolitano, viene qui proposta la prima traduzione italiana accompagnata da un ampio commento. Il racconto dei miracoli di Martino si snoda in una narrazione realistico-simbolica che possiede molteplici motivi di interesse: in primis quello propriamente religioso, per il significato quasi liturgico delle ripetute sequenze miracolistiche, e per il carattere a un tempo fisico e spirituale proprio del santo presente ancora in questo mondo attraverso le sue reliquie; poi quello culturale, per il rapporto con la medicina popolare e con la tradizione medica greco-romana, ma anche per il significato attribuito alla malattia del corpo interpretata come segno dell'unica vera malattia: quella dell'anima; infine quello pastorale e politico, sia per quanto riguarda le modalità e i contenuti della predicazione svolta da Gregorio, sia per la connessione di quest'ultima con una visione interamente confessionale della società umana che il vescovo di Tours condivise con Gontrano, il sovrano della dinastia merovingia a cui fu maggiormente legato. Si tratta di motivi tra loro interconnessi, difficilmente scindibili l'uno dall'altro, rintracciabili nei resoconti di ogni singolo miracolo: resoconti strutturati all'interno di un protocollo che ha strettamente a che fare con l'organizzazione dei pellegrinaggi e la conservazione delle reliquie, e rimanda a un impasto complesso di spiritualità e agire politico. Quest'opera di Gregorio di Tours ci immerge in un mondo non sempre facile da comprendere, e in una religiosità affascinante anche perché così diversa da quella delle epoche precedenti e successive.