
A dispetto di antichi pregiudizi, Pascal è un pensatore che scruta l'uomo e la società con la speranza cristiana di chi crede che i discendenti di Adamo possano realizzare nella città terrena una giustizia meno ingiusta, per mezzo di istituzioni miranti al bene comune, e non all'interesse particolaristico di individui o di gruppi. E che Pascal non sia nemico dell'uomo si comprende dai tre Discorsi sulla condizione dei grandi, ove si delineano il profilo e l'operato del "re di concupiscenza". A differenza del re tiranno, che domina con la forza, il re di concupiscenza mira al benessere degli altri. Il suo è un "umanesimo imperfetto", che rimane al di qua della linea di demarcazione fra paganesimo e cristianesimo, impantanato in un mondo senza speranza e senza Dio. Da qui il necessario passaggio dal re di concupiscenza al re di carità che, riunendo in sé i valori dell'umanesimo e del cristianesimo, diventa il portatore di un pascaliano "umanesimo perfetto".
Intento del volume è contribuire alla comprensione della natura del rapporto che il soggetto umano intrattiene con la parola. La riflessione ruota intorno a due interrogativi fondamentali: innanzitutto qual è, se ve ne è uno, lo specifico dell'esperienza umana della parola? Tale questione si è imposta a partire dalla constatazione che il linguaggio è un fenomeno che non coinvolge solo l'uomo, che non riguarda solo il soggetto umano, ma interessa, ad esempio, anche il mondo animale e ampi settori del mondo tecnologico. Il secondo interrogativo al centro di queste pagine è il seguente: qual è il luogo dell'esperienza della parola? A queste e altre questioni il volume risponde sviluppando una riflessione che, sulla base di alcune importanti distinzioni, come quelle tra "essere loquens" ed "essere eloquens", tra "reagire" e "rispondere", tra "trasferimento di informazioni" e "comunicazione", tra "scrivente" e "scrittore", giunge a identificare un rapporto di essenza tra l'ordine dell'esperienza e quello della parola, e quindi tra l'atto di parola e l'atto morale.
L'educazione non può finire perché senza educazione non avremmo futuro. Ridiscuterne il senso è l'obiettivo di questo libro, che ne indaga le finalità, le radici filosofiche, pedagogiche ed etiche, alle quali va al più presto riconsegnata. L'educazione è più dell'istruzione, è una dimensione ineliminabile, invisibile e concreta, della vita di tutti. Per questo è indispensabile tornare a discutere delle mete irrinunciabili cui un'educazione interrogata in profondità è chiamata a ispirarsi. Duccio Demetrio insegna filosofia dell'educazione all'Università di Milano Bicocca. Nella collana Minima ha pubblicato, tra gli altri, "Filosofia del camminare" (2005) e "La vita schiva" (2007).
"Immaginate di esservi persi in una grande, antica città. Ovunque vi voltiate, trovate qualcosa di interessante. Ma vorreste sapere dove siete. Il guaio è che ogni volta che pensate di essere all'uscita di un dedalo di vicoli, eccovi in un altro labirinto. Se salite in cima a una torre, potete guardare ai vicoli in cui vi eravate persi, e finalmente tutto diventa chiaro. Così in questo libro quando passeremo ad affrontare le questioni astratte, apparentemente distanti dai problemi pratici da cui siamo partiti, quel che faremo somiglierà al salire in cima a una torre." Da quella torre, Appiah dimostra come fare concretamente filosofia.
Con i Presocratici, nella Grecia del VI secolo a. C., inizia la riflessione filosofica nella cultura occidentale. Inizia anche quella che oggi viene chiamata la "storia della filosofia". Il volume affronta i seguenti argomenti: chi sono i presocratici. Modalità e problematicità della ricostruzione del loro pensiero; Creta e Mileto; i pitagorici; la poesia filosofica del VI e V secolo, Eraclito; Empedocle; medicina e matematica tra V e IV secolo; la filosofia giunge ad Atene; filosofia e scienza ad Abdera.
I molteplici e complessi rapporti tra l'anima e il corpo, le caratteristiche della psichè e i nessi tra le sue diverse funzioni e attività, le ricadute di tali diversificati rapporti sul piano ontologico, fisicobiologico ed etico-antropologico: sono solo alcune delle questioni messe a tema nei saggi raccolti in questo volume. Alcuni tra i maggiori studiosi di Aristotele hanno qui dato vita a un dialogo serrato e coinvolgente con i luoghi teoreticamente ed ermeneuticamente più caldi e interessanti del pensiero dello Stagirita: le problematiche intersezioni tra le nozioni di atto (energeia) e potenza (dynamis); le virtù, i loro intrecci e i ruoli da esse assunti all'interno delle dinamiche e delle strategie di edificazione della vita buona e felice; le passioni, le loro ricadute sul versante psichico e somatico. Tali contributi, che coprono la quasi totalità del corpus aristotelico, si rivelano innovativi anche per quanto riguarda l'utilizzo di testi non adeguatamente valorizzati dagli studi precedenti. Il volume consente dunque di riattraversare i crocevia storico-concettuali più significativi di un pensiero al tempo stesso antico e attualissimo, quale quello aristotelico.
Quale ruolo è immaginabile, oggi, per l'università in Italia? Che cosa significano libertà di ricerca, di insegnamento, di studio? Come è possibile dialogo fra differenti persone, discipline, culture? Collocandola nel dibattito sul dialogo interculturale, il volume affronta una questione di grande attualità, quella del rapporto fra università e lavoro, ricerca e insegnamento, saperi teologico-filosofici e scientifico-laici, scienza e istituzioni, libertà e verità. A partire da un approfondimento filosofico della libertà, l'università è pensata come autonomo libero spazio interrogativo, di apertura ad ogni ricerca e comunicazione, per avviare un rapporto fecondo fra saperi, culture e religioni, le molteplici persone e realtà dell'universo umano, al di là delle contrapposizioni dominanti bellicosamente il mondo odierno. In un'agile forma filosofico-divulgativa, attraverso brevi capitoli a tema, l'autore formula i principi del sapere universitario: inscindibilmente costituito di insegnamento e ricerca, criticità e creatività, autonomia e responsabilità, differenza e interdisciplinarietà, verità e libertà. La tesi centrale è che non c'è autentica libertà senza relazione con differenti prospettive, sino all'apertura dell'uomo alla verità che lo trascende, restando né religiosamente né ideologicamente qualificata.
A lungo considerate dagli studiosi come oggetto misterioso che non si sapeva in quale modo trattare, le opere mnemotecniche di Bruno si sono rivelate, soprattutto dopo il libro di Frances Yates, L'arte della memoria, come il centro e il motore occulto dell'intera sua opera. Ma non per questo hanno perso il loro aspetto cifrato, che non finisce di stupire. Gli equivoci insorgono subito, già dalla definizione della disciplina. Nata come tecnica utilissima agli oratori per esercitare la memoria, la mnemotecnica è diventata nel corso dei secoli, e soprattutto nel periodo fra Raimondo Lullo e Bruno, che segna il culmine dell'arte, un nuovo regime delle immagini - intese come fantasmi mentali. Questo secondo tomo include testi che, sotto vari profili, possono essere considerati fra i momenti più elevati dell'intera speculazione di Bruno. In particolare, il "Sigillus sigillorum" inizia a porre, attraverso una serrata discussione con i massimi esponenti della tradizione filosofica antica e rinascimentale - a partire da Marsilio Ficino -, le basi dell'ontologia della materia-vita infinita, da cui trarrà origine la cosmologia dell'universo infinito e dei mondi innumerabili, mentre il "De imaginum composizione", vero punto d'arrivo di tutta la riflessione mnemotecnica di Bruno, sfocia in uno stupefacente uso delle immagini, che ripropone in termini nuovi e originali il problema del rapporto fra mente, figura e parola.
I "frammenti postumi" di Friedrich Nietzsche raccolti in questo quinto volume testimoniano, nella dinamica molteplicità dei temi, un tumultuoso - e decisivo - periodo di transizione che si concluderà, simbolicamente, con il commiato definitivo da Richard Wagner. Nietzsche filologo "inattuale", critico e riformatore nel segno della Grecità e di Wagner, pone con risolutezza in discussione se stesso e le sue precedenti convinzioni, incamminandosi per una lunga e faticosa "via della liberazione" che, secondo un progetto destinato a non realizzarsi, avrebbe dovuto raggiungere al termine di un percorso di dodici "Considerazioni inattuali". E a due di queste, "Noi filologi e Richard Wagner a Bayreuth", sono legate gran parte delle riflessioni che si trovano in queste pagine. Da un lato, utilizzando i risultati delle nascenti scienze antropologiche ed etnologiche e cogliendo nell'antichità, accanto ai germi di una nuova mentalità libera e scientifica, la permanenza di un "pensiero impuro", Nietzsche si dimostra più che mai contrario alla concezione di uno "sviluppo naturale" della storia e della cultura presente nei filosofi hegeliani e nei positivisti. Dall'altro, individuando adesso una contrapposizione tra la categoria ampia di 'educazione' e i pericoli presenti nell'arte, si allontana sempre di più dal culto del 'genio' e dalla metafisica schopenhaueriana.
Nella primavera del 1672, il grande filosofo e matematico tedesco Leibniz arrivò a Parigi dove potè stringere amicizia con due dei più grandi filosofi del periodo, Antoine Arnauld e Nicolas Malebranche. Il confronto fra questi tre uomini eccezionali avrebbe prodotto effetti radicali, non solo per la filosofia leibniziana, ma anche e soprattutto per lo sviluppo del pensiero filosofico e religioso moderno. Nonostante l'enorme differenza fra le loro personalità e prospettive teoriche, i tre pensatori si diedero infatti un obiettivo comune: risolvere il problema del male nel mondo. Perché, in un mondo creato da un Dio onnipotente, infinitamente saggio, buono e giusto, esistono il peccato e la sofferenza? Perché alle persone buone capitano disgrazie e la fortuna arride ai malvagi? Cercando di risolvere questo enigma, Leibniz e i suoi colleghi francesi giunsero a conclusioni contrapposte circa l'essenza di Dio e lo scopo del suo agire. Cos'è più importante, si chiedevano i tre filosofi, la saggezza o il potere di Dio? E che rapporto sussiste tra fortuna in questo mondo e salvezza ultraterrena? Questo libro ricostruisce la storia di uno scontro tra visioni del mondo totalmente diverse, che ebbe al suo centro lo stretto rapporto di tre menti superiori, nutrito di mutuo rispetto ma anche di litigi, furore e indignazione. Ciò che emerse dalle loro conversazioni fu una vera e propria rifondazione moderna dei più antichi problemi filosofici.
Il volume raccoglie le relazioni tenute in occasione del convegno "Martin Heidegger treni'anni dopo", svoltosi a Bologna nei giorni 13-15 dicembre 2006 e organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell'Università di Bologna e dal Centro Italo-Tedesco di Villa Vigoni, con il patrocinio dell'AISE (Associazione Italiana degli Studiosi di Estetica). L'occasione del trentennale della morte di Heidegger (26 maggio 1976) ha fornito lo spunto per una riflessione che si è tuttavia tenuta lontana dalla tentazione di un bilancio, articolandosi piuttosto secondo le molteplici prospettive aperte dal pensiero heideggeriano: dal versante fenomenologico-ontologico al piano della riflessione etica, della filosofia del linguaggio e dell'estetica, fino all'analisi dei rapporti di Heidegger con i pensatori della tradizione europea.
Karl Lowith, a torto ritenuto solamente uno storico del pensiero, al contrario, si è confrontato con i problemi fondamentali della filosofia abbozzando una antropologia filosofica parallela a quella dei più noti Scheler, Plessner e Gehlen. Partendo da una analisi generale, Lowith propone un'indagine sull'uomo cercando di comprendere il senso di quella "e" speculativa che congiunge il binomio uomo-mondo, un costrutto concettuale divenuto problematico dopo la conclusione della metafisica cristiana e del suo orizzonte di senso.