
L'esigenza di attribuire un significato ultimo all'incessante scorrere degli eventi ha condotto il pensiero moderno a individuare nella storia un progresso, uno sviluppo che potesse giustificarne ogni crisi, ogni male e ogni inevitabile dolore. Eppure, molto prima del metodo storiografico di Voltaire o della grande filosofia dello spirito di Hegel, gli storici dell'età classica Erodoto, Tucidide e Polibio avevano già rinunciato a questa monumentale prospettiva. Per il pensiero classico, infatti, le gesta degli uomini seguono il corso dell'eterna ciclicità del cosmo; non il corso della rivoluzione sociale, ma della rivoluzione immutabile degli astri. Fra queste due visioni antitetiche della storia si colloca, secondo Karl Löwith, la prospettiva giudaico-cristiana, che opera una rottura fondamentale: tanto per il credente quanto per il filosofo della storia, il senso degli eventi non è racchiuso nel passato, ma in un futuro escatologico sempre a venire, capace di determinare ogni fatto alla luce di una storia della salvezza, al cui termine è attesa la redenzione. Ma se il primo è in grado di portare la croce, il secondo secolarizza la speranza religiosa nell'incondizionata fede nel progresso, tanto "cristiana nella sua origine" quanto "anti-cristiana nelle sue conseguenze".
Trattato di etica filosofica per le facoltà di filosofia. Il testo, con linguaggio piano, introduce lo studente di filosofia, che affronta riflessivamente per la prima volta la problematica etica, dentro tematiche obbiettivamente assai difficili.
Un'opera fondamentale e di grande respiro in cui si rinvengono i germi del cattolicesimo liberale. L'opera che in maniera organica presenta il pensiero di Rosmini suscitò grande eco ai suoi tempi e trovò calorosa accoglienza presso gli ambienti liberali. Scientificamente riveste un alto valore, per il suo carattere sistematico e per la trattazione strettamente logica dell'argomento, tutto formulato attraverso deduzioni concettuali. Il diritto come Rosmini spiega in Filosofia del diritto (1841-45) - ha come suo fondamento la persona, perché "la persona dell'uomo è il diritto umano sussistente, quindi anche l'essenza del diritto".
Evoluzione e libertà sono le due parole chiave del pensiero di Hans Jonas, espresso mirabilmente nel saggio, una sorta di concentrato della sua biologia filosofica e forse la migliore testimonianza della sostanziale continuità della sua riflessione sulla filosofia della vita, al di là del prevalere, nelle diverse fasi del suo pensiero, di interessi storico-filosofici o di interessi più propriamente etici. Tesi principale è che la libertà tradizionalmente considerata appannaggio degli ambiti prettamente umani dello spirito e della volontà - sia viceversa già presente a livello del metabolismo cellulare, il fenomeno più basilare che caratterizza l'organismo vivente. Essa non connota, cioè, esclusivamente l'agire conscio e intenzionale dell'essere umano, ma è piuttosto il denominatore comune di tutti gli appartenenti alla categoria dell'"organico" e segna la linea di confine con quanti non vi rientrano, dunque con l'inorganico, la macchina e l'artefatto. La libertà si squaderna per Jonas in una gradazione ascendente di complessità delle funzioni e dei movimenti, i cui vari livelli costituiscono configurazioni sempre più articolate, approfondite ed "evolute" della dialettica precaria che le è intrinseca.
Ognuno di noi è un'individualità irripetibile nel fluire del tempo. Ognuno è un universo in cui "dormono forze ignote come re mai nati". Nella nostra soggettività sono connaturate delle potenzialità che nel corso della nostra vita spesso rimangono nell'ombra: in uno stato oscuro, implicito, latente. "Noi non conosciamo nemmeno noi stessi - osserva Herder - e solo ad istanti, come in sogno, cogliamo qualche tratto della nostra vita profonda". "Ognuno solleva una grande o una piccola onda": la novità di ognuno nella sua unicità, nella sua profondità, nella sua libertà e capacità di scegliere e di decidere, di agire, di conoscere, di creare. "L'uomo è la sua anima". Vivere secondo natura significa "conoscere se stessi" ed "essere se stessi": significa ricercare la vita autentica. In questo orizzonte, definiamo la nostra unicità irripetibile in rapporto ai sentimenti, le intuizioni, le aspirazioni, le passioni, gli interessi, i desideri, le motivazioni, le imperfezioni, i bisogni, gli errori, i pregiudizi, le speranze, le delusioni, le paure, le situazioni-limite e tutto l'insieme delle emozioni umane. Siamo noi stessi, in ogni istante irripetibile della nostra vita, in ogni momento in cui facciamo delle scelte e diamo un senso profondo e autentico alla nostra esistenza nel fluire del tempo.
È un bestiario ma non vi spiega come convivere con i gatti o come capire il "linguaggio" dei cani: è un libro che parla soprattutto di noi umani, e dell'animalità che attraversa le nostre vite. Un alfabeto della diversità che racconta da più punti di vista - attraverso la filosofia, la storia dell'arte, la scienza - il rapporto simbiotico tra l'uomo e il mondo animale. Un percorso curioso per scoprire che gli animali sono ovunque, dalle foto di famiglia alla filosofia di Hegel, mentre noi sappiamo molto più delle galassie distanti anni luce che dei desideri di un pesce rosso. Un piccolo atlante (non solo) filosofico, in cui gli animali sono il pretesto per parlare dell'uomo, delle sue passioni e delle sue paure.
Esistono cose essenziali per la vita umana. La cura rientra nell'ordine delle cose essenziali, perché per dare forma al nostro essere possibile dobbiamo aver cura di noi, degli altri e del mondo. Il nostro modo di stare con gli altri nel mondo è intimamente connesso con la cura che abbiamo ricevuto e con le azioni di cura che mettiamo in atto. Siamo quello che facciamo e quello di cui abbiamo cura. È irrinunciabile aver cura della vita, per conservarla nel tempo, per farla fiorire e per riparare le ferite dell'esserci. Poiché la vita umana è fragile e vulnerabile, il lavoro di cura è intensamente problematico; il primo compito di una filosofia impegnata a cercare la misura di senso dell'esperienza consiste dunque nel prendere in esame il fenomeno della cura al fine di comprenderlo nelle sue qualità essenziali. Si tratta di comporre, secondo il metodo fenomenologico, una teoria descrittiva della cura che possa costituire lo sfondo per disegnare una valida politica dell'esperienza.
Nella prospettiva che Metzinger difende nelle lezioni raccolte in questo volume, l'io, come scrive nell'introduzione Alfredo Paternoster, "viene a configurarsi come nulla di più di un'utile recita, una sorta di allucinazione, costruita però con materiali genuini". Sullo sfondo dell'eredità di Hume, ripresa oggi da Dennett, Metzinger delinea un ampio programma di ricerca, anche empirica, inteso a mostrare come si pervenga a una rappresentazione del sé; tale rappresentazione tuttavia non attesta l'esistenza di qualcosa come una coscienza.
Quasi un testamento intellettuale, "L'anima smarrita" provoca il lettore su alcune delle grandi questioni con le quali siamo confrontati oggi. Che cosa ne è dell'anima all'epoca delle neuroscienze? Chi ha interesse a manipolare la vita? Quale narrazione è ancora capace di dare senso a ciò che siamo e facciamo? Ultima testimonianza scritta dall'autore, il saggio qui presentato mette in scena la verità di una vita che accoglie se stessa nel pensiero della vita. È la vita che accetta questa compromissione senza temere alcuna diminuzione di oggettività, poiché sa che la contrapposizione tra oggettività e soggettività è un artificio della scienza: utilissimo secondo certi scopi, ma ingenuissimo quando si tratta di capire chi siamo nella nostra relazione con il mondo, con gli altri e, soprattutto, con noi stessi.
La nuova edizione di un classico che costituisce ancora un modello nel cammino della filosofia. «Un testo chiaro e agile [...], ma egualmente rigoroso e ben strutturato nell'impostazione, che risulta sistematica, cioè organica, ma non rigida e men che meno dogmatica, come si potrebbe temere da un breve manuale, per di più di ispirazione scolastica. In effetti, questo testo conserva le caratteristiche che ormai lo hanno reso [...] un vero classico e che condivide con altri studi di Sofia Vanni Rovighi, sia quelli dedicati alla storia della filosofia, sia, soprattutto, quelli in cui si argomenta una prospettiva teoretica». (Michele Lenoci)
Non semplice, ma letteralmente affascinante è la ricognizione di quel continente vastissimo e in espansione che è la filosofia contemporanea, i cui confini, in questi ultimi cento anni, troviamo segnati da "città" e "presidi" filosofici caratterizzati da un lato dai più svariati legami con pensatori antichi e moderni, e dall'altro solo rarissimamente privi di dispute interne, talvolta in reciproci rapporti di felici contaminazioni, più spesso animati da duri contrasti basati su progetti alternativi di ricerca. E se l'osservatore ansioso di certezze sarà inizialmente sopraffatto da una sensazione di disorientamento in una inestricabile torre di Babele, una più matura riflessione lo renderà convinto del fatto che unicamente nel contrasto tra più voci, proprio nella torre di Babele, i filosofi mettono a prova la validità delle loro proposte, dando così vita e forza a quella ineludibile ricerca filosofica il cui fine, come ha detto Isaiah Berlin, è sempre lo stesso: «Consiste nell'aiutare gli uomini a capire se stessi e quindi a operare alla luce del giorno e non, paurosamente, nell'ombra».
L'influenza della filosofia antica nei secoli riguarda non solo l'intera storia del pensiero occidentale, - che qualcuno ha definito "una serie di note in margine a Platone" -, ma anche le nostre categorie mentali i nostri schemi concettuali e il linguaggio che usiamo tutti i giorni. Parole e idee come l'Essere, il Bene, l'Anima, la Conoscenza, la Verità hanno la loro lontana origine nella filosofia greca e nella traduzione del suo vocabolario in latino. Questa "Prima lezione" è un'introduzione al lessico concettuale della filosofia, un percorso imprescindibile che attraverso l'etimologia e la storia delle parole esplora il pensiero filosofico antico. E di quello che da essa è nato.