
Celso Costantini, primo delegato apostolico in Cina, compì un'impresa mai riuscita prima: impiantare la Chiesa tra gli eredi del Celeste Impero. Il libro, frutto della consultazione degli archivi della Santa Sede, offre un inedito spaccato storico sul ruolo fondamentale svolto in Oriente dal futuro cardinale italiano. Promotore e presidente del concilio plenario di Shanghai del 1924, portò i primi vescovi cinesi alla consacrazione a Roma nel 1926. Nei tre anni seguenti fondò la prima Congregazione religiosa maschile indigena, l'Azione Cattolica Cinese, due scuole di arte sacra cinese sull'onda della decolonizzazione religiosa e dell'inculturazione cristiana. Si prodigò inoltre per un accordo tra la Santa Sede e la Cina al fine di instaurare relazioni diplomatiche, realizzate nel 1946. Prefazione del card. Pietro Parolin. Presentazioni di mons. Savio Hon Tai Fai, mons. Giuseppe Pellegrini, fr. John Chia Khee Long.
Qual è il plurale di stomaco? Ci sorgono dubbi tra io credo che tu sei e io credo che tu sia? E tra sognamo e sogniamo? È meglio dire meeting o riunione? Come funziona un segno olofrastico? E un acronimo? Che cosa significa www? E http? Perché non c’è un’altra parola al posto di talk show? Si dice o non si dice? di Aldo Gabrielli, un classico della linguistica, si è imposto sin dalla prima uscita come un libro scritto dalla parte del lettore per risolvere tutti i dubbi che sorgono nell’uso dell’italiano parlato e scritto. Oggi, in questa nuova edizione rivista e aggiornata da Paolo Pivetti, è pronto a rispondere ai nuovi dubbi, alle molte domande, alle numerose curiosità su un italiano in continua evoluzione. Lo stile agile, il taglio giornalistico e coinvolgente, una grande ricchezza di notizie curiose, rendono questo libro, oltre che una guida preziosa e completa, una piacevole lettura.
Aldo Gabrielli, celeberrimo linguista, ha fatto della sua vocazione didattica il fulcro di tutta la sua opera. Lontano da qualsiasi posizione rigidamente prescrittiva, ha sempre seguito la logica semplice e inoppugnabile di una domanda: perché si deve dire così? Il suo lavoro è costantemente dettato, più che da regole astratte, dal ragionamento, spesso riconducibile al buon senso e comunque accessibile a tutti. Tale metodo sta alla base anche di questo libro, il cui contenuto si riassume nella domanda che fa da titolo: Si dice o non si dice?
È lo stesso metodo che ha guidato Gabrielli nella stesura del suo Grande Dizionario di Italiano, oggi pubblicato da Hoepli in un’edizione completamente rinnovata.
Paolo Pivetti, oltre a questa nuova edizione aggiornatissima di Si dice o non si dice?, ha curato in precedenza anche altre opere di Aldo Gabrielli, tutte dedicate alla divulgazione linguistica.
Un cavallino rampante, una mucca bianca e lilla, un coccodrillo: la marca è un fenomeno dilagante capace di evocare un mondo di significati, di suscitare emozioni, di influenzare valutazioni e comportamenti. Il libro esplora l'intricato mondo del brand in tutte le fasi della sua vita: dalla scelta del nome al matrimonio con marche di altre aziende, alla creazione di una vera e propria famiglia di brand guidata dalla stessa impresa, alla complessa gestione della marca nel tempo perché resista sul mercato senza appassire, sino a fenomeni ambivalenti come il boicottaggio e la contraffazione
Il libro analizza il frutto più significativo dell'incontro tra la Democrazia cristiana e il Partito socialista avvenuto tra il 1962 e il 1968: l'avvio di una politica sociale dell'istruzione. Nella convinzione che il potenziamento dell'istruzione potesse costituire il motore principale per lo sviluppo economico e il progresso civile, il progetto auspicava anche l'avvio del passaggio da democrazia formale a democrazia sostanziale ed il libro sottolinea i passaggi che nella storiografia scolastica spesso sono stati condizionati da pregiudizi ideologici.
Scrive Hans-Georg Gadamer in "Erziehung ist sich erziehen": "Per iniziare, sostengo: l'educazione (Erziehung) è educare se stessi (sich erziehen), la formazione (Bildung) è formare se stessi (sich bilden)". "Educare è educarsi", contiene il testo di una bellissima e lucida conferenza tenuta dal filosofo di Heidelberg all'età di novantanove anni. In essa vengono anzitutto trattati due grandi temi: la formazione e l'educazione dell'uomo. Il successo editoriale in Germania è dipeso anche dal linguaggio colloquiale con cui sono affrontati i problemi relativi alla scuola, all'infanzia, alla gioventù, all'essere genitori, allo studio delle lingue, ma anzitutto ai modi dell'educare. Gadamer li declina partendo dal fatto che, per diventare degli esseri "educati", occorre imparare a "educare-se-stessi" prima ancora che la famiglia, la scuola e la società contribuiscano a farlo. Il volume è curato da Mario Gennari, che ne è anche il traduttore. Alla sua Postfazione segue una Glossa di Giancarla Sola.
Pochi personaggi hanno scatenato l'acredine e il sarcasmo dell'Ingegnere quanto Ugo Foscolo ("mi fa imbestialire" ha confessato in una lettera) : tanto che nel 1958 non ha esitato a fustigarlo in una virulenta, irresistibile "farsa" a tre voci andata in onda sul Terzo Programma della Radio. Le tre voci sono quelle della stolida e giuliva Donna Quirina Frinelli, imbevuta delle auree riflessioni dell'amica professoressa Gambini; del reboante e didattico Manfredo Bodoni Tacchi, sfegatato ammiratore del poeta; e, infine, dell'insolente e sguaiato Carlo De' Linguagi, implacabile accusatore del Basetta, colpevole ai suoi occhi - nonché a quelli di Gadda - di cialtroneria, istrionismo, virilità scenica ed esasperato narcisismo: "vantarsi del pelo... è un'opinione da parrucchiere" sibila a proposito dell'"irsuto petto" del sonetto-autoritratto. E, quel che è più grave, responsabile di un "macchinoso ed inutile vocabolario", di una "sequenza d'imagini ritenute greche e marmorine", di versi traboccanti di "vergini" e simili a sciarade, nonché di veri e propri strafalcioni. Ma a ben vedere "II Guerriero" è molto più di un divertissement: giacché gli esilaranti attacchi sferrati alla gipsoteca e marmoteca foscoliana e all'epos di Bonaparte, il Nano, altro non sono che l'impetuosa denuncia di una monolingua incapace, nella sua "lindura faraonizzata" di dar conto della realtà - e della fasulla poesia dei Vati, cui spetta il compito di mascherare il volto della sopraffazione e della violenza.
Gadda e Parise cominciano a frequentarsi nel 1961, allorché Parise acquista una casa a Monte Mario, non lontano dall'appartamento di via Blumenstihl 19 dove Gadda è approdato dopo lunghe peregrinazioni e innumerevoli camere d'affitto. Gadda ha quasi settant'anni, è sopraffatto da una gloria tardiva, atterrito dai "fucili puntati" di Garzanti e Einaudi e dalle "onoranze" che gli vengono tributate, oppresso dai ricordi, straziato da un'"orrenda solitudine". Parise ha poco più di trent'anni, cinque romanzi - fra cui un bestseller, "Il prete bello" - al suo attivo e una MGb rossa; è scettico, già annoiato dal successo, forse persino sazio del suo talento, ma capace di ammirare; capisce al volo le persone e ama metterle a nudo sottoponendole a scherzi atroci. Inaspettatamente, i due diventano amici. Gadda vede nel giovane Parise "un surreale d'impeto": gli fa leggere Darwin, cerca maldestramente di proteggerlo, si offre addirittura di prefare la ristampa di "Il ragazzo morto e le comete" e "La grande vacanza", ma soprattutto non cessa di testimoniargli un affetto e una premura che sorprendono chi conosca la compassata cerimoniosità dell'Ingegnere. Parise scarrozza Gadda incurante del suo terrore di essere visto, e criticato, a bordo di una rombante biposto, lo sfotte con un'irriverenza che cela una "profonda, alta ammirazione", gli dedica quattro memorabili scritti che, insieme alle lettere che si scambiarono, documentano una fra le più imprevedibili amicizie del Novecento.
Nel 1956, allorché diventa consulente di Livio Garzanti, il giovane Citati non può sospettare che gli verrà affidato un compito impossibile: occuparsi del più impervio, moroso, nevrotico, geniale scrittore del Novecento, Carlo Emilio Gadda. Rapidamente, Citati ne conquista la fiducia: e a questo miracoloso sodalizio, durato dieci anni, dobbiamo il "Pasticciaccio", "I viaggi la morte", "Accoppiamenti giudiziosi". Ma alle funzioni di editor Citati ne ha ben presto aggiunte di ancor più delicate: quelle di confidente, amico e gaddista militante; o, meglio, di intermediario fra l'ingegnere e il mondo esterno: "Per certi aspetti mi aveva eletto suo padre ... mi chiedeva consiglio per tutte le cose della vita: le tasse, la domestica, il cibo, l'editore, il rapporto con gli scrittori e tutti gli esseri umani". Ne è prova il loro splendido carteggio, tutto da assaporare: rassicurato dalla dedizione e dal veemente impegno in suo favore di Citati, stimolato dai suoi interessi e dalla sua attività di critico, Gadda rompe gli argini, si abbandona a lettere "esorbitanti" e "barocche'"- di volta in volta eccentrici saggi, nobili "poèmes en prose", irresistibili "bizze".
A Lukones, in una villa isolata, una madre e un figlio si fronteggiano. Lui, don Gonzalo, che le dicerie vogliono iracondo, vorace, crudele e avarissimo, è divorato da un male oscuro, quello che «si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d'una vita». Lei, la Signora, è ridotta da una desolata vecchiezza e dal lutto per la morte dell'altro figlio (il «suo sangue più bello!») a una spettrale sopravvivenza. Li unisce un amore sconfinato, li separa un viluppo di gelosia, senso di colpa, rancore, dolore - preludio al più atroce degli epiloghi. Intorno a loro una casa dissennata, feticcio narcissico ed epicentro di ogni nevrosi, estremo rifugio e tomba, e un'immaginaria terra sudamericana identica alla nostra Brianza, vessata dai Nistitúos provinciales de vigilancia para la noche ? che a tutti vorrebbero imporre la loro violenta protezione ?, assediata da robinie e banzavóis, disseminata di strampalate ville, popolata di «calibani gutturaloidi» che come miserabili Proci dilapidano le attenzioni della Signora. E che Gonzalo vorrebbe cancellare, insieme al barcollante feudo e a tutte le «figurazioni non valide». Perché il «male invisibile» da cui è affetto lo condanna a distinguerle e negarle, quelle «parvenze»: a respingere la «cara normalità», la turpe contingenza del mondo. Anche a prezzo di negare se stesso, anche a prezzo della più dura cognizione, quella che consegna alla solitudine e alla «rapina del dolore».
Esistono criteri strategici generali in grado di assicurare la vittoria nella guerra contro i nemici, oppure nella lotta contro un avversario politico? O che, semplicemente, possano garantire maggiori probabilità di successo quando si devono affrontare e risolvere situazioni critiche? John Lewis Gaddis, storico della guerra fredda e autorevole esperto di politica internazionale, risponde a questi interrogativi traendo spunto da un enigmatico frammento del poeta greco Archiloco: «La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande». In un serrato confronto sia con i classici della storiografia (da Erodoto a Tucidide), del pensiero strategico (da Clausewitz a Sun Tzu) e del pensiero politico (da Machiavelli a Isaiah Berlin), sia con le opere di sant'Agostino e l'immortale "Guerra e pace" di Tolstoj, per citare solo alcune delle sue numerose fonti, Gaddis rivisita eventi e snodi epocali della storia dell'Occidente per mostrare gli esiti felici, o viceversa fallimentari, delle diverse scelte strategiche adottate dai protagonisti. Dal disastroso progetto d'invasione della Grecia del «re dei re» persiano Serse alle drammatiche contorsioni della guerra del Peloponneso, dalla sorprendente edificazione dell'impero romano a opera di Ottaviano Augusto alla sagacia con cui Elisabetta I seppe resistere all'Invincibile Armada facendo dell'Inghilterra la regina dei mari, dalla disfatta di Napoleone in Russia all'abilità dei più grandi presidenti americani (Abraham Lincoln, Woodrow Wilson e Franklin D. Roosevelt): la lezione che se ne può trarre è la ricorrente supremazia di chi ha saputo «combinare il senso di direzione tipico del riccio e la sensibilità per l'ambiente circostante tipica della volpe», ovvero la superiorità di una visione strategica attenta ai vari aspetti della congiuntura, alla peculiarità del terreno d'azione e al bilanciamento di mezzi e fini, e più incline alla flessibilità che alla dogmatica aderenza al piano originario e all'imperativo di realizzare, sempre e comunque, l'obiettivo prestabilito.