
Un saggio che si occupa di una questione piccola, vicina, ordinaria – quel “mettere like” che facciamo decine di volte al giorno – per mostrarne la grandezza, la serietà e gli effetti che ha sul nostro vivere in società. Non si tratta di un testo apocalittico che sfrutta lo spaesamento dato dalla rivoluzione digitale per trasformarlo in facile invettiva contro l’invasione della tecnologia delle nostre vite, ma di una riflessione che, nel ripercorrere la storia del like e i suoi meccanismi, ha come esito quello di chiamare a una maggiore responsabilità e partecipazione tutti gli utenti dei social network, e non solo.
Il bullismo non è uno scherzo, un litigio sporadico, un'incomprensione. Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. E il cyberbullismo è qualcosa di più dell'evoluzione del bullismo. Sembrerebbe averne, in certe situazioni, invertito la vettorialità. In altre parole: a volte vengono compiuti atti di bullismo solo ed esclusivamente affinché siano "cyber". Cioè gli strumenti digitali "chiamano", in qualche modo, certi contenuti. E quelli di bullismo sono, né più né meno di altri, contenuti che vengono scambiati. Dimenticando le sofferenze delle vittime, sovrapponendo realtà e finzione.
Il fenomeno dei social network raccontato dal punto di vista dei minori e dei genitori. Si presenta come una rassegna ma anche come un'agile guida utile a capire, ad esempio, le policy - cioè le regole - che sovrintendono la presenza dei bambini e degli adolescenti sulle piattaforme digitali. Viene raccontato il processo di costruzione dell'identità nel mondo digitale contemporaneo, illustrando come i bambini e gli adolescenti utilizzino i social network per puntellare il proprio sviluppo. E come queste piattaforme, certo ricche di opportunità, possano in realtà partorire effetti collaterali importanti: dal cyberbullismo all'ipersuggestione fino alla sovrapposizione assoluta fra dispositivo e social, strumento e social. Vengono passate in rassegna alcune delle principali piattaforme espressamente pensate per i bambini, sottolineandone i meccanismi di funzionamento e i possibili punti deboli. La tesi che accompagna tutte le pagine è che i minori sono il bersaglio quasi prevalente e più ambito dalla maggior parte di queste piattaforme e gli strumenti per difenderne la presenza online sono pressoché assenti. Di più: deludenti.
Ancora oggi è presente una viva inquietudine tra i genitori e gli insegnanti, uniti a far fronte a certi giovani i cui comportamenti provocano una sorta di malessere comune più o meno diffuso. I giovani spaventano quando non sono il riflesso delle proiezioni degli adulti, quando osano mettere in atto quelle pulsioni che gli adulti hanno rifiutato. Pierre G. Coslin guida i lettori alla scoperta della diversità dei comportamenti di questi adolescenti che sbandano e aiuta a comprenderli meglio, stimolando la riflessione sui modelli di riferimento che la società potrà proporre loro.
"Una ricostruzione avvincente che permette di conoscere la vita quotidiana e quella scientifica del Seicento, sospesa tra magia e scienza, tra la nascente chimica e l'alchimia, tra ciarlataneria e dottrina." (Giovanni Santambrogio,"Il Sole 24 Ore") Giorgio Cosmacini, medico, laureato in filosofia, insegna Storia della sanità nell'Università statale di Milano e Storia della medicina nell'Università Vita-Salute dell'Istituto Scientifico H. San Raffaele di Milano.
Uomo di scienza, medico, filosofo, Jacob Moleschott è uno dei principali protagonisti del materialismo, di quel filone di pensiero, cioè, che dal Settecento in poi trova nello sviluppo della chimica, della fisiologia e della medicina conferme a una spiegazione deterministica della realtà naturale e umana. Un filone che dà spiegazioni non solamente ai fenomeni fisiologici della vita, a ogni aspetto della natura e alla nascita dell'uomo, ma anche ai problemi filosofici, etici e sociali. Jacob Moleschott fu ostracizzato a lungo e molto tardivamente chiamato all'insegnamento universitario. Questa biografia ne ricostruisce il contributo alla luce della storia delle idee della cultura scientifica del nostro paese.
Nasce a Busseto nel 1686, Buonafede Vitali, ma da lì parte e visita mezzo mondo, dall'Inghilterra alla Lapponia. Giovane istruito, si arruola nel Reggimento dei Dragoni come chirurgo militate, viene ferito in battaglia, lascia l'incarico e, con il soprannome dei senza nome, l'Anonimo, inizia a confezionare farmaci e a viaggiare, compiendo ricerche ed esercitando sulle pubbliche piazze l'onorato mestiere di medico saltimbanco. Buonafede è un commediante nato. Ha la medicina nel cervello, la chirurgia nelle mani, il teatro nel sangue e per attirare le folle, prima e dopo l'offerta dei suoi miracolosi medicinali, recita e fa recitare commedie. Questo gli procurerà notorietà e apprezzamento, ma anche l'ostilità e l'invidia di tanti colleghi. Eppure della sua arte si fidano i popolani e i potenti e le sue preparazioni, prescrizioni e operazioni non sono poi molto diverse da quelle praticate dai suoi contemporanei. Tuttavia una cosa c'è che distingue Vitali dalla medicina dell'epoca. Per la prima volta i suoi preparati a buon mercato rendono democraticamente accessibile a tutti ciò che è sempre stato monopolio di pochi: la cura.
Nei decenni seguiti al secondo dopoguerra, la meritoria figura del "mio dottore", come si usava dire, è entrata via via in dissolvenza, si è consumata, svuotata, fino a lasciare di sé, soprattutto nelle generazioni più mature, soltanto un ricordo permeato di rimpianto. Oggi "il dottore" non c'è più, ma quello che conta, al di là dell'elogio del passato, è non rassegnarsi all'idea che i suoi pregi e principi debbano considerarsi un patrimonio irrimediabilmente perduto. La diagnosi della "scomparsa del dottore" formulata qui da Giorgio Cosmacini può essere la premessa di una prognosi che anticipa, auspica se non altro, con lo sguardo rivolto ai medici di domani, un recupero dei valori di cui quella figura era depositaria.
Uomini di poca qualità che ammantano di ciarle il loro sapere e il loro potere sono numerosi in ogni campo. Nel campo delle cure il ciarlatano è tuttavia una figura dotata di una sua dignità: è infatti il prodotto dell'angoscia esistenziale dell'uomo, dell'ansia di trovare un rimedio, magari solo consolatorio, all'inguaribilità della malattia e alla paura della morte. Sfruttare quest'ansia, lucrare su quell'angoscia, rende però il ciarlatano una figura indegna, un tipo spregevole. Questo libro racconta le storie, dal Medioevo ai giorni nostri, di ciarlatani degni e indegni, vissuti ai margini del mondo medico ma anche dentro di esso.
Tanti nomi per una sola persona: all’anagrafe nel 1783 è Agostino Bozzi, milanese; poi, da giovane, manifesta la propria anglofilia appropriandosi di una lontana ascendenza che gli permette di raddoppiare il cognome: Bozzi Granville. Da adulto, l’inserimento compiaciuto nella high society della Londra georgiana e la graditissima nomina a membro della Royal Society fanno sì che il suo nome venga completamente anglicizzato e reso aulico: Augustus Bozzi Granville. Chi è quest’uomo dalle molteplici identità? È il primo ‘medico delle mummie’, il primo a sottoporle ad autopsia.
Questa è la storia dell’‘egittomania’ di un bizzarro personaggio, ginecologo e anatomista chirurgo, ma anche paleopatologo ante litteram oltre che solerte curante dei colerosi londinesi, medico di famiglia dei Bonaparte, medico termale ai bagni di Baviera, igienista militante.