
Come l’essere umano è intrinsecamente legato al corpo che abita, così anche la grazia di Dio ha bisogno di situarsi nel tempo e nello spazio per “accadere”.
E anche se nel cristianesimo gli spazi rituali sono ormai relativi, ovvero non costituiscono più la sostanza della liturgia, ne defi niscono comunque la qualità. Per questo meritano ancora che gli si riservi una certa cura. È ciò che cerca di fare Giuliano Zanchi con questo libro in cui ci offre una rassegna di quelli che lui stesso defi nisce “luoghi della grazia”. Perché, per usare le stesse parole dell’Autore, «predisporre la consistenza di un altare, di un ambone, dare forma a un’assemblea, disegnare luoghi di passaggio, illuminare lo spazio non sono esercizi puramente ornamentali [...]. Non si tratta semplicemente di arredi. Ma di luoghi della presenza».
Attraverso un’analisi storico-artistica delle forme si cercherà quindi di comprendere l’importanza di questi luoghi anche per il presente, svelando l’evoluzione teologica di cui sono segno.
Michelangelo Merisi, lombardo di nascita, abitò e lavorò a Roma tra il maggio del 1592 e il maggio del 1606. E la città, nei chiaroscuri che caratterizzano la vita dell'artista maledetto per eccellenza, può senza dubbio essere definita la grande protagonista della sua vita. Fu nella Città Eterna che il Merisi divenne "Caravaggio". Questo volume offre quindi un doppio ritratto: quello di Caravaggio e della "sua" città a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento. In un viaggio che segue il vissuto e le opere del pittore, ricostruendo quanto accadeva intorno a lui e quanto la città poteva offrirgli. Ed ecco allora che i vicoli, i bordelli e i grandi palazzi prendono vita, in un itinerario che emerge dai dettagli nascosti nelle sue opere più celebri, senza trascurare i grandi personaggi con cui l'artista entrò in contatto.
Per Carl Gustav Jung l'arte fu l'amorosa compagna segreta di tutta la vita. Disegnò, dipinse, scolpì, intagliò il legno, progettò architetture con la maestria e la versatilità di un artista rinascimentale. Pochissimi, tuttavia, ne conoscevano il talento fuori del comune, perché egli decise di non rendere pubbliche le sue opere. Il mondo rimase quindi stupefatto quando nel 2009, a quasi cinquant'anni dalla morte, venne dato alle stampe il Libro rosso, l'inedito forse più strabiliante dell'intero Novecento, dove Jung calligrafò la sua potente visione dell'inconscio, illustrandola con tavole degne della migliore tradizione miniaturistica del Medioevo. Da allora, l'artista che non volle mai chiamarsi tale occupa il posto che gli spetta anche nella storia dell'arte, oltre che nel pensiero contemporaneo. Ma molto rimaneva da scoprire. Al desiderio di ammirare finalmente i tesori mai usciti dagli archivi risponde questo libro, curato dall'istituzione che custodisce il lascito junghiano. La sontuosa iconografia, in larga parte inedita, e i saggi che ne commentano ogni aspetto - dalle raffinate tecniche pittoriche all'uso dei colori, dalle figurazioni simboliche alle valenze meditative, fino alle scelte collezionistiche, che fecero della biblioteca di Jung una «stanza delle meraviglie» - integrano in modo sostanziale quanto si sapeva della psicologia analitica, della sua genealogia e dei suoi sviluppi. Spesso prologhi visivi degli scritti, gli abbozzi, gli acquerelli, i guazzi e le sculture esprimono quel pensare per immagini che rende riconoscibili i processi psichici: un esercizio in vivo, con esiti artistici alti, del metodo dell'immaginazione attiva. E di fronte al cromatismo che accende qualsiasi soggetto Jung raffiguri, paesaggio, demone o mandala, non sarà eccessivo parlare di capolavoro.
Per la prima volta un libro racconta tutte le opere di Fabrizio De André (1940-1999), brano per brano, in ordine alfabetico. Tutti i pezzi scritti, cantati, musicati, interpretati dal grande Faber dal 1955 al 1998, che vanno a comporre un "canzoniere" immenso: da "'A cimma a Zirichiltaggia", passando per "Bocca di Rosa", "Don Raffaè", "Fiume Sand Creek", "Il pescatore", "La canzone di Marinella". Non solo le 130 canzoni (edite e inedite) pubblicate ufficialmente su disco a suo nome, ma anche quelle - quasi una novantina - dove la presenza è per così dire secondaria, nascosta, discreta o indiretta, ma contribuisce appieno alla realizzazione di opere d'arte, così come va oggi ritenuta la "canzone d'autore", di cui Fabrizio De André resta l'indiscusso, assoluto protagonista, ieri come oggi.
Nonostante le perdite, la quantità di materiali censibili sotto il cartellino Dante per immagini è sterminata: una ricchissima produzione d'opere d'arte che dai margini dei libri si estende alle pareti di chiese e di edifici pubblici e a dipinti e disegni sui supporti più diversi, o si fa plastica realtà in bassorilievi e sculture a tutto tondo. A dar vita a questa straordinaria produzione hanno collaborato artisti anonimi e nomi fra i più illustri della storia dell'arte occidentale: i vari "Maestri" che fra Tre e Quattrocento con i loro minii fecero «ridere le carte» del «poema sacro», e poi Botticelli, Signorelli, Michelangelo, Zuccari, Reynolds, Füssli, Delacroix, Ingres, Rodin, Doré, Dalí, Rauschenberg, Guttuso, fino ai contemporanei Mattotti, Ferrari e Paladino. Per ognuno di essi «il Dante» è stato una sorta di pietra di paragone su cui misurarsi o al servizio del quale piegare competenze e sensibilità personali. «Le opere di Delacroix e di Scheffer, due veri e propri capolavori del primo Ottocento francese, esemplificano perfettamente il modo in cui queste generazioni di artisti figurativi "guardano" alla Commedia e al suo autore: dopo essere stato travestito da poeta neoplatonico nell'èra di Landino e di Botticelli, l'Alighieri diventa ora "le poéte romantique par excellence". In effetti gli artisti che tra fine Settecento e primo Ottocento sono tornati a leggere il poema e a darne traduzione visiva hanno appuntato prevalentemente l'attenzione sulle grandi personalità e sulle sventurate eroine, facendone veri e propri simboli visivi capaci di vivere di vita propria e di rappresentare, estratte definitivamente dal libro, passioni e tensioni eterne. E anche gli artisti che hanno ripreso a tradurre in immagini l'intera esperienza oltremondana del pellegrino Dante, o singoli episodi di quella storia, hanno focalizzato l'attenzione sulle reazioni emotive di lui e dei suoi interlocutori piuttosto che sulla valenza educativa o morale di quell'esperienza o sul peculiare statuto del poema sacro. La prima compiuta, splendida testimonianza di questo nuovo modo di guardare alla Commedia è affidata a un quadro realizzato tra il 1770 e il 1773 da sir Joshua Reynolds, uno dei piú grandi artisti inglesi - "Il conte Ugolino e i suoi figli nella Torre della Fame" -, che segna, dopo il silenzio del XVII secolo, il risveglio dell'interesse degli artisti, e non solo il loro, per l'opera di Dante, inaugurando una nuova èra, profondamente segnata dalla sua presenza nell'immaginario collettivo, oltre che nella produzione artistica e letteraria».
L'appello accorato di Papa Francesco a tutti gli uomini e le donne, contenuto nell'enciclica "Laudato si'", rappresenta un testo di riferimento universale sull'ambiente. E con l'occhio del suo obiettivo Yann Arthus-Bertrand ci restituisce la bellezza e i lati oscuri del nostro pianeta, illustrando in modo efficace quelle tematiche racchiuse nelle parole di Francesco.E così risultano inestricabilmente legate la negligenza dell'essere umano nei confronti dell'ambiente, lo sfruttamento dissennato delle risorse comuni, il consumismo a oltranza, la politica e l'economia. Il mondo si sta degradando a un ritmo senza precedenti, le diseguaglianze sociali si dilatano innescando conflitti e catastrofi sanitarie. Tutto ciò viene efficacemente catturato nelle immagini di Arthus-Bertrand. Allora è tutto finito? No, perché Francesco crede in Dio e di conseguenza crede nell'uomo. Da qui nasce il suo invito a ognuno di noi, qualsiasi sia il nostro ruolo, a impegnarci ogni giorno in una conversione sincera al rispetto dell'ambiente, che trovi la sua radice proprio nel cuore di ciascuno di noi "poiché sappiamo che le cose possono cambiare".Queste pagine racchiudono l'impegno ambientale di due uomini straordinari, rispettosi dell'umanità e della casa comune che la ospita.
Un libro che si propone come una sorta di indispensabile «bibbia» per i veri lettori forti, gli instancabili e inarrestabili «maniaci» dei libri. Impossibile elencare tutto ciò che questa anomala guida contiene, tra mille rimandi e richiami tra l’una e l’altra sezione. A titolo puramente di esempio: i mille libri fondamentali: dall’Epopea di Gilgamesh (il libro più antico del mondo, 1700 a.C.) a Harry Potter, con autore, paese e anno di edizione; le vite: brevi cenni biografici in pillole dei più grandi scrittori e poeti di sempre; gli incipit dei più grandi capolavori di sempre; i premi: con gli elenchi dei vincitori dei premi più importanti (Nobel per la letteratura, Man Booker Prize, National Book Award, Pulitzer, Goncourt, Médicis, Renaudot, Goethe, Strega, Viareggio, Campiello, Cervantes...); i best seller: i maggiori di sempre, le serie best seller, i best seller anno per anno dal 1900 a oggi; le stroncature più celebri e più strane, i libri-film: i più importanti libri trasformati in film; le curiosità intorno ai libri; cibo e alcool: cocktail e ricette della letteratura; le più commoventi e divertenti frasi sui libri; una breve storia dell’editoria, da Gutenberg a oggi. Un catalogo, un repertorio, una enorme serie di elenchi, nomi, titoli, richiami. Un modesta guida verso il paradiso per chi ama leggere.
Un omaggio a Domenico Zipoli (1688-1726), compositore italiano, oggi considerato il musicista più “completo” tra i Gesuiti missionari. L’Autore, il Maestro Sergio Militello, attraverso queste pagine desidera far emergere il tratto umano e spirituale del musicista barocco, cercando di delineare i motivi e gli elementi della sua attività missionaria e le motivazioni interiori che lo hanno portato a ritirarsi, da una possibile carriera, facendosi religioso. Egli propone così una lettura estetico-teologica delle composizioni musicali dello Zipoli “missionario” al fine di mettere in luce l’intendimento evangelizzatore che le caratterizza.
L’Iran è un paese di frontiera, un’area di transito fra oriente e occidente, culla di una peculiare elaborazione architettonica e artistica. la cultura di matrice persiana è una delle più ricche e variegate al mondo. Giovanni Curatola traccia i contorni della civiltà dell’Iran portando alla nostra attenzione l’architettura persiana (compresa l’analisi dei suoi fondamentali aspetti ornamentali) e la cosiddetta «arte decorativa», comprendente preziose miniature, ceramiche, tappeti di ineguagliata fattura. L’incontro fra cultura islamica e mondo occidentale ha prodotto attraverso i secoli modifiche profonde in innumerevoli campi e lo stesso processo si è verificato anche nel mondo islamico, facendoci comprendere meglio le basi delle tendenze artistiche odierne in un mondo che, malgrado i conflitti, è sempre più globalizzato. Le fondamenta dell’arte islamica si ritrovano anche in quella persiana ma, partendo da un’area geografica ben identificabile, si è diffusa attraverso i secoli fino al Caucaso, all’Asia centrale, all’India e, ovviamente, all’Europa. Un esempio? L’arte islamica del mosaico, la cui conoscenza ci è oggi indispensabile per analizzare e comprendere un’intera civiltà sviluppatasi nell’arco di quasi quindici secoli.
Quella di Fabrizio De André è una vita geniale, da ripercorrere attraverso la sua musica. Luigi Viva ci guida in un viaggio per conoscere in profondità l'equilibrio struggente fra il senso dell'ironia e il senso del dramma, il coraggio e la misura, le esperienze di vita del "falegname di parole" e le sue letture, i personaggi di un sottoproletariato che sfugge alla politica, e per questo vicini all'ideale di un'anarchia bonaria. E poi l'amore per i semplici, gli sconfitti e l'attenzione per "gli ignorati e perseguitati dal potere". Questo libro è stato scritto tra il 1992 e il 1999, contemporaneamente a "Non per un dio ma nemmeno per gioco", e il lavoro fu condiviso con Fabrizio De André, che ebbe l'opportunità di vederlo e commentarlo con l'autore. Con questo secondo volume, ricco di ricordi e testimonianze, si completa così l'idea originaria di realizzare uno studio approfondito sulla vita del grande cantautore, sulla sua opera e il suo stile. Ed è come sentire la voce di De André: attraverso i suoi appunti, la sua calligrafia, le fotografie più intime, gli spartiti originali, i testi autografi con le sue correzioni e i suoi ripensamenti.
Sul tema della Guerra e della Pace sono messe a confronto le opere di un pittore che ha percorso il XX secolo, Pablo Picasso, e le parole di un filosofo, Carlo Sini, che ne ha percorsa la seconda parte, entrando nel XXI secolo. Un importante testo di Sylvie Forestier ci accompagna nella Cappella della Guerra e della Pace di Picasso e nella cronologia delle sue opere. Picasso, alla fine della prima guerra mondiale, viaggia in Italia con Cocteau e scopre il mito mediterraneo della pace. La guerra di Spagna con il bombardamento nazista di Guernica ispira a Picasso un capolavoro sulla tragedia della guerra, "Guernica" appunto, accompagnato da opere sul dolore. Dopo la seconda guerra mondiale, ad Antibes Picasso ritrova la pace mediterranea e, politicamente impegnato, ne realizza un simbolo, la colomba. La guerra in Corea lo riporta a una nuova Guernica, questa volta nel ricordo della fucilazione dipinta da Goya. La sfida della Cappella della Guerra e della Pace, unitamente a Guernica e a Massacro in Corea fa di Picasso l'artista moderno più capace di metterci con forza poetica davanti all'orrore della guerra. Le parole di Sini ci conducono al senso e alla pratica della pace. Sini ricorda Whitehead per il quale la pace era un «modo di essere, non un concetto; piuttosto è un'azione simbolica, che ha qualche connessione con l'Arte e col Bello. In questo senso essa frequenta idealmente il mito e tutte le figure archetipiche dei primordi umani». Sini insiste: «Non lo starsene in pace o l'essere lasciati in pace nel proprio rifugio e nascondiglio ma, al contrario, l'essere totalmente aperti e nell'aperto, senza più protezione (come diceva Rilke), innamorati dello spettacolo degli altri e della bellezza della vita comune; dimentichi di profitti immaginari e interamente dediti alle imprese da affrontare con i compagni che il destino ci ha dato».
Straordinario periodo di creatività archistica fu il passaggio tra primo e secondo millennio. Il cuore dell'impero ottomano, che coinvolse soprattutto regioni della Germania, Milano e la Lombardia, fu attraversato da una corrente artistica di alto profilo, stilizzatat e colta, che è rimasta documentata in alcune esperienze architettoniche, in pochi affreschi, come quelli di Galliano a Cantù, ma soprattutto nelle miniature, negli oggetti di culto e nei simboli del potere. Appare evidente l'influsso di Bisanzio, ma prevalgono i segni di una nuova sensibilità e di un nuovo gusto propriamente occidentali. Il volume affronta lo stesso periodo in Francia, nell'Inghilterra meridionale e nei regni del nord della penisola iberica.

