
Quest’opera intende proporre una panoramica dei principali orientamenti teorici e realizzazioni pratiche nella storia della pedagogia e dell’educazione, dalla classicità greco-romana all’epoca contemporanea, con il particolare intento di evidenziare l’evoluzione dei problemi e dei metodi quale avvio alla ricerca di un fondamento storico per lo studio delle varie discipline concernenti il fatto educativo. Lo studente dei Corsi di scienze dell’educazione o della formazione, al quale principalmente la Storia della pedagogia è destinata, dovrebbe essere in grado di aver presenti, valutare criticamente, correlare tra loro le teorie e le esperienze passate nel campo dell’educazione ed evidenziarne la validità o le riserve che suscitano in funzione della prassi e della progettazione attuale.
L’opera, in due volumi, presenta le seguenti caratteristiche generali. Per ogni epoca storica sono delineate sinteticamente le linee portanti del contesto storico-culturale ed è stato sviluppato in modo più esteso il pensiero di alcuni autori particolarmente significativi per il contributo che hanno offerto alla soluzione delle problematiche educative e pedagogiche. Nelle varie epoche storiche, inoltre, è stato dato un certo spazio alla scuola e alle istituzioni educative. Al termine di ogni capitolo, infine, vengono indicate le fonti utilizzate e alcuni suggerimenti bibliografici, per proporre una lettura con approcci differenziati dell’argomento sviluppato.
I contenuti di questo primo volume sono distribuiti in tre grandi periodi storici: l’Antichità, il Medioevo e l’Umanesimo-Rinascimento. Si spazia da Omero all’Ellenismo, dalla Repubblica di Roma alla decadenza imperiale, dal cristianesimo dei primi secoli ai Padri della Chiesa, dall’Alto e Basso Medioevo all’Umanesimo-Rinascimento all’epoca delle Riforme, a Tommaso Moro e Campanella.
Come il primo volume, anche questo secondo volume di “Storia della pedagogia” intende proporre una panoramica dei principali orientamenti teorici e realizzazioni pratiche nella storia della pedagogia e dell’educazione, dall’epoca moderna a quella contemporanea, per contribuire alla formazione di una cultura storico-pedagogica innanzi tutto degli studenti che frequentano i Corsi di scienze dell’educazione o della formazione e anche di quanti operano nel campo dell’educazione. Il volume presenta le seguenti caratteristiche generali. Per ogni epoca storica sono delineate sinteticamente le linee portanti del contesto storico-culturale ed è stato sviluppato in modo più esteso il pensiero di alcuni autori particolarmente significativi per il contributo che hanno offerto alla soluzione delle problematiche educative e pedagogiche. Inoltre, le tematiche omogenee sono state trattate in capitoli unitari, mentre è stato dato un certo spazio alla storia della scuola. Nella bibliografia del lavoro, infine, vengono indicate le fonti utilizzate e alcuni suggerimenti bibliografici, per proporre una lettura con approcci differenziati dell’argomento sviluppato.
I contenuti di questo secondo volume, sono distribuiti in due grandi periodi storici: l’epoca moderna, dalla rivoluzione scientifica all’Illuminismo e alla Rivoluzione francese, e l’epoca contemporanea, dall’Idealismo e Romanticismo al Novecento e ai primi anni del Duemila.
Francesco Casella è docente Ordinario di Storia dell’educazione e della pedagogia, di Storia della scuola, di Storia contemporanea e di Metodologia del lavoro scientifico all’Università Pontificia Salesiana. Collabora con varie Riviste. Per i tipi della LAS ha pubblicato: Il Mezzogiorno d’Italia e le istituzioni educative salesiane. Richieste e fondazioni (1879-1922). Fonti per lo studio (2000); I Salesiani e la “Pia Casa Arcivescovile” per i sordomuti di Napoli (1909-1975) (2002); Per conoscere l’Occidente. Un percorso storico culturale dall’antichità greco-romana ad oggi (2002); L’esperienza educativa preventiva di don Bosco. Studi sull’educazione salesiana fra tradizione e modernità (2007); Storia contemporanea. Antologia di documenti (2008); Storia della pedagogia, vol. I: Dall’antichità classica all’Umanesimo-Rinascimento (2009, ristampa 2013); Il clero e lo Stato unitario nella provincia di Caserta 1860-1878 (2011).
"'Assassini, terroristi, faziosi, sadici, torturatori, venduti a una fazione politica, falsificatori, criminali vestiti da giudici, macigni sulla strada della democrazia, omuncoli bisognosi di una perizia psichiatrica, cupola mafiosa, malati di mente, antropologicamente diversi dal resto della razza umana'. Ecco come sono stati definiti i magistrati italiani". In questo libro Gian Carlo Caselli risponde alle molteplici accuse che sono state mosse a lui, così come a tutta la magistratura. In una condizione di normale convivenza civile, Caselli avrebbe potuto riflettere sul ruolo istituzionale che la giustizia è chiamata ad assumere. In condizioni di normalità precaria ha dovuto invece ribadire prima di tutto che la sostanza del problema è proprio l'anormalità che insidia sul nascere, propaganda dopo propaganda, ribaltamento logico dopo ribaltamento logico, la stessa condizione di normalità. Si tratta dunque non già di un richiamo all'ordine, alle regole, al rispetto del diritto e della democrazia, ma in primis alla normalità. La stessa che, essendo così disinvoltamente confusa con il giustizialismo, ha finito per smarrire i suoi connotati originari e fare dello stesso Caselli - invece del più normale fra gli italiani - uno stravagante "puro folle" con lo strano capriccio per la legalità.
"È tutto finito; non c'è più niente da fare": le parole di Antonino Caponnetto dopo l'assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta rappresentano la disperazione di un'intera nazione. Vent'anni dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio, la mafia però non ha vinto. Nonostante che molti misteri siano ancora irrisolti e molti retroscena siano oscuri. Nonostante gli attacchi ripetuti alla magistratura, le polemiche violente, i rapporti ambigui tra politica e criminalità, i silenzi della società civile, la disillusione. In queste pagine troviamo le inchieste e i processi più clamorosi, gli imputati eccellenti e le pedine, le storie dei pentiti, il racconto di come il nostro paese sia stato invaso di capitali che hanno radici mafiose. Una mafia che in questi anni ha cambiato pelle, ha ucciso sempre meno e riciclato sempre di più. Che si è mossa senza rumore.
A Palermo abitava in un bunker. Una vita sotto scorta fin dal 1974, quando da protagonista della lotta al terrorismo rosso si trovò sotto il peso di preoccupanti minacce. Una moglie coraggiosa e due figli costretti fin da piccoli a crescere in compagnia di uomini in armi. Almeno quattro i tentativi di attentato subìti e sventati per un soffio.
Gian Carlo Caselli, il magistrato più scomodo d’Italia, rievoca le tappe fondamentali, i valori, gli amici e i nemici che hanno segnato la sua avventura umana e professionale. Non è fiction. È la storia vera di un “uomo di legge” che ha dedicato la propria vita alla giustizia, pur consapevole dei limiti delle norme. Una storia raccontata per la prima volta senza reticenze, senza tralasciare i dettagli più inquietanti: misteri, calunnie, colpi bassi, depistaggi.
Il viaggio nei ricordi diventa occasione per una riflessione sferzante sull’attualità del nostro Paese, sugli intrecci fra mafia, economia e politica, con particolari inediti sulle recenti scottanti inchieste svolte sulla ’ndrangheta nel Nord d’Italia.
Un viaggio che non dimentica le radici familiari e culturali, la fede religiosa e la laicità sempre coltivate, insieme a quella passione per il senso ultimo della legge: la difesa del debole, affinché chi è diseguale possa sempre crescere in eguaglianza rispetto agli altri.
In uno stato democratico è sulla fiducia nella giustizia che si fonda la convivenza civile. Per restaurare quel "patto" antico due magistrati da sempre in prima linea, Gian Carlo Caselli e Livio Pepino, cercano di dipanare una matassa fitta di malintesi, errori e bugie, attraverso un percorso che non arretra di fronte agli argomenti caldi degli ultimi anni: il garantismo, l'indipendenza della magistratura, la famigerata riforma del sistema giudiziario con la separazione delle carriere.
"La giustizia resta un malato grave, le cui condizioni, in mancanza di cure appropriate, si aggravano con il passar del tempo. Eppure è sempre più evidente che senza giustizia deperisce la qualità della convivenza civile. Per questo non vogliamo concederci il lusso della rassegnazione e del silenzio e continuiamo a ragionare, cercando di mettere le nostre esperienze professionali e l'analisi da esse suggerite a disposizione di chi vuole un rinnovamento profondo della giustizia (che - ne siamo convinti - è un malato curabile, a condizione che lo si voglia davvero curare ...)." (Gian Carlo Caselli).
Il rimuginici è una forma di pensiero negativo e ripetitivo che negli ultimi decenni ha assunto un ruolo fondamentale tra i fattori psicologici identificati come perno della sofferenza emotiva nella maggior parte dei disturbi psicologici. Rimuginare significa preoccuparsi delle cose negative che possono accadere, ma anche riflettere continuamente sui propri errori, su ciò che desideriamo e non abbiamo, sulle ingiustizie subite. Il rimuginio prolunga e intensifica la sofferenza psicologica, ostacola una naturale regolazione delle emozioni, soprattutto quando i pazienti non riescono a liberarsene o quando viene ritenuto utile o necessario. Il testo ricapitola i risultati teorici, empirici e clinici della letteratura internazionale e del percorso di ricerca degli autori. Si propone un impianto teorico chiaro ed esaustivo sui processi cognitivi di base e sul ruolo della conoscenza metacognitiva. Si chiarisce inoltre come le forme del rimuginio si interfacciano con i disturbi psicologici e si mostra ai clinici come intervenire sulle credenze metacognitive che orientano il rimuginio e sugli aspetti comportamentali che lo mantengono nel tempo.
Che cos'hanno in comune una rivolta di pescatori corsi in un mare colorato di rosso, un volantino piegato in quattro trovato nella tasca di una giacca, un circuito elettrico nascosto da un controsoffitto, una telefonata nel cuore della notte e un testo poetico usato nel posto sbagliato? L'inizio di una storia. O di più storie, individuali e collettive, ma sempre con due protagonisti in comune: l'ex magistrato Gian Carlo Caselli e l'Italia. Dieci date per dieci capitoli, dalle Brigate rosse alla mafia, dalla strage del cinema Statuto al 'processo del secolo' contro Giulio Andreotti, passando per il Csm e la 'ndrangheta al Nord, fino ad arrivare alle polemiche sulla Tav. Questo libro racconta gli snodi fondamentali di cinquant'anni di storia italiana intrecciati con la biografia, non solo professionale, di un testimone forse unico nel panorama della magistratura italiana: un giudice accusato di essere 'toga rossa' o 'fascista' con sorprendente disinvoltura a seconda delle stagioni e - soprattutto - degli interessi colpiti da indagini e processi. O forse semplicemente perché schierato sempre da una parte: quella della Costituzione, dove ogni cittadino è uguale davanti alla legge.
Non tutto il cibo che arriva sulle nostre tavole è dannoso per la salute o frutto di filiere illegali, ma i draghi e i camaleonti che camuffano prodotti di largo consumo spacciandoli per genuini, buoni e giusti sono un pericolo da cui imparare a difendersi.
L'agroalimentare "tira". Muove oltre 270 miliardi di euro e occupa 2,5 milioni di persone. È un pilastro dell'economia nazionale. Il principale fattore di traino è l'eccezionale appeal del made in Italy, un potentissimo ambasciatore di qualità ovunque nel mondo. E quel che "tira" logicamente "attira", per le opportunità che offre, trovando soggetti senza scrupoli pronti a sfruttare, sofisticare, adulterare. Le conseguenze sono opacità, scorrettezze e veleni che ci ritroviamo a dover consumare e avallare senza saperlo. Pur riconoscendo l'attenzione crescente riposta nel cibo buono, sano e giusto, questa autorevole e accurata indagine sul campo – condotta da Gian Carlo Caselli, oggi Presidente del Comitato scientifico dell'Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, e da Stefano Masini, docente di Diritto Agroalimentare all'Università di Tor Vergata – denuncia l'esistenza di una vera e propria task force criminale, che allinea di volta in volta operatori prepotenti, spregiudicati e maliziosi, in grado di offendere i diritti essenziali alla salute e di deludere le lecite aspettative del consumatore in termini di gusto, natura e autenticità. Eppure sconfiggere i draghi avvelenatori del cibo è possibile. C'è bisogno di conoscerli e stanarli per riporre al centro della nostra spesa ciò che vogliamo in termini di sicurezza e qualità.
La mafia è storia di un intreccio osceno di interessi, affari comuni e favori reciproci con pezzi del mondo legale. Lungi dall’essere un nemico invisibile, è da sempre ben conosciuta anche dai governi del Paese. Un nemico addirittura, a volte, volentieri tollerato.
«Ci si può stupire se un mafioso chiede il pizzo a un negoziante? Se ricatta? Se uccide? È un mafioso, che cosa vuoi che faccia? Alla fine le mosse di un mafioso le puoi prevedere. È la gran parte ‘sana’ della società a essere imprevedibile e a fingere. Finge di non sapere, finge di non capire, finge di non potere, finge che quel che accade non la riguardi. Insomma, finge di essere ‘sana’. Finge così tanto che, forse, ci crede veramente. È una ‘associazione di finzione mafiosa’. Io non ho paura del mafioso, ho paura del mio vicino che finge di essere come me.»
PIF (Pierfrancesco Diliberto)
Oltre un ventennio ci separa dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992 e da quelle di Firenze, Milano e Roma del 1993. Una tragedia nazionale che sembrò scuotere definitivamente le coscienze e provocare una reazione finalmente determinata dello Stato contro la criminalità organizzata. Eppure, la mafia è tornata a essere molto forte. Per capire le ragioni del suo radicamento dobbiamo volgere indietro lo sguardo e ripercorrere una serie di tappe che dalla strage di Portella della Ginestra, il 1° maggio 1947, arrivano fino a oggi. Ricostruendo questa storia, Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte mostrano che le mafie non sono tanto il prodotto di una arretratezza economica e culturale, quanto di una caratteristica perversa della società e dello Stato italiani. Cosa nostra è una organizzazione criminale che ha affermato, troppo spesso in maniera indisturbata, la propria ‘sovranità’ di Stato illegale. Come tutti gli Stati, anche Cosa nostra ha una sua politica interna e un suo ordinamento giuridico. E ancora, come tutti gli Stati, pure Cosa nostra ha un suo sistema funzionale ed efficace di relazioni esterne. La mafia non va dunque affrontata come semplice fatto criminale: costituisce invece l’esplicazione di un modello inquinato e inquinante che ostacola lo sviluppo del Mezzogiorno e del Paese.
Giulio Andreotti è stato assolto dall'accusa di associazione con Cosa nostra? Questo libro spiega come sono davvero andate le cose.