
Il corpo di una scrittrice, in apparenza integro eppure danneggiato, diventa lo specchio della fragilità umana e insieme della nostra inarrestabile pulsione di vita. Francesca Mannocchi guarda il mondo attraverso la lente della malattia per rivelare, con una voce letteraria nuda, luminosa, incandescente, tutto ciò che è inconfessabile. Quattro anni fa Francesca Mannocchi scopre di avere una patologia cronica per la quale non esiste cura. È una giornalista che lavora anche in zone di guerra, viaggia in luoghi dove morte e sofferenza sono all'ordine del giorno, ma questa nuova, personale convivenza con l'imponderabile cambia il suo modo di essere madre, figlia, compagna, cittadina. La spinge a indagare sé stessa e gli altri, a scavare nelle pieghe delle relazioni più intime, dei non detti più dolorosi, e a confrontarsi con un corpo diventato d'un tratto nemico. La spinge a domandarsi come crescere suo figlio correndo il rischio di diventare disabile all'improvviso e non potersi quindi occupare di lui come prima. Essere malata l'ha costretta a conoscere il Paese attraverso le maglie della sanità pubblica, e ad abitare una vergogna privata e collettiva che solo attraverso l'onestà senza sconti della letteratura lei ha trovato il coraggio di raccontare.
Entrati faticosamente in Europa, gli italiani sembrano quasi temere di non sapersi distinguere dagli altri europei e una domanda antica si ripropone a tutti con urgenza nuova: quali sono i caratteri dell'identità italiana? Cercano di rispondere articoli di giornali, libri, intere collane editoriali. Questo piccolo libro raccoglie le risposte di quarantadue autori d'eccezione, da Nello Ajello a Gianni Vattimo, da Bobbio a Fo, da Dahrendorf a Le Goff, e così via.
Il primo Atlante è il titolo di una poesia del 1980 dove Primo Levi gioca con i nomi, le forme e i colori delle tavole geografiche che lo hanno fatto sognare da ragazzo. Ma è anche una profezia e una definizione: il decennale, minuzioso lavoro di raccolta dei suoi testi, che qui vede compimento, è stato una lunga avventura di esplorazione in territori immensi, finora cartografati solo in parte.
Questo libro è molto più che un invito alla lettura. Si ripropone di offrire uno spaccato della complessità dei processi psicologici coinvolti nella lettura. Per alcuni leggere è fonte di grande ricchezza, per altri una perdita inutile di tempo. Ma leggere è soprattutto pensare, è collegare idee con immagini, emozioni, sensazioni, parole... ed è compiere un percorso interiore. Il termine "biblioterapia", coniato da pochi anni, viene sempre più usato con vari significati. Tra i tanti indica l'utilizzo della lettura come strumento di crescita personale, o anche l'utilizzo di libri durante una terapia come strumento terapeutico. Le pagine di questo libro accompagnano e introducono il lettore in un percorso in cui si sciolgono i significati della biblioterapia nella sua accezione psicologica, psicoanalitica e formativa, con particolare riferimento all'autobiografia. Ecco allora l'obiettivo di queste pagine: dimostrare che è possibile anche attraverso la lettura di un libro trovare e costruire il proprio equilibrio.
Quanto costa tornare all'energia atomica? Chi pagherà? Si tratta davvero di energia pulita, di una tecnologia avanzata? È vero che siamo l'unico Paese a mettere in dubbio il nucleare, quando tutti gli altri lo accettano senza problemi? Roberto Rossi, che segue da anni il piano governativo di rilancio nucleare, risponde in maniera semplice e diretta, grazie alla consultazione di esperti, anche stranieri, e alla lettura di documenti inediti sul programma attuativo del governo. E svela anche i nomi della nuova "cricca nucleare": perché l'energia atomica è vantaggiosa solo per chi costruisce, per chi gestisce la rete elettrica e per i grandi finanziatori. L’utente finale non ha nulla da guadagnarci.
Le cose ci vengono incontro. E noi rispondiamo alla loro chiamata. Ma troppo spesso la nostra unica preoccupazione è quella di aver "ben inteso" che cosa sia quel che ci viene incontro. Una preoccupazione che ci guida anche in rapporto alle cosiddette opere d'arte. Si tratti di poesia, di arte visiva, di musica, ma si tratti anche di un'opera filosofica, o delle pagine di un testo religioso siamo tutti sempre istintivamente preoccupati di capire bene e non fraintendere. Facciamo di tutto per impadronirci del significato e di tenerlo ben a mente. Come se quest'ultimo fosse indipendente dal "modo" del suo presentarsi. E se fosse il caso di imparare a riconoscere, invece e innanzitutto, proprio il "ritmo" con cui l'essente sempre si fa esperire? D'altro canto, quello che siamo soliti chiamare "significato" non potrebbe neppure costituirsi, indipendentemente dal ritmo del suo manifestarsi; ossia, indipendentemente dalle movenze con cui si concede allo sguardo orizzontale dell'intelletto, costringendolo quasi sempre a bruschi volteggiamenti, sospensioni, curvature impreviste, andate e ritorni, obliqui attraversamenti. Troppo a lungo ci siamo accontentati di "comprendere" le cose dell'arte per il tramite di una catalogazione formale e stilistica, che ci ha consentito di rimuovere il fatto che l'opera si dà a noi, anche e innanzitutto, con un ritmo suo proprio e che forse proprio in quest'ultimo è custodito il suo enigma più profondo. (Con un contributo di Achille Bonito Oliva).
Come si può osservare in tempo reale l'espandersi di un'epidemia? In che modo si può prevenire il crimine e migliorare la sicurezza delle città? È possibile conoscere le emozioni e gli umori di un'intera nazione? Possono le nostre passioni minacciare pericolosamente la nostra privacy? I big data sono la risposta a tutte queste domande: offrendo la possibilità di agire sulla totalità delle informazioni e non solo su campioni statistici, permettono di elaborare risposte più veloci, economiche e straordinariamente più precise sul mondo che ci circonda. Come però i ricorrenti scandali "Datagate" dimostrano, aziende e istituzioni stanno sfruttando queste innovazioni tecnologiche per immagazzinare, spesso a nostra insaputa, quantità infinite di dettagli sulle nostre vite. È infatti sufficiente accedere a un social network, usare uno smartphone o semplicemente navigare sul Web, per perdere il controllo su informazioni intime e private. Ma se si può trasformare la realtà in dati, persino i nostri interessi e le nostre sensazioni tramite i "like" di Facebook e gli aggiornamenti di Twitter, anche le nostre preferenze e i nostri gusti finiranno per essere comprati e venduti, scrutati e sanzionati. E se queste informazioni fossero gestite male, il rischio di andare incontro a una riduzione dei nostri diritti o persino a una dittatura delle probabilità come nel celebre "Minority Report" - sarebbe altissimo.
Nella sua ultima intervista, rilasciata al giornalista Alberto Mattioli, Luciano Pavarotti si è abbandonato a un bilancio: "Io nella vita ho avuto tutto, ma davvero tutto. Se mi viene tolto tutto, con il buon Dio siamo pari e patta". E in effetti quella di Big Luciano, è stata una vita piena di successi strepitosi, di acclamazioni universali, ma anche di tribolazioni pubbliche e private. Una vita davvero "grande", che Mattioli racconta in tutti i suoi aspetti con affetto e scrupolosità. Il giornalista narra la nascita di questo talento spropositato, che non sapeva leggere uno spartito ma riusciva a cantare ed emozionare come nessuno. Ripercorre la sua formazione artistica e privata, l'infanzia a Modena, il debutto a Reggio Emilia, le sue esibizioni già passate alla storia, la marcia trionfale in tutti i teatri d'opera del mondo e il miracolo, riuscito solo a lui, di entusiasmare con le arie d'opera folle da raduno rock. Senza tralasciare i fiaschi, pochi ma dolorosi, e le polemiche, fra cui la lunga vicenda col fisco conclusa con un assegno da venticinque miliardi di lire. Mattioli rivela poi i dietro le quinte dei "Tre tenori" e del "Pavarotti and Friends", le contaminazioni con la musica pop, la rivalità con Placido Domingo e le amicizie con Bono e Lady D. Una vita vissuta tutta d'un fiato fino al silenzioso addio. Un silenzio coperto dal ricordo potente e armonioso della sua voce e riempito da tutte quelle tracce che solo i fuoriclasse sanno lasciare nell'epoca che attraversano.
Dall’autrice del bestseller internazionale mangia prega ama
Prima di tutto, credeteci. Non datela vinta alla paura. E ogni giorno, con perseveranza, semplicità e assoluta leggerezza, mettetevi lì, rimboccatevi le maniche e rinnovate il vostro sogno. Si può fare, parola di Elizabeth Gilbert. L’autrice in questo nuovo libro esplora a fondo per noi il processo creativo, mettendoci a parte della sua esperienza e della sua prospettiva unica: la natura misteriosa dell’ispirazione riguarda tutti, ognuno di noi la contiene, ma spesso non sappiamo dove scovarla. La creatività non è, in fondo, un salto del processo logico? Coltiviamo allora la curiosità, accogliamo con spirito lieve le giravolte della vita, e combattiamo con brio ciò che ci spaventa. Poco importa se il nostro sogno è quello di scrivere un libro, o di diventare attori, o di far fronte al meglio agli impegni di lavoro, o se stiamo invece pensando di intraprendere un’avventura a lungo rimandata. Elizabeth Gilbert ci esorta, con fare scanzonato, a portare alla luce i tesori che ognuno di noi custodisce in sé e ad affrontare la quotidianità a testa alta, con consapevolezza, passione e libertà. Non è difficile, e il mondo ci si spalancherà davanti, fatto di gioia e speranze finalmente raggiungibili. Quindi “fate ciò che vi fa sentire vivi. Seguite le vostre passioni, ossessioni e compulsioni. Fidatevi. Create a partire da qualsiasi cosa provochi una rivoluzione nel vostro cuore. Il resto verrà da sé”.
Il libro è la cronaca della più grande avventura del Terzo millennio, vissuta in prima persona dall'Autore: l'immigrazione.