
«Il titolo di questa sezione dell'Opera Omnia indica chiaramente l'oggetto delle opere presentate e subito si può intuire come siamo condotti al cuore dell'esistenza della Chiesa, che vive della Parola e del Pane, nutrendosi alla Tavola dei due alimenti necessari all'esistenza. I volumi di questa sezione hanno una data lontana nel tempo (1949, 1950, 1959-1993, date delle prime edizioni francesi), e tuttavia corrispondono a questioni che oggi sono più che mai importanti e difficili per la teologia e per l'esistenza cristiana; soprattutto, come si vedrà, la questione della lettura e interpretazione della Scrittura. [...] Le opere di de Lubac contenute in Scrittura ed Eucarestia trattano due grandi temi, che coincidono con i fondamenti della fede e della teologia cristiana. La Chiesa, infatti, vive della Parola testimoniata e portata dal Libro, e della Eucarestia, nella memoria di Gesù, celebrazione ma anche sintesi di tutta la storia e del mistero della salvezza. Sono opere che hanno fecondato la riflessione teologica del periodo immediatamente precedente il Vaticano II, e, anche se non citate, hanno nutrito alcuni documenti conciliari tra i più importanti (sulla rivelazione, sulla Chiesa, sulla liturgia). [...] È questo il significato delle opere di de Lubac, che rimangono dei classici della teologia del XX secolo, e proprio perché classici si presentano sempre attuali. Non si può capire la Chiesa senza pensare all'Eucarestia, e viceversa. L'esegesi, ricerca attenta, rigorosa, di tutta la dimensione storica e filologica della Scrittura, ha assoluto bisogno della lettura sempre attenta al "senso spirituale": solo così la Parola vivifica. Altrimenti rimane lettera morta, addirittura portatrice di morte». (Dall'Introduzione di Azzolino Chiappini alla Sezione quinta dell'Opera Omnia)
Siamo un'umanità che per un verso è in trappola e per l'altro in fuga. Un'umanità che, nella condizione più agiata, conosce al massimo il turismo, ma che ha perso la cognizione del viaggio e certamente, almeno in larga parte, anche la percezione del valore del pellegrinaggio, della ricerca, dell'incontro, dell'attesa di una svolta. Un pellegrinaggio non è un viaggio qualsiasi, non è esperienza di pura conoscenza di luoghi particolarmente importanti per la loro storia religiosa o il loro valore artistico. Esso ha, paradossalmente, le caratteristiche che lo inseriscono nella prospettiva di un'esperienza di ritorno. Non si tratta di un ritorno al passato. Non bisogna pensare a una dinamica regressiva di rifiuto della vita e della storia. "Tornare" non significa "tornare indietro", bensì risalire all'essenziale, a ciò che ci riguarda profondamente e ci invita a una condizione più vera.
Ricondotta a meri ambiti umani e immanenti, oggi la Regalitas è ormai esclusivamente ed impropriamente identificata con la "Monarchia" in quanto una tra le diverse possibili forme di governo, peraltro desueta. Tuttavia, poiché l'Auctoritas di Cristo Signore risulta fondata sul Suo duplice aspetto di Sacerdos et Rex, la Regalitas non può e non deve esser considerata una funzione immediatamente e meramente orizzontale, terrena e temporale. Essa è, piuttosto, un sacro archetipo che solo in via applicativa assume come propria giurisdizione lo spazio-tempo storico e primariamente l'ambito politico e sociale. Tale ambito pertanto, laddove attualizzi correttamente suddetto archetipo, non può esimersi dal fare continuo riferimento ai principi metafisici che lo informano.
Con l'onestà l'uomo ha tutto da guadagnare, senza onestà ha tutto da perdere. Frutti deliziosi dell'onestà sono lealtà, sincerità, verità, bontà, amore, solidarietà, comprensione, valori che danno senso alla vita, la caricano di spirituale adrenalina per affrontare le sfide che non mancano mai di presentarsi nel corso dell'umana esistenza. Essere se stessi e non vendersi al primo offerente che propone felicità a basso prezzo, non tradire la verità per un misero piatto di lenticchie, è l'eroismo che il re per eccellenza degli onesti Cristo Gesù, con la sua morte in croce e la sua resurrezione all'alba del terzo giorno, chiede ai suoi discepoli. Il volume propone un excursus sull'onestà per ridestare nobili sentimenti sopiti, scuotere la coscienza di coloro che hanno smarrito la via retta del Vangelo, sollecitare i credenti a fare della vita un dono di amore a Dio e ai fratelli, svegliare l'aurora di un nuovo giorno dando testimonianza, visibilità e concretezza all'onestà.
Lo stile di Isaia indulge spesso al paradosso, all'ironia, all'ambiguità. È uno stile oscuro, che può condannare il destinatario antico e moderno all'incomprensione e all'indurimento (cf. Is 6,10 e 29,9-12). Integrando attenzioni sincroniche e diacroniche, il presente studio indaga tale aspetto sinuoso della lingua isaiana, esplorandone le concrete forme espressive, nonché l'impatto che esse ebbero sulla tradizione posteriore, cristallizzata nel deposito scritturistico. Pur non ignorando le molteplici sfumature di oscurità rinvenibili nel corpus di riferimento (Is 1-39), la ricerca si concentra su un segmento preferenziale dello stesso, il c. 29. Il testo, infatti, è frequentemente chiamato in causa per il suo carattere enigmatico, contradditorio, ambiguo. Nel suo insieme, Is 29 è anzi paradigmatico dell'oscurità isaiana: dei fattori che la produssero, dei coefficienti espressivi in cui essa si declinò, degli strascichi che essa lasciò nella tradizione posteriore e, infine, dello straniamento che essa continua a produrre sul lettore. Dall'indagine emerge una recezione controversa dell'espressività poetica del profeta, bilanciata tra accoglienza e superamento dei paradossi di siffatta comunicazione. Al contempo, l'indagine offre un quadro complessivo dell'oscurità isaiana, evidenziando, in particolare, la funzione poetica dell'ambiguità, dell'ironia e di un uso straniante della metafora.
La "chiamata" non è solo "vocazione" al presbiterato o alla vita consacrata, ma è qualcosa che riguarda ogni credente. La "chiamata" dirige la libertà di ogni cristiano in risposta a ciò cui Dio lo chiama al suo servizio. È su questo fondamento della vita cristiana che ha inteso riflettere l'Équipe Europea di Catechesi nel corso del Congresso che ha raccolto i suoi membri a Praga, dal 25 maggio al 3 giugno 2019. «... una riflessione di maggior respiro ed utile a chi, con la sua attività catechistica, si indirizza a tutti i credenti e non solo a chi risponde ad una "vocazione" specifica». Un testo per un'ampia visione del senso della "chiamata", un'analisi storico-culturale che affonda le sue ricerche anche in culture lontane dal concetto di "chiamata, fede..." come ad esempio nella Repubblica ceca, un paese segnato dalla secolarizzazione e dall'ateismo. Il testo è ricco di contributi di autorevoli studiosi, filosofi e teologi, come Tomás Pe-trá?ek, Tomás Halík, Arnaud Join-Lambert, Isabel Morel... Completa l'opera una vasta bibliografia.
Saggio che raccoglie le offese rivolte a Gesù riportate nei quattro Vangeli. Ogni accusa infamante rivela, sub contraria specie, qualcosa di vero su Gesù. L'autore si addentra in campi inesplorati per ritrarre un Gesù dal "basso". (Prefazione di Antonio Pitta).
Questo volume raccoglie e mette a confronto i passi dell’Antico Testamento che toccano, più o meno direttamente, il tema del matrimonio. È diviso in sei parti: racconti delle origini dell’umanità, leggi e consuetudini relative all’unione coniugale, parole profetiche, istruzioni e riflessioni sapienziali, composizioni poetiche ed invenzioni narrative. I testi sono tradotti dalla lingua originale e corredati da una spiegazione non troppo tecnica, accessibile ad un lettore di media cultura. Pierangelo Sequeri lo definisce “un valido supporto per la didattica teologica relativa all’argomento di cui tratta, ma anche, più in generale, come riscontro affidabile per l’istruzione e la predicazione cristiana interessate a rimanere in un corretto rapporto con la testualità biblica pertinente” (dalla Postfazione).
Bruno Ognibeni, presbitero della Chiesa di Piacenza, è stato docente di teologia biblica presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. Tra le sue pubblicazioni si annoverano Tradizioni orali di lettura e testo ebraico della Bibbia, Friborgo 1989; La seconda parte del sefer ’oklah we’oklah, Madrid 1995; Il matrimonio alla luce del Nuovo Testamento, Roma 2007.
Il presente studio tenta di ripensare la sofferenza attraverso un approfondimento condotto secondo un’angolatura particolare: quella della «ferita», a tutt’oggi priva di una trattazione specifica tra gli studi scientifici. Dopo un sintetico status quaestioni se un’analisi della terminologia biblica, si esaminano due pericopi di Geremia e il Salmo 38, l’unico del Salterio dove ricorre esplicitamente il tema in questione. Lo studio esegetico è condotto secondo le regole dell’approccio sincronico, in quanto più consono alla tradizione sia giudaica che cristiana. Attraversate le esperienze del profeta di Anatot, dell’orante del Salterio, del Servo di Isaia e del rabbi di Nazaret, morto e risorto, l’Autrice propone la ferita non solo come prospettiva ermeneutica entro cui leggere la storia, i rapporti con gli altri uomini e quelli con Dio, ma anche come luogo speciale e inedito in cui l’uomo si pone per vivere il dolore con uno spiraglio di futuro. «Ritengo che il lavoro di Gabriella La Mastra sia un bel contributo alla riflessione biblica e teologica sul tema della sofferenza. La sua tesi è uno specchio nel quale è riflessa la sua vita, segnata sì dal dolore, ma soprattutto dalla sua fede incrollabile» (NuriaCalduch-Benages).
Gabriella La Mastra, laureata in Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Siena (1990), ha conseguito la licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico (2004) e il dottorato in teologia biblica presso la Pontificia Università Gregoriana (2014). Insieme a don Sergio Carapelli e ad altre due sorelle, ha dato inizio alla Fraternità di San Lorenzo (Pomaio, Arezzo). La conclusione del percorso accademico è coincisa con l’inizio di un cammino di sofferenza: colpita da due tumori, si è spenta il 26 gennaio del 2018.
A partire dal volume conclusivo della celebre Trilogia di von Balthasar – l’unico interamente dedicato allo Spirito Santo – e da un’indagine sulla prima stagione della sua produzione teologica, il presente studio fa progressivamente emergere l’originale pneumatologia che attraversa l’intera opera del teologo svizzero. Nella corrispondenza tra la sua singolare identità personale e la sua incidenza decisiva nella forma peculiare della vita cristiana e del sapere della fede, il «Terzo» della Trinità risulta occupare un ruolo strategico nella stessa configurazione teorica e metodologica della teologia balthasariana.
Virgilio Sottana è presbitero della diocesi di Treviso. Dopo la licenza in teologia sistematica presso la Facoltà teologica di Milano, ha conseguito il dottorato in teologia e il diploma in studi interreligiosi presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Insegna teologia trinitaria e teologia delle religioni presso lo Studio Teologico Interdiocesano di Treviso e Vittorio Veneto e l’ISSR “Giovanni Paolo I” per il Veneto orientale.
Le età della vita è il tema che due autori, Erich Erikson e Romano Guardini, hanno trattato secondo diversi approcci: psicologico evolutivo il primo, filosofico, teologico il secondo. Ad accomunare le riflessioni dei due autori la prospettiva della "vita come vocazione". L'esistenza dell'individuo, compresa come passaggi di età in età, è il contesto esperienziale della risposta responsabile a un progetto, insito nella vita stessa. Ogni individuo è chiamato ad agire secondo libertà, dando luogo a una propria istanza morale ed etica. Proprio nella ricerca della risposta si attua il processo di formazione dell'identità, il "chi sono", nella quale sono coinvolte tutte le dimensioni della persona: psicologica, sociale, morale e religiosa. Il confronto tra i due autori permette di definire le età della vita, secondo prospettive ermeneutiche proprie. L'esistenza di ogni individuo diventa il contesto di risposta «a ciò che non è ancora», plasmando l'identità propria. In Erikson l'identità coincide con la personale realizzazione secondo un'etica universale; in Guardini lo sviluppo dell'identità corrisponde alla definizione di "persona", secondo una visione antropologica cristiana.
In breve
«In queste pagine esamino l’autocomprensione che la chiesa cristiana ha assunto in quanto appartenente al mondo delle religioni. Ne deriva una grande quantità di elementi costitutivi di una teologia cristiana delle religioni».
Descrizione
È passato più di mezzo secolo da quando, al concilio Vaticano II, con la dichiarazione Nostra aetate, la chiesa cattolica ha presentato in modo coerente e totalmente nuovo la sua visione del mondo delle religioni. Da un lato, essa stessa fa parte di quel mondo. Dall’altro, essa possiede una propria vocazione e collocazione: in quel mondo deve accettarsi e presentarsi come una realtà fondata sul (e dal) Dio uni-trino.
Ciò che il concilio ha proclamato non ha assolutamente perso attualità. Anzi, oggi i cristiani incontrano dappertutto persone che appartengono alle religioni più diverse. Ed è ancor più necessario di ieri capirle, rispettarle, vivere con loro nella pace. Nel medesimo tempo i cristiani si sentono spronati a comprendere più in profondità il proprio percorso di fede come chiesa, per poterlo poi rappresentare in modo più convincente anche di fronte agli altri, in chiave di testimonianza.
Proprio dall’autocomprensione della chiesa cristiana come appartenente al mondo delle religioni derivano gli elementi costitutivi di una teologia cristiana delle religioni.