
I filosofi spesso si meravigliano di cose che la maggior parte delle persone non nota neppure: Socrate trovava sorprendente il fatto che qualcuno potesse apparire più piccolo in lontananza senza rimpicciolire davvero e Kant si chiedeva come accade che gli specchi invertano la destra e la sinistra, ma non l'alto e il basso. Quello che vediamo, tocchiamo o sentiamo pone quotidianamente alla nostra attenzione problemi e stranezze di difficile soluzione. Per esempio, come mai l'immagine retinica è piatta ma noi vediamo gli oggetti tridimensionali? E perché al variare dell'illuminazione non cambia la nostra percezione del colore di un oggetto? I filosofi della percezione cercano di rispondere a questi e altri quesiti partendo dalla domanda fondamentale: cos'è la percezione? cosa significa "vedere" e "sentire" qualcosa? Questo volume è un'introduzione accessibile ai temi e ai problemi della filosofia della percezione.
Quali sono le parole usate più frequentemente nella riflessione filosofica contemporanea? Il testo, nel rispondere a questa domanda, si propone come uno strumento agile, ricco e aggiornato, rivolgendosi sia a coloro che si avvicinano per la prima volta alla filosofia, sia a coloro che hanno già alcune competenze o sono esperti in una determinata area del sapere filosofico. Gli studenti universitari o della scuola superiore e le persone interessate all’argomento, anche senza alcuna conoscenza tecnica, avranno così l’opportunità di avvicinare il lessico filosofico, mentre gli esperti potranno trovare voci che coprono ambiti della filosofia a loro meno noti.
Tutti i saggi introduttivi di Sossio Giametta alle opere del filosofo tedesco. Il pensiero di Nietzsche è esplosivo, come dinamite ha fatto saltare certezze e stabilità, e ha aperto interrogativi drammatici, ancora privi di risposta. I saggi di Sossio Giametta mostrano in che modo Nietzsche persegua, attraverso uno scetticismo profondo e sconvolgente, l'ideale dell'indipendenza umana e l'educazione di sé e degli altri alla grandezza, rivestendo di alta poesia la multiforme tragedia del vivere; ma anche in che modo egli, sotterraneamente sospinto dalle correnti dell'epoca, per combattere la decadenza nel suo aspetto morboso-estetizzante sviluppi l'altra sua faccia, quella della violenza, accelerando la crisi involutiva della civiltà cristiano-europea giunta al tramonto.
"Le origini del totalitarismo" (1951) è un classico della filosofia politica e della politologia del Novecento. Per la Arendt il totalitarismo rappresenta il luogo di cristallizzazione delle contraddizioni dell'epoca moderna e insieme la comparsa in Occidente di un fenomeno radicalmente nuovo. Le categorie tradizionali della politica, del diritto, dell'etica e della filosofia risultano inutilizzabili; quanto avviene nei regimi totalitari non si può descrivere nei termini di semplice oppressione, di tirannide, di illegalità, di immoralità o di nichilismo realizzato, ma richiede una spiegazione "innovativa". Lungi dal presentare una struttura monolitica, l'apparato istituzionale e legale totalitario deve rimanere estremamente duttile e mobile, al fine di permettere la più assoluta discrezionalità. Per questo gli uffici vengono moltiplicati, le giurisdizioni tra loro sovrapposte e i centri di potere continuamente spostati. Soltanto il capo, e una cerchia ristrettissima di collaboratori, tiene nelle sue mani gli ingranaggi effettivi della macchina totalitaria. Nelle Origini tale macchina viene smontata e analizzata pezzo per pezzo: i metodi propagandistici, le formule organizzative, l'apparato statale, la polizia segreta, il fattore ideologico e, infine, il campo di sterminio, istituzione suprema e caratteristica di ogni regime totalitario.
La primissima fase della filosofia occidentale vide la nascita della cosmologia e della teologia razionale, della metafisica, dell'epistemologia, della teoria etica e politica. In quell'epoca prese forma una grande varietà di idee radicali e provocatorie, dall'affermazione di Talete secondo cui i magneti possiedono un'anima alla teoria parmenidea dell'immutabile esistenza dell'uno, allo sviluppo di una teoria atomista del mondo fisico. Questa panoramica generale della filosofia presocratica ricostruisce le idee e le visioni del mondo dei più importanti filosofi greci attivi dal sesto alla metà del quinto secolo a. C., ricostruendo il contesto concreto in cui operarono, discutendo le modalità secondo le quali oggi possiamo ricostruire le loro visioni e le intenzioni originarie della loro opera, e sottolineando i motivi del durevole interesse filosofico delle loro spesso sconcertanti teorie. Accompagnato da un'utile cronologia e da una guida per ulteriori letture, "I presocratici" di James Warren costituisce un'introduzione ideale per lo studente e il lettore generale a un'età di straordinaria ricchezza della civiltà occidentale.
"Questo libro, forse, lo comprenderà solo colui che già a sua volta abbia pensato i pensieri ivi espressi - o, almeno, pensieri simili -. Esso non è, dunque, un manuale. Conseguirebbe il suo fine se piacesse ad almeno uno che lo legga comprendendolo. Il libro tratta i problemi filosofici e mostra - credo che la formulazione di questi problemi si fonda sul fraintendimento della logica del nostro linguaggio. Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere". Cosi inizia la prefazione di Wittgenstein al "Tractatus" che, edito nel 1921, costituisce, come è noto, l'unico libro filosofico che egli abbia pubblicato in vita. Il libro è un punto di partenza obbligato per chi intende percorrere il pensiero logico del secolo e inoltrarsi alla scoperta del filosofo che più seduce chi cerchi risposte a domande insoddisfatte, sul piano etico e su quello gnoseologico. Il volume è integrato da tutti gli altri scritti filosofici non postumi, dai "Quaderni" del periodo corrispondente all'elaborazione del "Tractatus", e da un'amplissima bibliografia di e su Wittgenstein.
Secondo Giacomo Marramao, che affronta in questo libro lo straordinario "mutamento di scala" che accompagna i fenomeni politici della nostra epoca, il ricorso alle categorie di "mondializzazione" o "globalizzazione" non ha solo un significato tecno-economico. Siamo di fronte a un passaggio destinato a trasformare tutte le culture, che chiama in causa una riconversione di concetti fondamentali come identità e differenza, contingenza e necessità, nonché, per cominciare, locale e globale. Rispetto a diagnosi apparentemente antitetiche come quelle di Fukuyama (omologazione universale) e Huntington (conflitto delle civiltà), per Marramao è necessario demistificare due false opposizioni: Stato-mercato e Oriente-Occidente. A tale scopo, il libro, tenendo costantemente sullo sfondo la grande discussione sull'"èra globale" avviata fra le due guerre da autori come Spengler, Jünger, Schmitt e Heidegger, sviluppa la sua proposta muovendo dal disincanto della categoria di mercato operato da Polanyi e da una profonda revisione della comparatistica i delle civiltà operata da Weber. L'esigenza - avanzata in conclusione attraverso un serrato confronto con le posizioni di Habermas e di Derrida - di una "politica universalista della differenza" viene formulata in base a un radicale riesame critico delle pretese di universalità delle stesse categorie, tipicamente occidentali, di democrazia e filosofia.
Ogni volume di questa collana costituisce un capitolo di storia della filosofia, in questo caso dedicato alla figura di Spinoza. L'"Introduzione" offre gli strumenti critici essenziali per intendere l'opera del filosofo alla luce delle più recenti prospettive storiografiche.
Dagli utensili preistorici in pietra, osso o legno alle prime produzioni ceramiche, dalle macchine ai computer, le cose hanno percorso una lunga strada assieme a noi. Cambiando con i tempi, i luoghi e le modalità di lavorazione, discendendo da storie e tradizioni diverse, ricoprendosi di molteplici strati di senso, hanno incorporato idee, affetti, simboli di cui spesso non siamo consapevoli. Il significato di "cosa" (contrazione dal latino "causa", quanto ci sta a cuore e per cui ci si batte) è, infatti, più ampio sia di quello di "oggetto", ciò che si manipola con indifferenza o secondo impersonali procedure tecniche, sia di quello di "merce" quale semplice valore d'uso e di scambio o espressione di status symbol. Le cose rappresentano nodi di relazioni con la vita degli altri, anelli di continuità tra le generazioni, ponti che collegano storie individuali e collettive, raccordi tra civiltà umane e natura. Il loro rapporto con noi somiglia, in tono minore, a quello dell'amore tra persone, dove il legame convive con la reciproca autonomia e nessuno è proprietà esclusiva dell'altro.
In questi ultimi anni si è avuta una generale rinascita di interesse per Schelling. In particolare, gli studiosi hanno riscoperto la filosofia del cosiddetto "ultimo" Schelling, caratterizzata da una nuova e suggestiva sensibilità verso il mito greco e la religione. In questa linea si inserisce il saggio qui presentato, tradotto in Italia integralmente, nel quale il filosofo tedesco interpreta la mitologia come il linguaggio che descrive la condizione esistenziale dell'uomo e come il preludio alla rivelazione di Dio come persona. In questo senso la filosofia deve essere disposta a confrontarsi con la dimensione del divino e a riconoscere l'insufficienza dei mezzi puramente logici della ragione umana.
Nell'opera di Hannah Arendt, "Sulla rivoluzione" occupa una posizione centrale, insieme riflessione teorica ed esperienza morale della sua piena maturità. In questo libro, confluiscono i motivi fondamentali della sua ricerca e appare in tutto il suo significato l'idea alla quale è rimasta fedele tutta la vita, secondo cui la sola ragion d'essere della politica è la libertà, e suo compito è produrre situazioni che ne allarghino gli spazi, cioè produrre istituzioni e corpi politici "che garantiscano lo spazio entro cui la libertà può manifestarsi"; la politica fallisce invece allorquando per scelta o costrizione sia portata a deviare da questa strada. Di qui il giudizio sul sostanziale fallimento delle due rivoluzioni francese e russa e sulla sostanziale riuscita della rivoluzione americana, la prima delle rivoluzioni moderne. Il senso profondo del libro sta nella coraggiosa rivendicazione dell'autonomia della politica (e, in polemica con Marx, del primato del pensiero), nel suo martellante richiamo alla responsabilizzazione individuale e alla socializzazione, ma istituzionalizzata, del potere, spinta fin quasi a toccare i confini di un antistatalismo libertario, nella perseveranza a individuare e combattere il mito ricorrente della violenza, la cui inevitabile conclusione è stata ogni volta il terrore, la deviazione e la fine della rivoluzione, la disfatta in primo luogo degli ideali in nome dei quali era stata iniziata.
 
 
 
 
 
  
