
Il libro rappresenta la seconda parte del corso di filosofia teoretica tenuto dal prof. Severino all'Università Cà Foscari di Venezia durante l'anno accademico 2000-2001. Se nella prima parte, pubblicata da Rizzoli nel 2007 con il titolo 'L'identità della follia', l'intento era di svelare l'anima dell'Occidente per comprendere a fondo la radice del nostro vivere, in questa seconda parte, che racchiude le ultime 15 lezioni, Severino riflette sul senso del destino.
Le Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica rappresentano un momento fondamentale della ricerca filosofica di Husserl. In nessun'altra opera la fenomenologia è dispiegata con la stessa ampiezza, in modo da fare emergere il progetto complessivo e le ambizioni di una teoria della ragione logica e pratica, radicata in un'nalisi delle strutture fondamentali della coscienza. Se in Idee I la teoria fenomenologica della ragione è delineata nelle sue coordinate generali, attraverso una presentazione dei concetti fondamentali della fenomenologia, in Idee II e III Husserl, proseguendo la descrizione delle caratteristiche strutturali delle principali regioni ontologiche del nostro mondo circostante, mette in luce le radici «sensibili» della costituzione fenomenologica e dei processi originari, associativi e precategoriali, che sono alla base del suo procedimento. Ogni riflessione sulla fenomenologia dovrà dunque sempre prendere avvio da quest'opera considerata nella sua pur stratificata unità; e ad essa dovrà tornare come essenziale punto di riferimento per confrontare e analizzare i successivi sviluppi del pensiero husserliano.La nuova traduzione di Idee I, che restituisce allettore italiano il testo definitivo dell'opera husserliana, ha reso necessaria anche una profonda revisione di alcune scelte terminologiche relative agli altri due libri, comportando, di conseguenza, una radicale revisione della precedente traduzione italiana. In questo modo si presenta, con Idee II e Idee III, un lavoro fondamentale della filosofia contemporanea che è non soltanto da rileggere, ma soprattutto da rimeditare e riscoprire.
Che cosa può fare la filosofia per contribuire positivamente alle interazioni tra gli esseri umani e la realtà naturale in cui si trovano a vivere, per migliorare l'organizzazione socio-politica e incrementare lo sviluppo libero e responsabile della cultura, insomma per contribuire proficuamente al corso della vita concreta dell'umanità? Questi interrogativi sono la trama della vasta opera di John Dewey. Il volume disegna una panoramica critica dei temi cruciali del pensiero deweyano, esibendone la rilevanza rispetto all'attuale dibattito sui rapporti tra mente, natura e società.
La più incisiva esposizione delle tesi di Kant sulla filosofia della storia, rappresentata qui per la prima volta in Italia come opera a sé stante. Ne mettono in risalto il valore filosofico anche il testo originale a fronte e uno specifico apparato introduttivo e critico.
Attraverso una accurata selezione di testi classici, introdotti e discussi, la ricostruzione di un tema che corre lungo tutto l'arco della riflessione in filosofia, politica e morale.
La lunga storia delle riflessioni sulla giustizia, che ha accompagnato come un'ombra lo sviluppo delle società umane, può essere riassunta, in ultima analisi, in questo dilemma: la giustizia va concepita come un ideale formalmente ineccepibile ma destinato a rimanere fuori della nostra portata, o piuttosto come una sorta di criterio pratico, imperfetto e sempre rivedibile, che dobbiamo comunque assumere come valido per orientare le nostre decisioni concrete e migliorare la qualità della vita individuale e collettiva?
Nella sua ampia e acuta ricognizione dei vari approcci all'idea di giustizia, Amartya Sen, premio Nobel per l'economia nel 1998, muove una critica puntuale al filone del pensiero illuminista che pone al centro della riflessione politica ed etica un «contratto sociale» (Hobbes, Locke, Rousseau, Kant e, in epoca contemporanea, John Rawls, punto di riferimento costante per l'autore) e la cui massima ambizione è definire il modo e i contenuti di accordi perfettamente giusti, anziché chiarire come le diverse pratiche di giustizia debbano essere confrontate e valutate.
A questa «prospettiva trascendentale», Sen contrappone la propria idea di giustizia, che prende le mosse dall'altro filone della tradizione illuminista (rappresentato, sia pur con diversi accenti, da Adam Smith, Condorcet, Bentham, Mill e Marx), centrato sull'analisi delle strutture sociali esistenti e sulla discussione pubblica condotta all'insegna della razionalità come strumento privilegiato per la riduzione delle più palesi ingiustizie.
Si tratta, infatti, non di definire una volta per tutte, anche solo in astratto, che cosa debba essere considerato «giusto», ma semmai di scegliere per via comparativa tra valutazioni alternative e argomentazioni concorrenti, cioè di vagliare sotto la lente dello «spettatore imparziale » i molti punti di vista, indipendentemente dalla loro provenienza. Solo aprendoci a tale pluralità di voci, infatti, potremo guardare su scala globale alle ingiustizie che possono venire eliminate o ridotte, senza ricadere in gretti localismi o in sterili chiusure mentali. Mai come in questo libro emergono con forza l'ampiezza di orizzonti, la lucida intelligenza e la grande umanità che hanno fatto di Amartya Sen uno dei maggiori e più ascoltati intellettuali del nostro tempo.
La distinzione consapevole ed esplicita tra fazioni e partiti, e con essa la moderna idea dei partiti, risale al costituzionalismo inglese del XVIII secolo, segnatamente ad Edmund Burke ed alla sua rivendicazione di “onorevoli connessioni” per il buon funzionamento del sistema politico. Un'idea, quindi, legata alla storia, alle istituzioni, alle procedure di quel governo rappresentativo e responsabile che, come nuova prassi costituzionale, aveva segnato l'esperienza dell'Inghilterra di Walpole. Invece in Francia si considerano i partiti "parti" contro il "tutto": alla cultura politica dell'illuminismo francese il modello inglese parve fondamentalmente legato alla court, lontano dal country, ristretto ad una oligarchia imperniata sulla corruzione parlamentare, povero di tensione ideologica. Di qui uno dei più irriducibili motivi di antitesi fra "evoluzione" inglese e "rivoluzione" francese: da un lato l'esigenza dei partiti, dall'altro lato l'avversione ai partiti. L'Autore ne ha ricostruito i diversi aspetti, anche alla luce di quel che ha significato la riflessione sui partiti nella storia del liberalismo e della democrazia
Mentre da ogni parte vengono a cadere i presupposti di ogni legge, il pensiero tende sempre più a concentrarsi, in ogni ambito, sulla legge stessa. Massimo Cacciari ha posto al centro di questo libro tale situazione paradossale e sfuggente, all'interno della quale tuttora viviamo. E, all'interno del nostro secolo, ha isolato, negli ambiti più diversi, alcuni casi esemplari di quell'ostinato cozzare contro la stessa parola: legge. Ma non si tratta qui di scoprire influenze nascoste o contatti. L'ambizione è ben più radicale: ogni volta si individuano sconcertanti isoformismi fra gesti di pensiero che appartengono a regioni lontane. E così anche repliche e opposizioni trasversali.