
Da Milano a Perugia, da Bologna a Palermo, il libro approfondisce, a partire da episodi finiti nelle cronache e ascoltando testimoni e operatori, uno dei fenomeni più allarmanti degli ultimi anni: gruppi di giovani, spesso giovanissimi, che, spesso per futili motivi, si rendono protagonisti di gravi atti di violenza. In ogni tappa del viaggio si dà voce alle persone coinvolte, da una parte e dall'altra, in queste violenze, per cercare di comprenderne a fondo le radici e per suggerire possibili soluzioni: vittime e aggressori, famiglie, insegnanti, sacerdoti, forze dell'ordine, magistrati. Al termine del percorso, il lettore scopre di poter guardare oltre i sensazionalismi e comprende la reale entità del fenomeno, le sue implicazioni legali, i pericoli che ci minacciano, gli elementi della condizione giovanile in Italia che rendono possibili queste devianze e chi sono coloro che si stanno impegnando per porre un freno alla degenerazione di tante "vite in cerca di identità".
Lavorando come due Indiana Jones della parola, andando cioè alla ricerca di quanto è uscito da bocche famosissime, scavando negli archivi e - immaginiamo - divertendosi come pazzi, gli autori hanno trovato l'Eldorado. Hanno sottratto all'oblio le perle di saggezza (eufemismo) di personaggi che nella vita quotidiana gestiscono piccoli imperi, che appartengono insomma alla "crema dell'imprenditoria nazionale". Eppure, appena si occupano di pallone, questi stessi personaggi improvvisamente si trasformano. Smarriscono lucidità. Verrebbe voglia di aggiungere: parlano come mangiano! Il calcio con le sue frenesie funziona come la "livella" di Totò: l'ultimo dei tifosi è uguale al primo dei presidenti, Paperone smette di essere diverso da Paperino.
Come i giovani vedono e vivono la politica? Queste pagine intendono rispondere con riflessioni di esperti ed amministratori alle sollecitazioni che provengono direttamente dal mondo giovanile. Un modo nuovo per parlare di politica, che riscopre le idealità più profonde e cerca di conciliare con le realtà di tutti i giorni.
Attraverso la ricostruzione dell'itinerario critico avviato nel 1922 con la Terra desolata e culminato nella dichiarazione "anglo-cattolica, monarchica e classicista" del 1928, il libro porta in primo piano le motivazioni, le finalità e la genesi del pensiero politico di Eliot. Animata dall'intento di ristabilire il valore intellettuale del Cristianesimo e imperniata sulla distinzione tra l'"Eterno" e il "Transitorio", l'attività di Eliot si traduce in un impianto teorico sorretto dal primato attribuito alla fede religiosa, articolato sull'adesione ai principi del conservatorismo e incentrato sull'intento di privilegiare le idee politiche rispetto alla politica. In tale prospettiva, le analisi storiche di Eliot si impongono come il presupposto fondante di un discorso politico finalizzato a istituire una diretta congiunzione tra i compositi scenari della modernità e le contraddizioni ideologiche del proprio tempo.
Esiste un ambito in cui due saperi in apparenza lontani quali la fenomenologia e le neuroscienze si incontrano e cooperano proficuamente a definire la traiettoria dell'esperienza personale, lungo una linea di continuità tra stati normali e psicopatologia nevrotica. È quello della costruzione del sé, inteso da Giampiero Arciero e Guido Bondolfi non come soggetto che signoreggia nella propria chiusa sfera mentale ma come identità narrativa, la cui permanenza nel tempo si riflette nel linguaggio, configurando in una trama provvista di significatività le differenti inclinazioni emozionali. La narrazione ricompone e integra gli accadimenti, l'agire e il patire, così da fornire a chi li esperisce un senso di stabilità dinamica, polarizzata secondo due tendenze emotive fondamentali di cui la risonanza magnetica funzionale produce riscontri: la centratura sul corpo e l'orientamento all'alterità. A questa polarità Arciera e Bondolfi riconducono gli stili di personalità, distinti in base ai disturbi dominanti: alimentari, ossessivo-compulsivi, ipocondriaco-isterici, fobici, depressivi. Una prospettiva epistemica che ha suscitato grande consenso, perché riesce finalmente a connettere le invarianti esperienziali con la storia singolare della persona nella sua unicità.
Arcuri avrebbe voluto raccontare questa storia trent'anni fa. Ma gli fu impedito. Con la sua inchiesta era arrivato a scoprire che l'Italia stava per finire sotto una dittatura. Era il 1969 e anche Mauro De Mauro stava giungendo alle sue stesse conclusioni, apprestandosi a renderle pubbliche su "L'Ora" di Palermo. La mafia lo uccise nel 1970. Arcuri racconta quegli anni e ricostruisce adesso, grazie a nuove testimonianze e ad altre di collaboratori di giustizia già depositate, quello che è accaduto la notte dell'8 dicembre 1970, quando Valerio Borghese, ex comandante repubblichino, si accingeva a occupare militarmente l'Italia. Emergono nuovi tasselli: il ruolo della mafia, il diretto coinvolgimento del Viminale, di industriali, politici e finanzieri.
Indagini insabbiate, depistaggi, provvedimenti disciplinari contro militari impegnati in prima linea. Erano gli anni del venerabile Licio Gelli e della loggia P2: un sistema clandestino ideato per mettere sotto controllo l'Italia. C'è un filo che tiene la nostra storia malata, almeno dagli anni Sessanta a oggi. A partire dalla testimonianza di Nicolò Bozzo, che dal 1973 all'82 è stato il più stretto collaboratore di Carlo Alberto Dalla Chiesa ai vertici dell'arma dei carabinieri, Arcuri ricostruisce una storia sotterranea indispensabile per capire i tanti scandali dell'Italia di oggi. Dal cosiddetto "Piano solo" della primavera-estate 1964 ai golpe Borghese, ai fiume di sangue delle stragi di innocenti, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna, fino a oggi, agli scandali che hanno travolto Sismi e Telecom, e ai tanti altri in corso, fatti d'intercettazioni, depistaggi e funzionari corrotti.
Frutto del lavoro di un gruppo di psicologi che lavora da anni sulle tematiche dell'orientamento, questo libro accompagna lo studente nella costruzione del proprio percorso decisionale e, sulla base di esempi concreti e situazioni reali, insegna a organizzare le alternative possibili, stabilire delle priorità, valutarle alla luce delle proprie inclinazioni, arrivare alla decisione finale sia che riguardi il mondo del lavoro che quello universitario.
Televisione, giochi al computer, internet, cellulari. Sono i nuovi parco-giochi dei teenager che trascorrono in media più di 5 ore al giorno usando qualche strumento di comunicazione. Ma quali sono i rischi di questo nuovo scenario? A scuola o tra le mura di casa, come aiutare i ragazzi a essere informati e protetti?
Il testo fornisce una panoramica dei modelli teorici più significativi che sono stati proposti in quel settore di riflessione concettuale e di impegno di ricerca che va sotto il nome di cognizione sociale. La cognizione sociale è lo studio della coscienza sociale e dei processi cognitivi al fine di comprendere il comportamento sociale. Essa si basa fondamentalmente sulle teorie e i metodi della psicologia cognitiva per realizzare modelli precisi e dettagliati dell'elaborazione dell'informazione sociale.
Trasformare il disagio sociale in consenso politico è da sempre la cifra di ogni forma di demagogia: solo affrontando i problemi che sono all'origine della disuguaglianza, la nostra democrazia potrà vincere la sfida populista. Negli ultimi anni movimenti e partiti populisti hanno registrato, in Italia come in Europa, un costante aumento di consensi. Certo, pesano il risentimento contro le élites e le ansie provocate dall'insicurezza, l'immigrazione e la paura della perdita delle tradizionali identità 'culturali', ma sono le disuguaglianze il vero, potente, motore del loro successo: disparità economiche, sociali e culturali, sia tra i ceti che tra i territori, che hanno creato una 'classe dimenticata'. Analizzando il nostro paese da nord a sud e dai centri alle periferie, mettendo insieme risultati elettorali e peculiarità economiche e demografiche, Pier Giorgio Ardeni arriva a un'evidenza incontestabile: che il successo dei populismi trae linfa da divari di condizione a cui non è stata data risposta. I poveri contro i più ricchi, i ceti 'non protetti' contro quelli 'garantiti', le aree interne e periferiche contro quelle urbane. Scopriremo che se vogliamo salvaguardare la nostra democrazia non c'è altra strada che affrontare il problema alla radice: ridurre le disuguaglianze.
Cinquant'anni fa Paolo Sylos Labini pubblicò il "Saggio sulle classi sociali", un libro fondamentale che rivoluzionò l'idea stessa della struttura sociale italiana, mettendo in luce come negli anni del boom economico si fosse formato un vasto ceto medio, non più proletario e non ancora borghese. In questo mezzo secolo nessuno è più tornato a indagare così in profondità la società e per molto tempo ci si è accontentati di dire che «le classi non ci sono più». Pier Giorgio Ardeni è 'tornato sul luogo del delitto', riprendendo il lavoro di analisi laddove lo aveva lasciato Sylos Labini. Il risultato della sua ricerca descrive i cambiamenti intervenuti e come l'Italia intera è ancora attraversata da differenze sociali che permangono forti e nette, che limitano la mobilità sociale, l'accesso all'istruzione, le possibilità e le opportunità. Certo, il peso relativo delle classi è variato e con esso il loro peso 'politico' ma, ancora oggi, a differenze nel contesto di origine, nel titolo di studio e nella professione corrispondono disuguaglianze nella distribuzione del reddito. Ed è proprio da questi aspetti che bisogna ripartire per ripensare la crisi della democrazia e della rappresentanza.