
«Dopo Eichrodt e von Rad, la Teologia dell'Antico Testamento del biblista nordamericano Walter Brueggemann è destinata a diventare una pietra miliare nel campo della Teologia dell'Antico Testamento». Rolf Rendtorff (professore emerito di Antico Testamento, Università di Heidelberg)
Dalla quarta di copertina:
In questo libro straordinario, Walter Brueggemann porta la discussione di teologia dell'Antico Testamento oltre i modelli dominanti delle precedenti generazioni. Il biblista nordamericano mette a fuoco la metafora e l'immagine del processo giudiziario per osservare la sostanza teologica dell'Antico Testamento come una serie di affermazioni sostenute da Jahweh, il Dio d'Israele. Questo offre un contesto che presta attenzione al pluralismo di ogni dimensione del processo interpretativo e suggerisce collegamenti alla pluralità di voci del nostro tempo. L’interesse per il processo e l'interazione spiega i tre termini del sottotitolo:
- Testimonianza: il carattere di denuncia teologica dell'Antico Testamento deve farsi strada nel contraddittorio;
- Dibattimento: ci sono offerte concorrenti di verità, come in ogni caso legale;
- Perorazione: il ruolo della testimonianza è perorare una rappresentazione della verità che è fortemente in contrasto con altre versioni della realtà.
Brueggemann mette a fuoco il processo di asserzione teologica, l'enunciazione piuttosto che le questioni storiche, e cerca di vedere l'interpretazione ebraica e cristiana come operazioni parallele. Egli considera seriamente la “deludente" testimonianza resa a Dio, come pure le positive affermazioni di Israele a favore di Dio.
Recensioni:
Scrivere un libro dedicato alla teologia dell’AT richiede indubbiamente coraggio, data la quantità di elementi che vanno tenuti in considerazione e la mole bibliografica che occorre padroneggiare. L’A. richiama all’inizio le opere «classiche» di W. Eichrodt e di G. von Rad, ritenendo che non si possa oggi semplicemente ripetere quei modelli, che pure hanno svolto un ruolo fondamentale. Di fatto il contesto attuale è caratterizzato, a tutti i livelli, dal pluralismo, che ha evidenti ripercussioni anche sul modo di pensare la teologia biblica. Consapevole di questa realtà, l’A. dichiara che la teologia biblica, per essere fedele all’attuale contesto interpretativo attento al pluralismo, «deve mettere a fuoco non questioni contenutistiche o tematiche, ma i processi, le procedure e il potenziale interattivo della comunità contemporanea al testo» (p. 6).
Prima di procedere però nell’analisi, egli premette una lunga ricostruzione del cammino percorso dalla teologia biblica dalle origini a oggi. Tale ricostruzione è divisa in due parti: dalle origini alla fine di un periodo generatore e la situazione contemporanea. La fine del primo periodo si può individuare nel 1970, anno in cui viene pubblicato l’ultimo grande libro di von Rad (La sapienza in Israele), nonché un testo di B. Childs (Biblical Theology in Crisis) nel quale l’A. richiamò l’attenzione su una mutata situazione nella teologia dell’AT. In ogni caso, il periodo compreso tra il 1970 e il 1990 presentò due sviluppi importanti nello studio dell’AT. Il primo fu il rifiuto del modo di fare teologia dell’AT di von Rad e un ritorno al lavoro storico-critico con la sua tipica sospensione di ogni interpretazione teologica (p. 66). In secondo luogo, in quegli anni sono sorti vari metodi che hanno influenzato la successiva fase del lavoro scientifico. Tra questi metodi l’A. richiama l’attenzione soprattutto sull’analisi sociologica (N. Gottwald) e sulla critica retorica.
Nel secondo capitolo dedicato alla retrospettiva storica, prendendo m considerazione la situazione contemporanea, bisogna di nuovo prendere atto del pluralismo che domina l’esegesi attuale. Ciò significa che diverse interpretazioni entrano in conflitto e si scontrano. L’A. indica quattro interpreti contemporanei di teologia dell’AT, che adottano le più visibili opzioni metodologiche presenti oggi, B. Childs, J. D. Levenson, J. Barr e R. Rendtorff, sintetizzando brevemente le rispettive posizioni. Al termine di questa panoramica, alcune questioni emergono come centrali: innanzitutto, la critica storica va ridimensionata, perché il suo orizzonte ermeneutico appare troppo pesantemente condizionato da pregiudizi di natura ideologica. In secondo luogo, è necessario studiare l’AT, per quanto possibile, nella sua autonomia dalla teologia dogmatica o dalla chiesa. La teologia sistematica non tollera il carattere polifonico del testo biblico, mentre è necessario mantenere l’interpretazione aperta alla poliedricità del testo biblico. «È il lavoro di un serio interprete teologico della Bibbia quello di prestare rigorosa e accurata attenzione a ciò che è nel testo, senza riguardo a come è coerente con la consuetudine teologica della chiesa» (p. 149). Va inoltre mantenuta la giudaicità del testo biblico, scoprendo anche quale contributo l’AT può offrire al modo di trattare alcune questioni oggi cruciali (l’etica, la dimensione morale del potere ecc.).
Nelle parti che seguono, l’A. elabora la sua proposta teologica centrata sul modello della testimonianza. L’oggetto primario di una teologia dell’AT è Dio e, di conseguenza, molto importante è il modo in cui si parla di Dio. Tutte le questioni relative alla storicità del testo vengono ad essere messe tra parentesi. Infatti la domanda che guida la ricerca è: «Che cosa è detto?», non: «Che cosa è accaduto?». La categoria più ampia sotto la quale si può considerare il parlare di Israele su Dio è quella della testimonianza che viene resa, idealmente, in un tribunale, a fronte di alcuni che contestano l’assunto al quale si rende testimonianza. Tale testimonianza è presentata partendo dall’analisi di verbi, titoli di Dio, metafore applicate a Lui ecc., ricavando cioè a partire dai testi una sorta di grammatica della fede. La fede di Israele non si basa su una generica nozione di Dio, ma sulla testimonianza di ciò che Israele ha visto e ricevuto da Lui.
Nella seconda parte del volume si prende in esame la controtestimonianza d’Israele. La testimonianza propone un Dio che ordina il mondo e gli da vita, ma l’esperienza vissuta sembra contestare questo assunto. E ciò è oggetto di studio in questa seconda parte che sviluppa i temi del nascondimento, dell’ambiguità e della negatività di Dio. Nella terza parte, a nostro giudizio, il discorso non progredisce dal punto di vista teorico, ma viene arricchito quanto già presentato nella prima parte relativa alla testimonianza d’Israele. Il titolo di questa terza parte, infatti, è «La testimonianza spontanea d’Israele». Anche la quarta parte non ci sembra così integrata nello sviluppo del discorso, perché di fatto si allontana dalla metafora dominante delle prime due parti, sulla quale l’A. ha giustamente richiamato l’attenzione. Ora lo studio si concentra su «La testimonianza concreta di Israele» analizzando alcuni luoghi emblematici, come la Torah, il re, il profeta, il culto, il saggio, forme tutte di mediazione della relazione con Dio. Infine, la quinta e ultima parte è dedicata a una sintesi teologica di quanto emerso dall’analisi precedente, con una certa attenzione anche all’attualità.
In conclusione, si tratta di un volume ampio, ricco e impegnativo, a tutti i livelli.
D. Scaiola, in La civiltà cattolica 155 (2/2004) 99-100
A causa della sua incredulità Israele ha forse cessato di essere popolo di Dio, cedendo il passo alla Chiesa? Oppure bisogna riconoscere l’esistenza permanente di un solo popolo che in Cristo ha conosciuto una svolta epocale aprendosi a tutti i popoli? L’ecclesiologia di Luca, testimoniata in modo particolare negli Atti degli apostoli, si qualifica secondo quest’ultima direttrice, come sintetizza Dupont nella conclusione della sua opera, frutto di pazienti e minuziose analisi del testo lucano.
«Israele non ha perduto il proprio privilegio di popolo eletto», scrive l’autore. «Non si può dunque attribuire a Luca l’idea che esistano due popoli di Dio, uno antico e uno nuovo. Al contrario, Luca è assai sensibile alla svolta che gli avvenimenti di Pasqua hanno fatto prendere alla storia dell’unico popolo di Dio, determinandone il passaggio dal tempo della promessa a quello del compimento».
Secondo Dupont l’angolo visuale più adeguato per affrontare l’ecclesiologia di Luca è quello che corrisponde alla sua costante preoccupazione di valorizzare la continuità del processo attraverso il quale la Chiesa cristiana si è progressivamente staccata dal giudaismo ufficiale, continuità che unisce il tempo delle promesse divine a quello del loro compimento.
Nella biografia di Paolo la raccolta di fondi per le chiese della Giudea, conosciuta come la 'colletta', ha un ruolo notevole e decisivo. Da sempre si discute sul significato di tale iniziativa nel programma missionario dell'Apostolo e nella sua prospettiva ecclesiologica. La ricerca dell'autore la colloca nel tema più vasto della 'solidarietà', amplificato oltre l'accezione socio-economica - assistenza dei poveri e delle figure sociali deboli - e includendovi anche la prassi dell'accoglienza e dell'ospitalità verso i missionari itineranti attestata nei documenti della prima Chiesa. Lo studio più dettagliato è riservato alle due lettere ai Corinzi, ove convergono i diversi aspetti della solidarietà paolina ed emerge soprattutto il suo aspetto teologico, cui viene dedicata massima attenzione, cercando di mostrare l'intreccio indissolubile tra la solidarietà, che si esprime nella colletta per i poveri, e l'esperienza della fede in Gesù Cristo Signore "che da ricco si è fatto povero perché noi diveniamo ricchi per mezzo della sua povertà".
L'immagine dell'Apostolo che emerge dall'analisi dei suoi testi non è quella di un pensatore già in possesso di una teologia completa ed evoluta, ma piuttosto quella di un teologo che viene via via precisando la propria riflessione sotto la pressione di nuove urgenze. Per questo l'autore ha scelto di esporre la teologia di Paolo presentando "le teologie" delle varie lettere singolarmente ed affidando a un capitolo sintetico conclusivo il compito di raccogliere gli elementi di unitarietà e di coerenza.
Lo studio presenta una breve esposizione sistematica e antologica delle idee teologiche più importanti, che emergono dagli antichissimi manoscritti di Qumran. Con il termine "teologia" il titolo fa quindi riferimento a ciò che è stato prodotto dal pensiero ebraico del tempo in cui furono redatti i testi esaminati. Il concetto non va perciò confuso con quanto è stato elaborato riguardo a Dio e alla sua essenza nella riflessione cristiana, poiché in questa sede sta semplicemente a indicare il pensiero giudaico circa ll’esperienza che il popolo eletto fa di Dio. Il Dio di Qumran ha infatti prescelto una piccola schiera di "Figli della Luce", che tuttavia vive in continua lotta contro le tentazioni del principe delle tenebre. La religiosità che ne deriva appare quindi come perennemente in ricerca del difficile equilibrio fra il massimo rigorismo conturbante e la massima fiducia rasserenante.
"Il libro si presenta come un’antologia di passi, che l’autore commenta. In questo modo Ibba ottiene di introdurre il lettore nell’atmosfera antica di Qumran in maniera diretta, lasciando all’autore antico il sapore delle sue parole. […] Con questo libro di facile lettura, anche se così preciso, compie un atto di giustizia verso questa antica comunità ebraica che, nonostante tutte le sue stranezze e durezze, resta un esempio di fede in Dio vissuta coerentemente" (dalla Presentazione).
I testi, per lo più in ebraico e qualcuno in aramaico, sono stati interamente tradotti e interpretati dall’autore.
Note sull’autore
Giovanni Ibba, dottore di ricerca in Ebraistica e socio dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo, è docente incaricato Ad Annum per l’insegnamento di lingua ebraica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. Esperto dei manoscritti qumranici, ha pubblicato numerosi lavori sull’argomento, fra i quali Il Rotolo della Guerra. Edizione critica, Torino 1998 e La sapienza di Qumran, Roma 2000.